martedì 28 gennaio 2025

Da Biden a Trump, da Gentiloni a Meloni, da Schlein a Lepore ... Contraddizioni e nodi da risolvere.

Bologna, da Palazzo d'Accursio sventolano simboli di popoli e persone offesi dalle guerre ...  












Alzare "bandiere" è utile e necessario. Ma può anche fare perdere il senso più profondo delle cose. Può annebbiare letture e visioni. Può confondere problemi e questioni che meritano risposte chiare, sostanziali, coraggiose. Chi è rimasto traumatizzato per il ritorno di Trump ha da interrogarsi sulle politiche dei Democratici americani e di quelli che così si definiscono in tutto l'Occidente. Nell'Europa di Ursula Von der Leyen (2° tempo), di Giorgia Meloni Presidente del Consiglio, di Emmanuel Macron e Olaf Scholz in fortissima crisi, con una sinistra divisa e ininfluente ... Il problema, al contempo semplice e assai complesso, è ricostruire analisi obiettive, pensiero critico strategico, progetti radicalmente innovativi. Capaci di saldare azioni locali e prospettive globali, entrambe credibili per popoli e persone di ogni longitudine e latitudine. 

Sul discorso di (re)insediamento del Presidente americano alla Casa Bianca e sul Giorno della memoria nell'80esimo anniversario della liberazione del campo di sterminio di Auschwitz ha scritto articoli interessanti Marco Bascetta, su il manifesto. 

Nel primo, ragionando su "la dottrina Trump" e "l'ideologia occidentale del numero chiuso" (vedi sotto il testo completo) indica possibili contraddizioni nel fronte delle destre: "la pretesa dell'oligarchia tecnocratica di drenare il massimo delle risorse disponibili a favore di quella concentrazione di capitale che ormai si propone anche come fondativa di una società futura da offrire sul mercato dei privilegiati ... non può che entrare presto o tardi in rotta di collisione con la demagogia nazionalista". E sostiene "gli attriti tra i tecno miliardari e i vecchi caporioni Make America Great Again (in italiano Rendiamo l'America di nuovo grande) ne rappresentano una eloquente avvisaglia, che se non promette molto di buono, può tuttavia smentire le promesse e spazzare via le illusioni dell'ideologia. Riaprendo così uno spazio di azione agli esclusi dal numero chiuso".

Nel secondo, l'editorialista del "quotidiano comunista" propone considerazioni su "La tragedia della Shoah e il ritorno dell'odio che l'ha prodotta" (vedi sotto il testo completo) con riferimenti puntuali al "messaggio" di Elon Musk ai tedeschi in occasione della "apertura della campagna elettorale dell'ADF, il partito nazionalista e xenofobo in grande crescita nella Repubblica federale" di Germania e alla proposta di Donald Trump, "tra gli applausi della destra coloniale israeliana, di svuotare Gaza dall'ingombrante umanità che la abita per trasformarla in elegante località balneare di Israele". 

Di fronte a queste tesi e a queste azioni forse coglie nel segno Walter Veltroni su il Corriere della Sera (vedi sotto) in "La penna di Trump e l'ambiguo messaggio. Le risposte (difficili) alle paure", quando afferma "Se vuole, come è possibile, tornare a conquistare consenso, il pensiero democratico deve trovare soluzioni nuove, armoniche con la sua identità, capaci di parlare alle inedite forme di disagio, specie tra i più deboli. E' il tema di cento anni fa, in fondo. Altrimenti non resterà che una penna, con il suo ambiguo messaggio". 

Un linguaggio certamente moderato. Eppure, se è permessa l'intrusione, tutt'altro proposito e indirizzo rispetto al "commento" di Paolo Gentiloni su la Repubblica (vedi sotto) in "Una difesa comune per l'Europa" che si propone "un Fondo del valore di 500 miliardi" in armi: "sarebbe una risposta competitiva sul piano industriale ma cooperativa su quello geopolitico". Oppure dalla scelta di esporre, una fianco all'altra, le bandiere (e le ragioni) di Palestina ed Israele (come fatto da Matteo Lepore, a Bologna).

Piuttosto paiono meritevoli di attenzione le considerazioni di Barbara Spinelli su il Fatto Quotidiano in "Le sponde dell'Atlantico. Trump e il riarmo UE contro la Russia", dove si afferma che "il 5% del PIL in armi" sostenuto sia dal Presidente USA che da esponenti politici e di governo del Vecchio Continente (particolarmente del Nord - Est) incoraggerebbe "ogni sorta di nuovo nazionalismo etnico" e dove si sostiene che "sbaglia di grosso chi vede l'eventuale disimpegno americano dalla NATO come una disgrazia: sarebbe manna per l'Europa". E conclude: "l'Europa diverrebbe si una potenza: ma pacifica, capace di finanziare il proprio Stato sociale. E' quello che le amministrazioni USA, Trump compreso, temono di più". 

Temono LorSignori, non certo i popoli e le persone in cerca di sicurezza e di salute. Nel mondo surriscaldato del 2025, dove a Bologna il 28 gennaio alle ore 8.15 la temperatura è di 17° C.  


La dottrina Trump 

L'Ideologia occidentale del numero chiuso

Con l’insediamento di Donald Trump alla Casa bianca, (quasi tutti temono che accadrà, ma nessuno lo denuncia con la dovuta chiarezza), i rapporti tra gli Stati uniti e l’Unione europea sono destinati a complicarsi seriamente. Per Washington, ma questa non è una novità, l’Unione europea e l’Europa non sono la stessa cosa, nel senso che la prima viene considerata, neanche troppo velatamente, come un ostacolo e un impedimento al libero dispiegarsi degli interessi statunitensi nel Vecchio continente. Si tratta di una ostilità mai sopita dopo la fine della guerra fredda, nonostante la tremebonda prudenza praticata da Bruxelles nei rapporti con gli Usa.

D’altro canto, i governi di molti singoli paesi, (a cominciare da Italia e Ungheria) e le forze politiche della destra estrema in piena espansione in tutta Europa trovano nella nuova amministrazione americana identità di vedute, condivisioni ideologiche e affinità politiche.

Sebbene i nazionalismi proprio in conseguenza della loro natura tendano inevitabilmente a entrare reciprocamente in conflitto, il linguaggio comune e i valori che condividono possono confluire, nella fase attuale, in una politica dominante e in un clima culturale in grado di condizionare pesantemente gli assetti europei.

Sulle due sponde dell’Atlantico ha preso piede sulla base di queste affinità elettive e in seguito alla crisi dell’ottimismo globalista, quella che potremmo provvisoriamente definire un’“ideologia occidentale”. Questa dottrina, aldilà delle falsificazioni, delle scempiaggini e dell’irrazionalità che la caratterizzano poggia su alcuni riconoscibili principi fondamentali che attraversano gli ambiti più diversi. Tra questi una posizione di assoluto rilievo spetta a quello che potremmo chiamare il principio del “numero chiuso”. Un precetto politico che si estende dal filtro arbitrariamente posto all’ingresso delle facoltà universitarie, al respingimento dei migranti, fino alle utopie elitarie delle città galleggianti di Peter Thiel o alla colonizzazione marziana di Elon Musk.

Queste fantasie del grande capitale tecnocratico-finanziario proiettano in un futuro, che viene già considerato presente o quasi, società selettive e separate il cui accesso (pianificato e contingentato) è garantito dal merito (e cioè da chi lo certifica), dalla proprietà, dal censo e dalle competenze necessarie allo sviluppo tecnologico. A parte l’ambientazione fantascientifica e l’incetta di capitale cognitivo, quanto ai meccanismi di esclusione questi mondi privilegiati ricordano le gated community fortificate contro la miseria minacciosa che le circonda, o la “segregazione residenziale” governata dalle costituzioni condominiali e dal potere insindacabile dei proprietari, teorizzata dall’ultradestra di fanatici liberisti come Rothbard e Hoppe.

Sullo stesso principio del “numero chiuso” poggia, con tutta evidenza, la cifra dominante di una politica fondata sul respingimento dei migranti e la deportazione di stranieri residenti, che si applica inoltre a smantellare una importante conquista di civiltà come l’asilo politico, trasformandolo da diritto umano in concessione sovrana.
Queste politiche sono accompagnate da una demagogia che quando non agita direttamente lo spauracchio complottista della “sostituzione etnica”, inveisce comunque contro l’inquinamento di origine straniera delle tradizioni (perlopiù inventate) degli usi, dei costumi e delle abitudini dell’Occidente. Su questa idea di purezza, che combina inevitabilmente nazione, etnia e precetti patriarcali, si innesta un legame non occasionale con l’integralismo religioso, soprattutto nella sua versione evangelica. Ma ancor di più con il “popolo eletto”, laddove il “numero chiuso” e la proprietà esclusiva di una terra promessa, sarebbero stati stabiliti direttamente da Dio. Un principio che fonda la sinistra alleanza degli ex antisemiti, rimasti suprematisti bianchi, con la destra fondamentalista ebraica e fa comunque dell’attuale politica di Israele un pregiato modello di esclusione. Non rientra invece nell’ideologia occidentalista, bensì assai prepotentemente nella ruvida realtà dei rapporti internazionali, il fatto che un “numero chiuso” sarà imposto, via dazi, anche alle merci dirette negli Stati uniti.

Tutto questo ciarpame ideologico, è comunque ben lungi dall’essere interamente campato in aria. Ed è proprio a partire dalla selettività sulla base della quale il capitale tecnocratico discrimina la forza lavoro, la strategia escludente dell’ideologia occidentalista trae forza. Questa selettività è resa possibile da uno sviluppo delle forze produttive che ha sostituito con il sapere contenuto nelle macchine, agito nelle procedure innovative e sottratto alla cooperazione sociale, una grande quantità di lavoro salariato industriale. Il quale è stato in buona parte dislocato fuori dall’Occidente, appunto, e dalla sua ideologia. La fantascienza neocoloniale dei Musk e dei Thiel discende da una problematica combinazione: la possibilità di escludere dal sistema produttivo una popolazione divenuta superflua nel processo di accumulazione, l’impossibilità di eliminarla del tutto come soggetto sociale ed economico e, infine, il risoluto rifiuto di spendere per mantenerla.

La pretesa dell’oligarchia tecnocratica di drenare il massimo delle risorse disponibili a favore di quella concentrazione di capitale che ormai si propone anche come fondativa di una società futura da offrire sul mercato dei privilegiati, espropria però brutalmente tutto il resto della popolazione. Un siffatto progetto che fra l’altro, mirando all’incetta globale di talenti, rifiuta di lasciarsi rinchiudere entro angusti confini etnici, non può che entrare presto o tardi in rotta di collisione con la demagogia nazionalista. Gli attriti tra i tecnomiliardari e i vecchi caporioni Maga ne rappresentano una eloquente avvisaglia, che se non promette molto di buono, può tuttavia smentire le promesse e spazzare via le illusioni dell’ideologia occidentalista. Riaprendo così uno spazio di azione agli esclusi dal numero chiuso, che sono molti e non sono più un sottoproletariato deprivato e apatico, senza voce e senza strumenti politici e culturali.

Marco Bascetta, il manifesto, 22 gennaio


La memoria e Gaza

Odio e razzismo, tragedia unica che si ripete

«Ritrovate l’orgoglio di essere tedeschi!». Adesso basta! «Non è giusto che i nipoti paghino le colpe dei nonni». Questo il messaggio che l’onnipresente Elon Musk, ben sapendo quali corde toccare, ha indirizzato alla manifestazione di apertura della campagna elettorale dell’Afd, il partito nazionalista e xenofobo in grande crescita nella Repubblica federale. Un partito nel quale circola apertamente una gran voglia di revisionismo storico con tonalità negazioniste, un riciclo strisciante di concetti e linguaggi nazisti e un’esplicita rivendicazione di restaurazione della «grandezza germanica» finalmente emancipata dalla memoria del regime hitleriano e dei suoi orrori, nonché dagli insegnamenti di prudenza e responsabilità che si dovrebbe continuare a trarne. Insegnamenti che riguardano il rispetto dei diritti di tutti e la protezione di chiunque sia vittima di sterminio, persecuzione e sopruso.

La destra tedesca da tempo ritiene invece di aver saldato il conto della Germania con gli ebrei e con il mondo, giurando fedeltà allo stato di Israele e avallando incondizionatamente le sue azioni e le sue politiche. E proprio a questo patto assolutorio viene sovente piegata quella unicità della Shoah che dobbiamo certo riconoscere, almeno per quello che concerne la storia moderna dell’occidente, ma non contrapporre al messaggio universale che contiene.

E che impegna tutti, israeliani compresi, non solo a scongiurare il ripetersi di tanto orrore, ma anche il riaffiorare di alcuni dei suoi immancabili ingredienti: dall’idea di purezza etnica e culturale al suprematismo, al disprezzo per l’altro.

Questi veleni circolano abbondantemente oltre che tra le formazioni nazionaliste europee e statunitensi, nella destra messianica israeliana e nella politica guerrafondaia di Netanyahu, dove si traducono su scala fuori misura in distruzione e morte.

Vi è un nesso, anche se non proprio una identità, tra l’immagine impressionante della marea umana che sciama disorientata tra le rovine di Gaza lungo la riva del mare e il gruppetto di migranti in catene caricati nella stiva di un aereo per essere espulsi dagli Stati uniti di Donald Trump.

A essere raffigurate, in entrambi i casi, sono persone che non hanno più posto, negate nella loro umanità e ridotte a rappresentare una zavorra o una minaccia. Un’eccedenza, un puro e semplice ostacolo al quieto vivere di quella normalità arrogante, indifferente e feroce che si sogna omogenea. Lo gridano quelli dell’Afd, invocando deportazioni di massa chiamate con l’ipocrita neologismo di «remigrazione», lo sbraita il leader dei democristiani tedeschi che ne rincorre i sentimenti xenofobi. Mentre Trump propone, tra gli applausi della destra coloniale israeliana, di svuotare Gaza dall’ingombrante umanità che la abita per trasformarla in elegante località balneare di Israele.

Non è allora sufficiente ribadire – nella giornata che le abbiamo dedicato – la memoria monumentale dell’olocausto nella sua unicità integrale ed estrema.

Sono anche i diversi elementi che vi hanno condotto e che tornano a seminare odio e sopraffazione in chiave antisemita, ma non di meno contro i palestinesi e i migranti, che non possiamo permetterci di perdere di vista.

Marco Bascetta, il manifesto, 28 gennaio 


 

Sulla prima pagina del Corriere della Sera l'articolo di Walter Veltroni e "il flusso infinito dei palestinesi sfollati che, con i sacchi in spalla, camminano verso il Nord della Striscia" ... (28 gennaio 2025)


"La valenza plateale del gesto della firma di Trump ... sta a dire che per fare qualcosa serve e basta una penna; che se ti impantani nella gelatina delle commissioni del congresso, nei tempi delle aule parlamentari, nelle faide tra partiti e correnti, non ne uscirai mai ... Se la democrazia non troverà un modo per diventare più veloce trasparente alla fine sarà travolta dall'inchiostro, tutto di un colore, delle penne di presidenti o di nuovi zar che si disinteressano esplicitamente di regole ed equilibri" ... (Walter Veltroni, Corriere della Sera,  28 gennaio 2025)








Sulla prima pagina di la Repubblica l'articolo di Paolo Gentiloni "Una difesa comune per l'Europa" ... (27 gennaio 2025)
 










"Un Fondo del valore di 500 miliardi sarebbe una risposta competitiva verso gli stessi USA sul piano industriale, ma pienamente cooperativa su quello geopolitico, dal momento che questo pilastro europeo non potrebbe che essere complementare alla NATO" ... (Paolo Gentiloni, la Repubblica, 27 gennaio 2025)








Il giorno dopo Gentiloni, la Repubblica pubblica ancora in prima un articolo di Carlo Galli: "Davanti a Trump il dilemma della sinistra" ... (28 gennaio 2025)
 







"Ma resta da pensare qualcosa di ancora più concreto, la strategia, il disegno complessivo dell'intera battaglia politica: restano definiti poco incisivamente i suoi obiettivi generali, non è chiaro se c'è l'accordo sul comandante in capo, e soprattutto come motivare i cittadini, come trasmettere loro il movimento, un'energia paragonabile a quella che anima le destre. Come proporre gli antichi ideali di emancipazione umana in modo da essere compresi anche dai molti che la destra induce a confondere il progresso col futurismo, la sicurezza con la rabbia, la libertà con la guerra. Senza affrontare questo livello del problema non è probabile che si possa invertire il segno politico dei nuovi tempi". (Carlo Galli, la Repubblica, 28 gennaio 2025)














Su il Fatto Quotidiano le riflessioni e le tesi di Barbara Spinelli su Stati Uniti d'America ed Europa al tempo di Donald Trump, di Vladimir Putin, di Ursula Von Der Leyen e di Giorgia Meloni: "l'eventuale disimpegno americano dalla NATO sarebbe manna per l'Europa" ... (26 gennaio 2025)

5 commenti:

  1. Disimpegno americano dalla Nato? Non credo avverrà mai. È una forma di controllo sui paesi che aderiscono alla Alleanza. Qui in Italia hanno basi su cui esercitano piena sovranità.
    L.

    RispondiElimina
  2. L'ideologia del "numero chiuso" è un residuo coloniale improponibile nel 2025. La sfida che l'Europa può lanciare va giustamente ricercata in valori di libertà. eguaglianza e fratellanza validi nell'universo mondo: il riarmo è la negazione, come l'uso della forza militare per risolvere le controversie e i conflitti. I 16-17 gradi di temperatura nei giorni della merla in Emilia Romagna, le piogge intense e il vento forte che abbatte alberi e scoperchia palestre e piscine nel bolognese suggeriscono di concentrare gli investimenti su opere di prevenzione e adattamento ai mutamenti climatici in corso. Altrimenti i danni saranno sempre peggiori.
    Ciao!

    RispondiElimina
  3. Io sto con una "bandiera" come Luisa Morgantini!
    Anna

    RispondiElimina
  4. Infine l'esposizione a Palazzo D'Accursio per qualche settimana della bandiera israeliana è servita per togliere dalle finestre del Municipio quella palestinese.
    Della serie: L'incapacità del Pd di scegliere!
    DG

    RispondiElimina
  5. Trovo la dottrina di Trump e Meloni - Salvini del numero chiuso disumana, ma non mi piace neppure che il centro-sinistra bolognese si ponga equidistante tra palestinesi e israeliani. Il ritiro della bandiera palestinese in assenza del riconoscimento di Tel Aviv dei diritti primari di quel popolo è un cedimento ingiustificato alle pretese del più forte e del più arrogante.
    No, non va!

    RispondiElimina