Bologna, 25 febbraio 2022, il "No alla guerra" che né l'Italia, né l'UE hanno voluto raccogliere |
Non tutte (vedi sotto, alcuni link) ma molte cose sono cambiate dal febbraio 2022. Non interessa, qui ed ora, continuare vecchie discussioni tra punti di vista diversi, in alcuni casi opposti. Né vale discutere chi sta vincendo. Le guerre causano sempre lutti, distruzione, sconfitte, ferite. Immediate o nel tempo. Forse è meglio riflettere riservatamente, analizzando fatti e processi, verificando fonti di informazione e documenti utilizzati o acquisiti. Ora è piuttosto il momento di ragionare, discutere, decidere come procedere con massima responsabilità nel contesto modificato e partendo dagli interlocutori presenti, dai rapporti di forza esistenti. Nella consapevolezza che la relazione tra vicende / pensieri globali e dinamiche / azioni locali è sempre più stretta e necessaria.
Questo dato di realtà emerge sempre più, qualunque sia il problema sociale o amministrativo che affrontiamo nello specifico: dalla salute e dal diritto - dovere di curare le persone e prevenire le malattie alle tariffe del trasporto pubblico e alla qualità dei servizi. Chi ne prescinde ignora o inganna.Nella diffusa convinzione che siamo davvero ad un passaggio epocale della storia. Con la crisi conclamata degli assetti post seconda guerra mondiale e con conflitti destinati a incidere profondamente sull'Alleanza Atlantica, sull'Unione Europea, sull'Occidente per come lo abbiamo conosciuto da molti decenni, sui rapporti Est - Ovest e Nord - Sud. Pare sempre più azzardato scommettere su soggetti, autorità ed "arbitri" a cui abbiamo fatto riferimento. Un mondo nuovo si sta costruendo. Con le possibilità e con i rischi (soprattutto questi) che comporta.
Per capire la fase basta qualche lettura.
Tra i tantissimi contributi eccone alcuni: C'era una volta l'Occidente di Lucio Caracciolo, Il vero pericolo di Angelo Panebianco, Trump, la democrazia irrispettosa di Luciano Violante, L'Europa nella trappola americana di Andrea Fabozzi, Le correzioni imperialiste di SuperMario di Emiliano Brancaccio, "La Nato sosterrà Kiev, forza di pace europea con l'aiuto americano" intervista di la Repubblica all'ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, Le condizioni dello zar di Maurizio Molinari, Il metodo imperiale di Trump di Sabino Cassese, Meglio più armi con Trump o più armi con Ursula? di Alessandro Robecchi; Serviva un folle per dire che l'Occidente è morto di Raniero La Valle;
L'Europa nella trappola americana di Andrea Fabozzi
Ora che Volodymir Zelensky sta entrando nella lunga lista degli amici consumati e abbandonati dagli Stati uniti, è già pronta una nuova trappola logica per chi denuncia il vuoto di politica e diplomazia che ha consentito tre anni di carneficina in Ucraina.
Se fin qui sarebbe stato un tradimento convincere il governo ucraino a negoziare per fermare la guerra – e fu dunque eroico far saltare ogni ipotesi di accordo già un mese dopo la brutale invasione russa, a condizioni migliori di quelle di oggi – adesso la pace di Trump andrebbe boicottata perché «pace imperiale».Che sia tale non ci sono dubbi, ma non per questo è democratica la guerra portata avanti innanzitutto sulla pelle dei civili e dei soldati ucraini, oltre che di quelli russi. E non è irrilevante che, per quanto nobilissima e ardente possa essere stata la resistenza ucraina, ormai si calcolino 900mila tra renitenti alla leva e disertori: più di quanti stanno combattendo.
Scappare dalle trincee, come scappano anche i russi, persino fuggire da un paese che ha già perduto il 20% della sua popolazione sono scelte che meritano rispetto, quasi sempre obbligate. La guerra non è stata un episodio di autodeterminazione e non è dunque meno imperiale della pace che (non ancora e troppo tardi) si annuncia.
Il destino al quale Zelensky sembra irrimediabilmente avviato non fa che svelare l’inganno. Anche lui è una vittima della guerra per procura, subito dimenticati i tempi in cui viaggiava in trenta diversi paesi del mondo e appariva un po’ ovunque, da Cernobbio al festival di Cannes. Cinque mesi fa firmava le munizioni nelle fabbriche degli americani che adesso nemmeno lo ascoltano, mentre prova a chiedere un posto al tavolo dove si decide sulla sua testa. Tavolo dove la trattativa tra Usa e Russia non la conducono due funzionari o diplomatici, ma non a caso due uomini di affari come Witkoff e Dmitriev.
La guerra nel cuore dell’Europa è stata un affare per gli Stati uniti. Il fatto che la responsabilità dell’invasione sia tutta di Putin non cancella questo dato di realtà, casomai spiega perché dall’allargamento della Nato a Maidan e al non rispetto degli accordi di Minsk nulla è stato fatto per impedirglielo.
Tre anni di guerra oltre a devastare l’Ucraina hanno mortificato probabilmente per un lunga fase storica il ruolo politico dell’Europa. Che raccoglie quello che ha seminato, tenendosi sistematicamente lontana da ogni tentativo negoziale. Che la soluzione di un conflitto interamente sussidiato e armato dall’esterno dovesse essere lasciata nelle esclusive mani degli ucraini – ai quali si poteva tutt’al più consigliare di insistere (fino a sconfiggere la Russia?) – era un racconto tanto falso da crollare in poche ore. Adesso neanche della loro pace gli ucraini possono parlare.
E così il fatto che le intenzioni di Trump siano pessime non rende ottima la condotta tenuta da Biden in questi tre anni, né meno folle la scelta di Bruxelles, Roma o Berlino di seguirlo mentre le accompagnava verso il baratro.
Oggi gli europei pagano il gas in media cinque volte più degli Stati uniti (agli italiani va anche peggio) e comprano il doppio del gas americano rispetto a prima del conflitto.
Dovranno armarsi ancora di più, molto di più. E dovranno farlo sacrificando il welfare e comprando armi americane. Ma non è certo sostenendo la prosecuzione di una guerra che chiaramente poteva concludersi solo con un negoziato che ne usciranno. Perché è stata proprio l’ostinazione bellicista a condurre Macron, Meloni, Scholz e gli altri fin qui. In trappola.
(il manifesto, 19 febbraio)
Le correzioni imperialiste di SuperMario di Emiliano Brancaccio
«Quando mi chiedete cosa sia meglio fare ora, io dico che non ne ho idea. Ma fate qualcosa!». Pochi fatti alla pubblica opinione appaiono più sconcertanti di una nuda manifestazione di impotenza del potere. Eppure questa è la prova che Mario Draghi ha dato al parlamento Ue.
Il celebrato gendarme della moneta unica ha messo l’emiciclo di Bruxelles dinanzi a una prospettiva ormai tangibile: la morte dell’Unione europea, afflitta da una letale paralisi nel mezzo della guerra economica mondiale in corso.
Draghi ha iniziato il suo intervento con una sofferta confessione: redatto da appena pochi mesi, l’osannato rapporto sulla competitività che porta il suo nome è già obsoleto.
Il documento era stato scritto per suggerire all’Unione un nuovo modo di interpretare l’alleanza con gli Stati uniti, così da rendere il capitalismo occidentale più forte e più unito nel fronteggiare l’ascesa della Cina. Ma adesso che l’attacco principale all’Ue viene dalle sponde dell’America, il papello draghiano appare improvvisamente ingiallito.
Draghi ammette il problema.
Il ritorno di Trump alla Casa bianca segna il tentativo del capitalismo americano di scaricare la crisi del debito in primo luogo sugli alleati europei. L’obiettivo della nuova amministrazione Usa è di consentire alle imprese del vecchio continente di accedere al grande mercato americano solo a condizione che i paesi Ue paghino caro pegno.
In primo luogo, continuando ad assorbire debito statunitense anche nel momento in cui questo offrirà rendimenti risibili e si svaluterà insieme al dollaro. Una sottile forma di usurpazione degli antichi vassalli: la faccia più feroce dell’accumulazione originaria.
A tali condizioni, insistere nella ricerca di un’intesa economica anti-cinese con l’alleato americano appare sconsiderato anche a un atlantista della prima ora come Draghi. Da questa dura presa di coscienza l’ex banchiere centrale trae dunque le rettifiche al suo stesso rapporto.
La novità principale del Draghi-pensiero risiede nel considerare l’autonomia strategica dell’Ue non più semplicemente un’opzione vantaggiosa ma una vera e propria condizione per non soccombere. Il manuale di sopravvivenza verte in questo senso su un doppio movimento, liberista all’interno e imperialista all’esterno dei confini europei.
Il liberismo interno è presto spiegato. Con i venti di protezionismo che imperversano da ogni lato del mondo, pensare che il capitalismo europeo possa ancora dipendere dalle esportazioni per oltre il 50% del Pil sarebbe semplicemente un suicidio. La vecchia Europa tedesca, che prosperava tutta sui mercati esteri, deve dunque morire affinché l’Unione europea resti in vita.
Il problema, sostiene Draghi, è che per ridurre la dipendenza dall’estero bisogna accrescere le dimensioni del mercato interno. A tale scopo, diventa urgente demolire le barriere sovraniste che hanno finora ostacolato la creazione di un vero e proprio mercato unico europeo.
Nell’industria, nei servizi, nella ricerca e soprattutto nella finanza, è giunto il tempo di togliere i lacci nazionali che hanno frenato la competizione capitalistica dentro l’Unione. Solo in questo modo i capitali deboli saranno liquidati e assorbiti dai più forti. Solo così potranno formarsi dei colossi capitalistici europei capaci di rilanciare la produttività del vecchio continente.
Poi, una volta che saranno state liberate tutte le forze della concorrenza, lo sviluppo ulteriore del mercato interno potrà anche avvalersi di dosi massicce di spesa pubblica. È il ritorno del Keynes “bastardo”, ammesso in cabina di comando solo se prima abbraccia la croce del liberismo.
L’emendata dottrina Draghi si completa con un più esplicito piglio imperialista nei rapporti col resto del mondo. Grazie al liberismo interno, l’Ue potrà una buona volta sfoggiare giganti capitalistici continentali in grado di misurarsi con la stazza mostruosa dei principali concorrenti, americani e cinesi. Ma la competizione tra giganti, oggi più che mai, si fonda non solo sulle guerre di prezzo ma anche sul controllo militare dei transiti, sulla violenta conquista di nuove linee commerciali, sul bruto accaparramento di risorse altrui. Da qui l’esigenza di dare alla politica estera europea una dotazione di armi e di truppe degna di un profilo imperiale.
Draghi prova a giustificare l’esortazione al riarmo con una retorica difensiva. Ma sembra una banalizzazione geopolitica, per rendere meno indigesta la torsione guerresca dell’Unione.
Il liberismo imperiale diventa dunque una necessità logica per la sopravvivenza del progetto europeo. La distanza dalla vecchia idea dell’Unione quale placido agente di pace nel mondo non è mai stata tanto siderale. Come ogni altra cosa di questo tempo di tumulto, anche l’ideologia dei padri costituenti dell’euro è soggetta a spaventosi stravolgimenti.
(il manifesto, 19 febbraio)
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Che le guerre destabilizzano anche chi le "vince" e l'Italia lo ha imparato più volte. Un secolo fa con l'avvento del fascismo, 80 anni fa con la caduta della monarchia.
RispondiEliminaIn questo caso ha pagato Draghi e Biden in attesa di Sholtz e Macron.
Ottimo Robecchi.
m.m.
m.m. hai messo una e di troppo, giusto?
EliminaQuanto alla guerra in Ucraina e alla tesi che avrebbe dovuto costare carissima a Putin. Fin qui in effetti lo zar pare essersi rafforzato in Russia e a livello internazionale con paesi BRICS in ascesa a fronte della crisi NATO e G7.
Alle numerose letture che proponi ne aggiungerei due pubblicate sul Fatto Quotidiano oggi: quella del direttore Travaglio e quella del prof. Orsini, che ricostruisce una storia documentata e volutamente dimenticata da politici e informatori "satelliti".
Ciao!
Se abbandoniamo la contradifendere posizione ideologica tra paesi liberi (occidentali) e regimi autoritari (orientali) e ragioniamo di politica gli obiettivi americani (di Trump e repubblicani) sono chiari. Trattare con la Russia per evitare di allegarla stabilmente alla Cina, ritenuta il vero competitor degli Usa. Quindi sta ora all'Europa scegliere come rapportarsi a questo nuovo scenario in costruzione.
RispondiEliminaPrenderne atto (e abbandonare Zelensky) o assumere in toto il compito di contrastare le logiche imperiali delle 3 grandi potenze e provare a essere una quarta forza? Con una identità autonoma?
pl
Combattere nazionalismi e imperialismi è giusto. Individuare alleati affidabili impegnativo.
RispondiEliminaCombattere nazionalismi e imperialismi è giusto. Individuare alleati affidabili impegnativo.
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