"Cosa vogliono fare"? Scrive Vittorio Emiliani ... (il Fatto Quotidiano 29 gennaio) |
È una buona notizia che l’Emilia Romagna non sia passata sotto il governo di estrema destra della Lega, e che il plebiscito mediatico costruito da Matteo Salvini non sia andato a buon fine. Ma francamente sono molto scettico, e a tratti preoccupato, per la lettura entusiastica che di questo passaggio elettorale si sta dando anche nella sinistra che da tempo ha saggiamente deciso di non vedere nei turni elettorali i generatori del futuro (ma semmai di investire in quella rete dal basso di cui fa parte anche una realtà come “Volere la luna”). Provo a spiegare perché.
Innanzitutto, mi pare che la retorica post-elettorale stia inducendo a travisare i reali contorni numerici, e con essi i moventi profondi di quello che è successo. Come ha ben scritto Marco Revelli la maggior parte del territorio dell’Emilia Romagna (e proprio la parte più povera, e in ogni senso marginale) ha votato Lega. E se si guardano i numeri assoluti, c’è ben poco da stare allegri: Bonaccini ha avuto, infatti, 1.195.742 voti e la Borgonzoni 1.014.672. Non certo ordini di grandezza così lontani (lo scarto è di 181.000 voti): anzi, abbastanza vicini da indurre a parlare di una regione spaccata quasi esattamente a metà, in cui né il mito buon governo né la pregiudiziale antifascista sembrano poi così ben in salute. A fare la piccola, ma decisiva, differenza finale è stata evidentemente l’affluenza al voto (indubbiamente favorita dal clamore mediatico suscitato dalle Sardine), che però è ben lungi dall’essere da record: attestandosi al di sotto del 70 per cento e al secondo posto negativo nella storia delle elezioni regionali emiliane. Di meno gli emiliani avevano votato solo quando elessero il Bonaccini 1 (che nel 2014 fu votato dal 49% di un’affluenza bloccata al 37,7%). Anche la retorica del popolo chiamato in massa a scongiurare la caduta della città in mano ai barbari non fa dunque i conti con la realtà di un terzo degli aventi diritto al voto che rimane tranquillamente a casa, trovando indifferenti le due soluzioni sul piatto.
È dunque abbastanza evidente che domenica scorsa non ha vinto né Bonaccini né il “buon governo” né tantomeno il Partito: ha vinto (e davvero di misura) un comprensibile voto contro. Contro Salvini, e il suo fascismo citofonico. Ma si tratta di una vittoria paradossale: la presenza di una estrema destra potenzialmente eversiva del sistema di valori costituzionale, diventa di fatto la garanzia del mantenimento al potere di quella destra (non sempre) moderata che è diventato il Pd emiliano.
A chi trovasse quest’ultima una definizione eccessivamente severa, ricordo: l’allineamento dell’Emilia Romagna di Bonaccini al progetto della “secessione dei ricchi” attuato attraverso l’autonomia differenziata, massimo obiettivo politico della Lega; una legge urbanistica mangia-suolo da palazzinari anni ’50, la peggiore d’Italia; l’opposizione di Bonaccini alla pur timidissima plastic tax del Conte bis: il segno di uno sviluppismo insostenibile, del tutto disinteressato al futuro; l’incapacità (nel migliore dei casi) di arginare una infiltrazione della ‘ndrangheta che sfigura in modo drammatico il tessuto economico e civile della regione; una sanità sempre più tagliata e privatizzata, con il consenso di Lega e Forza Italia in consiglio regionale; una politica securitaria e razzista indistinguibile da quella leghista (si legga per esempio il libro recentemente dedicato da Wolf Bukowski alla Buona educazione degli oppressi). Ora, non c’è dubbio che la Lega avrebbe potuto far peggio: in certi casi un po’ peggio, in altri molto peggio. E soprattutto non c’è dubbio che a fare le spese di questo ulteriore peggioramento sarebbero stati i più fragili.
Ma da qua a dire che “ha vinto la sinistra” ce ne corre davvero molto. Invece, il rischio è proprio questo: un ulteriore spostamento a destra dell’intero quadro politico, con le forze a sinistra del Pd che confluiscono “felicemente” in quest’ultimo. Se l’infelice presenza di LeU nel governo Conte bis (un governo, giova ricordarlo, che non riesce a modificare le leggi più “fasciste” del governo Conte Uno) è stato un anticipo di questa “soluzione finale”, l’intervista post-elettorale di Nicola Fratoianni al Manifesto ne tratteggia la road map, prospettando entusiasticamente per la sinistra politica nazionale un destino “emiliano”: e cioè un permanente e strutturale fiancheggiamento critico del Pd in nome del frontismo antileghista. Di fatto, una confluenza in nome dell’emergenza. Sarebbe l’accomodarsi permanente della sinistra politica al tavolo di potere di un centro-sinistra più che mai determinato a non cambiare alcunché di se stesso: e che nel momento in cui riesce a presentarsi come efficace baluardo contro i nuovi fascisti, non ha più nemmeno il bisogno di far finta di cambiare.
Non per caso, l’eclissi (momentanea o definitiva, ma certamente ampiamente meritata) del Movimento 5 Stelle ha immediatamente indotto il Pd e i commentatori di area a prospettare l’abbandono del progetto di legge elettorale proporzionale e l’adozione di un maggioritario ancora più sbilanciato dell’attuale. Il che equivarrebbe a smontare un altro pezzo di democrazia in nome della perpetuazione della propria rendita di potere. Una chiusura dalle conseguenze gravissime: e non solo perché potrebbe approfittarne proprio la Lega, ma per lo stravolgimento di ogni dinamica democratica. Perché nel maggioritario importa solo vincere, non essere giusti. Comandare, non rappresentare. Decidere, non includere. Ed esultando per la vittoria del “male minore” (ma proprio il male minore che ha generato alla fine il male maggiore che oggi dice di arginare) siamo già sprofondati in questa deviante logica binaria che non conosce alternative possibili.
La prima conseguenza di questa “mentalità maggioritaria” è il congedo del pensiero critico. Perché entrando nel gioco del potere si possono ottenere delle “cose” (come l’ottima gratuità del trasporto regionale per i più giovani, che la lista ER Coraggiosa ha felicemente strappato a Bonaccini), ma al prezzo di rinunciare a un’analisi critica senza sconti, che prospetti la necessità di una alternativa radicale allo stato delle cose. Ovvio: questa proposta radicale non certo è incarnata dal dato grottesco delle tre sigle più o meno comuniste che in Emilia si sono spartite pochi decimali: ma questa tragicomica inadeguatezza rende più pesante, e non già più lieve, la responsabilità di chi potrebbe costruire consenso, e sceglie di farlo per il Pd, e dunque in ultima analisi per lo stato delle cose. In questo senso è istruttivo l’entusiasmo, paternalistico e lievemente maschilista, che sta suscitando nelle roccaforti del pensiero unico di centro-sinistra l’esperienza della bella figura di Elly Schlein: gli stessi che non l’hanno mai appoggiata nelle coraggiose scelte di rottura (l’uscita dal Pd), la lodano ora perché è tornata (e, dal loro punto di vista, in condizione ancillare) all’ovile democratico, esaltandone (contro le sue stesse intenzioni) la personalità individuale (a scapito dell’impresa collettiva della sua lista), secondo i precetti del culto leaderistico che anima il maggioritario. Sono gli stessi commentatori che, se un identico 4% fosse stato conquistato fuori dalla santa alleanza Pd, ne avrebbero irriso il velleitarismo minoritario.
Quanto alle Sardine, non riesco proprio a condividere l’entusiasmo così poco analitico di molti amici. È innegabile l’anelito democratico e partecipativo con cui migliaia di cittadini ne accolgono l’invito a scendere in piazza, ma come non vedere che anche questa bella novità ha di fatto giocato a favore del mantenimento dello stato delle cose, e del sostegno acritico a un governo che tutto è tranne che di sinistra, come quello di Bonaccini? In queste ore, le Sardine della mia Toscana hanno diffuso un appello all’«unità dei progressisti» (che significa l’invito a sottomettersi a posteriori alla pessima candidatura imposta da Renzi al Pd, quella di Eugenio Giani di cui ho scritto ampiamente in questo sito) in cui si legge: «Rivendichiamo l’efficienza di una Regione che è modello di riferimento per il Paese in materia di cultura, turismo e di distretto industriale». Dove colpisce non solo il fatto che si siano ben guardate dal prendere la parola prima, per evitare questa scelta scellerata e lo facciano ora per farla digerire in nome dell’antifascismo, ma ancor più il linguaggio inconfondibilmente di destra (l’«efficienza»!), e la totale sudditanza alla propaganda di un modello radicalmente insostenibile: perché dire che Firenze è un modello in materia di turismo e cultura (!), e sostenere un programma che ha al primo punto le Grandi Opere e lo sventramento della Maremma è come dire che la permanenza delle Grandi Navi in Laguna è un traguardo ecologico. Insomma: le Sardine stanno giocando, nei fatti, come truppe irregolari di questo bruttissimo Pd, e come alfieri dell’egemonia del pensiero unico della destra da cui non si riesce ad evadere.
In conclusione, non riesco a sottrarmi in queste ore a un rovello: che scandalizzerà qualche benpensante, ma che vale forse la pena di far affiorare. Davvero dobbiamo festeggiare di fronte a una Emilia Romagna in cui un milione più spiccioli vota Bonaccini, un milione vota Salvini e un altro milione non va a votare? Se esultiamo di fronte a questo quadro francamente disastroso, è solo perché la nostra idea di democrazia è ormai così povera da ridursi esclusivamente alla dimensione del governo, e non ci accorgiamo del danno culturale e morale inflitto da questo ennesimo restringimento dello spazio critico, indotto dall’illusione ottica per la quale siccome lo “schema Bonaccini” (fermare la destra estrema con la destra moderata) ha avuto successo, allora è anche uno schema giusto. Anzi, loschema giusto per tutto il Paese. Al contrario, non sarebbe necessario chiedersi se – su quella lunga distanza che non sembra interessare a nessun osservatore della scena politica italiana – avrebbe fatto davvero più danni un passaggio del governo dell’Emilia Romagna alla Lega (che del resto governa già – e sembriamo a questo rassegnatissimi – Lombardia, Veneto, Piemonte…), o invece se ne farà di più questa tombale legittimazione di un Pd di destra? Visto tra dieci anni, penseremo ancora che questo sia stato il male minore? E penseremo ancora che il “voto utile” lo sia veramente stato?
La domanda, insomma, è questa: se lo spostamento a destra del Pd ha creato le condizioni per un’egemonia culturale di destra che ha portato metà dei votanti emiliani a votare Lega, cosa succederà con un altro mandato di governo di quello stesso Pd? Pur di fermare Salvini, dicono ormai quasi tutti, va bene qualunque cosa: va bene anche slittare tutti insieme così tanto più a destra. Va bene anche restringere ancora lo spazio di immaginazione di un’Italia diversa. Va bene fare (quasi) le politiche di Salvini. Per parafrasare una celebre battuta su Berlusconi attribuita a Giorgio Gaber, il timore è che per fermare il “Salvini in sé”, sembriamo ormai tutti disposti a fare spazio al “Salvini in me”. Non mi pare ci sia poi molto da festeggiare.
Per il momento siamo sicuri che ha vinto Bonaccini. E' successo perché tanti a sinistra lo hanno votato. A gratis. Borgonzoni - Salvini no, grazie!
RispondiEliminaMontanari ed Emiliani dicono molte cose giuste: autonomie differenziate, consumo di suolo continuato e nuove autostrade sono scelte sbagliate. Le stesse che avrebbero fatto la Lega e le destre.
Occhi aperti.
Del resto quest'anno si voterà ancora in molte altre regioni e poi il prossimo anno a Bologna e altrove.........
Occhi aperti e memoria lunga.
Raffa
Concordo Raffa. Bonaccini è stato votato "a gratis" da tante persone di sinistra che non volevano la vittoria di Borgonzoni e Salvini.
EliminaE, non dimentichiamolo, anche da elettori di centro, di destra e di potere che hanno apprezzato le sue politiche e le sue promesse ...
Si, occhi aperti, capacità critica e partecipazione attiva.
Gianni
Dire come Montanari che la Destra estremista non si sconfigge con una Destra moderata mi trova d'accordo. Si potrebbero fare vari esempi.
RispondiEliminaAnche in Emilia ci fosse stato questo confronto elettorale Salvini avrebbe vinto.
I risultati dicono che hanno vinto Bonaccini, il CentroSinistra e le sardine. Il Centro rappresentato da esponenti di Italia Viva e Azione inclusi nella lista Bonaccini e da componenti del PD e la Sinistra di Coraggiosa e di una parte del PD. Non tutta la Sinistra perchè qualcuno o qualche due o tre hanno corso senza successo.
Chi ha perso sono i 5 stelle e Forza Italia. Salvini fatico a dire che ha perso essendosi consolidato nonostante le provocazioni e le posizioni da ultrà. E così i Fratelli d'Italia.
Quanto alle sardine penso siano state decisive con la loro carica ed una ingenuità che ha trascinato (alla partecipazione ed al voto) e speriamo non le travolga (con la strumentalizzazione alla Benetton).
Antonio
Antonio, continuiamo a discutere. Confrontiamo tesi ed antitesi. Senza reticenze e pregiudizi. Sui contenuti, nel merito.
EliminaLa crescita economica e sociale fin qui perseguita ha prodotto lavoro e reddito. Ma anche tanto inquinamento e profonde ingiustizie, precarietà e insicurezza diffusa.
È "buongoverno" procedere così?
Oppure si impongono scelte nuove e diverse?
Quali grandi opere vogliamo abbiano precedenza?
Privilegiamo la cura delle malattie e degli infortuni o ci concentriamo sulla prevenzione?
Per ridurre le auto in circolazione potenziamo le strade e le autostrade o investiamo decisamente su ferrovie, trasporti pubblici e mezzi non inquinanti?
Continuiamo con queste concessioni e con questi gestori delle infrastrutture o cambiamo interlocutori e sistema?
Continuiamo con le trivellazioni e gli idrocarburi o scegliamo e pratichiamo energie alternative rinnovabili?
L'Emilia Romagna vuole esercitare una funzione nazionale nella conversione ecologica o ci accontentiamo di seguire nel gruppo?
Che significa nel mondo di oggi costruire futuro? Per non finire come tanti pesciolini nelle reti tese da vecchi esperti pescatori?
Gianni
Montanari mi pare estremizzi e gli vorrei chiedere: se invece di Bonacccini avesse vinto la Borgonzoni il quadro politico nazionale si sarebbe spostato più a sinistra?
RispondiEliminaCondivido invece ciò che dice Emiliani. Manca la cura necessaria per l'ambiente e la salute umana. Ha ragione Greta, bisogna fare molto più. Anche in Emilia Romagna.
Anna
Anna, in attesa della interessante risposta dell'autore dello scritto, abbozzo un personalissimo parere: con Borgonzoni e Lega al governo della Regione non avremmo migliorato né l'Emilia Romagna, né l'Italia. Lo avessi pensato l'avrei detto.
EliminaMa fino a quando dovremo continuare a votare solo per "evitare il peggio"?
E quando sarà il tempo giusto per provare a costruire un futuro meno incerto ed insicuro per tutti noi è per le generazioni future?
Una democrazia che induce un cittadino a scegliere tra due "non soluzioni" mostra una grandissima fragilità.
Per questo a me pare che molte considerazioni di Montanari siano condivisibili e utili per riflettere, discutere ed affrontare le scadenze che ci attendono.
Gianni
Montanari ha ragione da vendere. In Emilia Elly Schlein è sotto attacco per le cose che dice da Italia Viva e vedremo presto gli effetti negli assetti di Giunta e nelle priorità di programma. In Italia è partita l'offensiva di Renzi che dichiara guerra al giustizialismo (dei 5 stelle). Da sintetizzare nella retromarcia richiesta al governo Conte sulla legge relativa allo stop alla prescrizione dopo sentenza di primo grado. Ma c'è di peggio. Il Matteo di Rignano indica la strategia da perseguire in: sbloccare i cantieri ed abbassare le tasse (testuale su Rep di oggi, intervista di De Marchis).
RispondiEliminaSe questa è sinistra???????????
Nik
Se Montanari ha ragione il conto è presto fatto.
RispondiEliminaLa Destra estremista anche in Emilia ha una forza ragguardevole in voti, % e seggi. Come mai in passato. Max storico. Tutta Salvini (vedi il vicesindaco di Ferrara) e i Fratelli di Meloni (eredi del MSI e del Fronte della Gioventù).
La Destra moderata rappresentata dal PD emiliano si conferma. Però solo recuperando voti (persi nel 2014) a scapito delle diverse liste alleate della galassia di centro e di sinistra. Con i Coraggiosi che a parte il successo di preferenze della capolista ottiene risultati alquanto modesti se si considera che questa è la terra di Bersani e di Errani.
Tutte le altre sinistre (addirittura 3) scompaiono, totalizzando insieme un irrilevante 1 (uno) %.
Insomma il nuovo consiglio regionale sarà composto da Destra estrema e Destra moderata (che include 2 soli progressisti) salvo la misera pattuglia di 2 consiglieri del m5s (che dopo la cura di Toninelli e dell'Orco) sono tornati alla consistenza del 2010.
Possibile?