sabato 9 maggio 2020

Sbilanciamoci (2) Per un sistema produttivo di qualità

L'appello di medici, ricercatori, cittadini per un'Italia diversa




Taranto. Il grande complesso industriale Arcelor Mittal, già ILVA (settembre 2016))


















L’emergenza ci ha fatto pensare alle attività “essenziali” e a quelle di cui si può fare a meno. I beni alimentari, le produzioni sanitarie e i servizi pubblici da un lato; le grandi navi al centro del contagio, la produzione di armi, il calcio in tv tutte le sere dall’altro. È una riflessione da cui partire nel progettare la ricostruzione dell’economia del paese. Non può essere “il mercato” – com’è stato in passato – a stabilire che cosa produrre sulla base dei profitti ottenibili. Il che cosa e come produrre deve emergere da una visione del bene comune, da scelte sociali e politiche che definiscano un modello di sviluppo di qualità, con attività ad alto contenuto di conoscenza e tecnologia, alta qualità del lavoro, e piena sostenibilità ambientale. 
Dopo vent’anni di recessione e ristagno dell’economia italiana, un nuovo sviluppo ha bisogno del ritorno all’“economia mista” del dopoguerra, con un forte intervento pubblico nella produzione, nelle tecnologie, nell’organizzazione dei mercati, orientando in modo preciso le scelte delle imprese attraverso le politiche della ricerca, industriali, del lavoro, ambientali.

L’azione pubblica nell’economia deve appoggiarsi su una pubblica amministrazione rinnovata, efficace, capace di operare per l’interesse pubblico. Occorre riordinare la presenza dello Stato nelle grandi imprese italiane in un gruppo industriale pubblico. Serve una Banca pubblica d’investimento che rinnovi e estenda la Cassa Depositi e Prestiti. Serve una rinnovata azione pubblica che ridimensioni, controlli e regoli la finanza privata. Serve una radicale trasformazione del ruolo del CIPE. Serve un’Agenzia nazionale per l’industria e il lavoro che intervenga per far ripartire le imprese messe in ginocchio dalla crisi e ne rilanci le produzioni. Serve un’Agenzia per la ricerca e sviluppo, l’innovazione, gli investimenti in nuove tecnologie. Serve un’Agenzia pubblica che indirizzi le produzioni legate al sistema sanitario del paese. Serve un soggetto economico pubblico che guidi la transizione verso la sostenibilità ambientale. Nuove imprese possono nascere con capitali privati e partecipazioni pubbliche iniziali. La domanda pubblica può essere utilizzata per stimolare innovazioni e investimenti.

Dalla politica di questi anni fondata sul sostegno indiscriminato alle imprese, attraverso facilitazioni e incentivi fiscali, bisogna passare al sostegno selettivo e mirato di produzioni e attività economiche strategiche e utili al paese: infrastrutture materiali e sociali, attività ad alta intensità di conoscenza, innovazione e lavoro qualificato. Al posto delle politiche “orizzontali” che lasciavano fare al mercato, l’impegno pubblico per la ricostruzione dell’economia potrebbe concentrarsi in tre aree: la sostenibilità ambientale, le attività per la salute e il welfare, le tecnologie digitali. I primi due ambiti sono discussi nei punti successivi. Le tecnologie digitali hanno applicazioni in tutta l’economia: il web, l’informatica, il software, le comunicazioni, le apparecchiature elettroniche, i servizi digitali pubblici e privati. Qui l’Italia ha perso grandi capacità produttive e si è abituata a importare quasi tutto dall’estero; si devono ricostruire le competenze necessarie per uno sviluppo di qualità e occorre garantire a tutti gli italiani un servizio universale di banda larga minima.
All’opposto, ci sono produzioni da ridimensionare e riconvertire, utilizzando gli stessi strumenti di politica industriale: innanzi tutto l’industria delle armi, che non producono sicurezza, ma nuovi conflitti, poi le produzioni ambientalmente insostenibili (punto 2) e le attività e i servizi di più bassa qualità sociale.
Ci sono grandi imprese in difficoltà da anni – come Ilva e Alitalia – per cui è essenziale un intervento diretto dello stato per realizzare le necessarie riconversioni e mantenere le attività economiche. L’estensione del “golden power” del governo a diversi settori produttivi essenziali per l’economia italiana è un passo significativo per proteggere l’industria nazionale di fronte ai rischi di acquisti da parte di imprese straniere. Occorre però una programmazione più ampia con le imprese; vanno sviluppati accordi di lungo periodo con gruppi di imprese italiane e con le multinazionali che producono in Italia, offrendo i benefici di queste politiche e della domanda pubblica in cambio di piani precisi di produzione, garanzie contro la delocalizzazione all’estero delle produzioni, mantenimento della sede nel nostro paese e pagamento delle tasse in Italia, reinvestimento dei profitti, ricerca, occupazione qualificata.

Per favorire il miglioramento tecnologico delle produzioni italiane è necessario un massiccio investimento nella scuola, nella ricerca pubblica e nell’università, ritornando ai livelli di spesa e personale di dieci anni fa e favorendo il ritorno dei ricercatori italiani emigrati all’estero. Nella pubblica amministrazione e nelle imprese occorre aumentare le competenze e le capacità innovative, spingendo le aziende sulla via della ricerca e delle nuove tecnologie.

Nel ricostruire la base produttiva del paese è essenziale rovesciare la divergenza tra poche aree dinamiche – in Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto, Piemonte –, un Centro-nord che ristagna o declina e un Mezzogiorno abbandonato a se stesso. La riduzione dei divari, nelle capacità produttive prima ancora che nei redditi, tra le regioni italiane dev’essere un obiettivo prioritario della nuova politica industriale.
L’eliminazione dei divari tra i territori del nostro paese è lo strumento più efficace per combattere mafie e criminalità organizzata. È inoltre necessaria la tracciabilità ai fini antimafia dei pagamenti legati ai fondi pubblici per l’emergenza.

Un ritorno all’intervento pubblico non è privo di difficoltà e rischi. Serve una nuova generazione di politiche che evitino di cadere negli errori passati: la collusione tra potere economico e politico, la corruzione e il clientelismo, la mancanza di trasparenza e di controllo democratico. Servono una politica e una pubblica amministrazione con alte competenze, capacità di organizzare le risorse del paese e dare risposte ai bisogni. Per cominciare, è necessario ripristinare regole sul meccanismo delle “porte girevoli”, e rompere così la pratica del passaggio continuo di manager e banchieri a responsabilità pubbliche e di politici a responsabilità aziendali, una fonte di collusione e corruzione; passaggi di questo tipo possono essere possibili solo dopo almeno cinque anni di interruzione degli incarichi precedenti.
Per assicurare la coerenza delle politiche realizzate è necessario prevedere meccanismi di valutazione – trasparenti e partecipativi – degli impatti a breve e lungo termine degli strumenti messi in campo.

Accanto all’esigenza di un nuovo modello di crescita economica, c’è bisogno di cambiare il metro di misura che abbiamo. Vanno sviluppate misure efficaci del benessere e della sostenibilità, a partire dal BES (il Benessere Equo e Sostenibile documentato dall’Istat) per poter valutare i progressi del paese verso un nuovo sviluppo.

(2, continua)

Taranto. Per il quartiere Tamburi,  il cimitero e la Città ... cambiare strada (settembre 2016)

4 commenti:

  1. Con un PIL in caduta libera, assumere come metro di valutazione il BES sarebbe opportuno.
    s.

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    1. Sono parametri distinti.
      Il primo stoltamente ideologizzato e da ridimensionare.
      Il secondo da assumere e valorizzare.
      Da oltre 30 anni "il futuro di noi tutti" dipende da "una nuova contabilità nazionale" e globale che "consideri e calcoli i costi del degrado ambientale e i costi del risanamento; che tabuli accanto al valore aggiunto oggi, il valore sottratto domani; che affianchi alla capitalizzazione economica la contemporanea decapitalizzazione ambientale; che proceda alla attualizzazione del danno futuro e all'ammortamento del danno attuale; che insomma eviti di considerare l'ambiente un lusso, un optional, una superfluità, una sovrastruttura, quando invece è un cespite da conservare e tutelare, una condizione basilare dello sviluppo, una necessità fisiologica vitale dell'economia; e che quindi introduca in ogni calcolo nazionale o aziendale quell'elemento, senza il quale avremmo crescita zero, morte, odio, squallore ... Non più economia, ma eco-economia". Giorgio Ruffolo, marzo 1988, dalla Prefazione al Rapporto della Commissione Mondiale per l'Ambiente e lo Sviluppo dell'ONU presieduta dalla signora Gro Harlem Brundtland.
      Gianni

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  2. Non credo che questo governo abbia le condizioni per praticare questi progetti in buona parte sensati ed utili.
    Dal Bes al ripristino della autorevolezza e del ruolo dei poteri pubblici in economia.
    Perché ci vorrebbero grandi risorse, che chi le possiede..... non è disposto a concederle (vedi gli attacchi di Confindustria edizione Bonomi).
    E l'Europa persegue altri indirizzi, condizionata da Stati forti che pensano di lucrare dalle crisi dei paesi in crisi.
    Nik

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    1. Di questo Governo vedo alcuni importanti limiti: nel prospettare una svolta ambiziosa e radicale rispetto alle politiche neo-liberiste praticate negli ultimi decenni; nel cambiare le priorità degli investimenti pubblici locali e nazionali in direzione di "un'Italia in salute, giusta e sostenibile"; nel muoversi con sufficiente coerenza e unità di intenti.
      E tuttavia, allo stato delle cose, non vedo maggioranze politiche alternative, né Governi che possano offrire maggiori garanzie di muovere passi nella direzione necessaria.
      E' piuttosto necessario sviluppare un protagonismo critico e propositivo che partendo dalle emergenze del presente (sanitarie, ambientali, sociali ed economiche) incida sulle rappresentanze istituzionali e sui vari livelli di governo (locali e nazionali, europei ed internazionali) per accelerare processi di giustizia sociale, di conversione ecologica e di partecipazione democratica.
      Gianni

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