A Bologna e in Emilia Romagna, in Italia e in Europa cresce la mobilitazione ... |
I fatti si susseguono. Il mondo cambia. Il Presidente degli USA riceve Vladimir Putin, giudicato e perseguito in Occidente come "criminale" per la guerra all'Ucraina. Nelle dichiarazioni conclusive la bandiera russa, al bando per eventi sportivi e culturali internazionali, sventola a fianco di quella americana. Chi ha seguito Joe Biden ed ha anteposto la "vittoria militare" ed il riarmo alla politica, alla diplomazia, alla cooperazione solidale è spiazzato. Passano due settimane e il Presidente Cinese accoglie nel suo Paese Capi di Stato e di Governo di Russia, India, Pakistan, Iran, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Uzbekistan, Turchia, Corea del Nord, Vietnam ...
Chi ha veramente pensato che le sanzioni, i conflitti armati, le guerre "umanitarie" o "intelligenti" isolassero e intimidissero "Zar", autarchi e regimi di mezzo mondo e contribuissero a sostanziare un nuovo ordine mondiale democratico, plurale, multipolare deve decisamente ricredersi.
Un lavoro collettivo per la pace che possa portare ad un nuovo pensare e a un nuovo progetto, partendo da una critica radicale al riarmo e dalla valorizzazione delle pratiche e delle esperienze dei movimenti. E delle organizzazioni pacifiste, disarmiste, nonviolente. Questo è il risultato concreto e programmatico della due giorni del Forum “Addio alle armi” che si è svolto venerdì e sabato a Cernobbio (contro le politiche e le idee neoliberiste proposte a qualche chilometro di distanza al Forum Ambrosetti).
L’obiettivo di una Italia e una Europa nonviolenta è stato l’oggetto di un dibattito e un confronto (dispiegato su varie sessioni) condotto da circa 300 attivisti ed esponenti delle principali organizzazioni e reti della società civile e del mondo del lavoro. Un confronto franco e aperto non solo per “migliorare l’analisi” e costruire una prospettiva comune di critica, ma soprattutto per rafforzare la mobilitazione unitaria e la convergenza in azioni contro il sistema di guerra. Che va sostituito da un sistema di Pace non più costruito solo dalla somma delle campagne (comunque importanti) ma da una piattaforma sistemica alternativa. Il tutto senza dimenticare la devastazione che la guerra dispiega già oggi: significativo è stato il collegamento con la Global Sumud Flottilia per ribadire il sostegno alla popolazione di Gaza massacrata da quasi due anni di disumano intervento armato dell’esercito israeliano.
Così come il ricordo e il sostegno (ideale e pratica) alla popolazione ucraina colpita da oltre 3 anni di aggressione delle forze armate russe, agli obiettori di coscienza, ai pacifisti israeliani, russi, ucraini, di tutto il mondo, che si rifiutano di imbracciare le armi e scelgono la strada della nonviolenza.
Non è solo un ricordo retorico e una liturgia: senza prendersi carico del dolore e delle ferite di tutte le vittime, civili, prigionieri, ostaggi, profughi, sfollati degli oltre 50 conflitti armati che devastano il nostro pianeta e dei migranti che vengono respinti e a cui non si dà accoglienza non sarà possibile realizzare in concreto (e non solo evocare) un cammino di Pace Positiva.
Nel documento finale del Forum “Addio alle armi!” si ribadisce in maniera esplicita come «la scelta del riarmo porta alla guerra, all’economia di guerra, impone la legge del più forte distruggendo il sistema del diritto internazionale. Il governo europeo, il governo italiano, scegliendo la strada del riarmo, imposta dalla nuova amministrazione americana, di fatto ed in modo irresponsabile si stanno preparando alla guerra abbandonando lo spirito ed i valori fondanti della Carta delle Nazioni Unite, del Trattato di Lisbona e della Costituzione Italiana. Un salto nel buio, una folle corsa verso la terza guerra mondiale, nucleare».
Al contrario “un sistema di difesa comune deve essere capace di produrre sicurezza comune dentro un quadro di una politica estera di cooperazione, di pace e di sicurezza comune”, portando dunque a una politica proiettata contro le diseguaglianze, la povertà, le discriminazioni dei migranti” e che lavori “per un’ economia disarmata per un modello di sviluppo sostenibile con il passaggio dal fossile alle rinnovabili”.
Purtroppo la strada scelta in questi ultimi anni dai Governi Nazionali e della politica (con cui il Forum promosso da Sbilanciamoci e Rete Pace Disarmo ha voluto confrontarsi, per spingere verso scelte positive) al posto di provare a plasmare un contributo concreto dell’Europa a percorsi di sicurezza comune ha deciso di cedere alla deleteria scelta di portare la spesa militare al 5%. Un patto scellerato che sottrae risorse – già inadeguate – alle scuole, agli ospedali, al lavoro, all’ambiente, a quello di cui hanno veramente bisogno i cittadini e le cittadine: il diritto alla salute, all’istruzione, ad un lavoro sicuro e tutelato, per vivere in un pianeta non più malato e prossimo al collasso.
Come contrastare tutto questo? Come riuscire a rendere concreto un cambiamento che intercetti la posizione della grande maggioranza dell’opinione pubblica italiana contraria alla guerra, al riarmo, ai massacri e uno scivolamento in senso “militarizzato” dei pensieri e delle politiche? Rilanciando una grande alleanza e convergenza di pratiche e di elaborazioni, in un susseguirsi di appuntamenti che non devono rimanere isolati e incomunicanti ma devono creare un vero cammino collettivo. Dopo il Forum “Altra Cernobbio” ci aspettano altri eventi e momenti di azione collettiva perché non è più il tempo delle parole e dei rinvii, ma l’ora della mobilitazione e della partecipazione. Che possa rendere concreto il richiamo della nonviolenza e della costruzione di una politica europea di pace.
* portavoce Sbilanciamoci
** Coordinatore Campagne Rete Pace Disarmo
Trump consegna alla Cina le chiavi dell'ordine mondiale di Fabrizio Tonello
L’egemonia americana post-1945 si basava su quattro fattori: un prodotto nazionale lordo che inizialmente rappresentava circa il 50% del pil mondiale; il dollaro come moneta di riserva per l’intero pianeta; la superiorità nucleare; il soft power in tutti i campi: consumismo, musica, cinema. Questa posizione di leadership era mantenuta e irrobustita da una infrastruttura di alleanze che coprivano il pianeta dal Polo Nord all’Australia (Nato in Europa, Seato in Asia).
Il vertice di Tianjin ha mostrato che quei tempi sono lontani. Il pil degli Stati uniti oggi è circa la metà di allora, attorno al 26%, mentre Cina e India insieme rappresentano il 24%, senza contare gli altri paesi invitati (Russia, Turchia, Iran, Pakistan e altri). Il dollaro non è più la moneta di riserva incontrastata anche se conserva un peso preponderante: oggi circa il 54% degli scambi commerciali mondiali è denominato in dollari, mentre il 30% avviene in euro, il 4% in yuan, un altro 4% in yen giapponesi e il resto in altre valute.
Le potenze nucleari nel 1945 erano una (gli Stati uniti), nel 1948 divennero due (Usa e Urss) oggi sono 9 (con Cina, India, Pakistan, Israele, Nord Corea, Francia e Gran Bretagna). Il fascino della vita americana (consumi sfrenati, corsa all’arricchimento, disprezzo per l’ambiente) si è esteso praticamente all’intero pianeta ma, proprio per questo, non è più un modello ma semplicemente la normalità del XXI secolo.
In questa situazione assai differente si potrebbe supporre che gli Stati uniti abbiano più bisogno di alleati oggi di quanto non ne avessero 80 anni fa, o anche solo 40 anni fa: al contrario, dopo il suo insediamento il 20 gennaio l’amministrazione Trump non ha impiegato neppure due settimane per dimostrare che America First significava piuttosto America Alone, facciamo da soli, non abbiamo bisogno di alleati: pagate il dazio! Non solo: la patria dell’impresa privata, il tempio del Capitalismo con la “C” maiuscola ora imita le partecipazioni statali italiane, con il governo che prende una quota di 10% di Intel, tiene a galla Boeing e annuncia altri accordi simili con le proprie multinazionali.
La brutalità con cui Trump sta estorcendo quattrini a Europa, Giappone, Canada e altri paesi “amici” ha avuto l’effetto paradossale di fare della Cina il campione del libero scambio, del rispetto delle regole internazionali, delle trattative al posto dei ricatti. Il che trascina nella sua orbita paesi che non hanno nulla a che fare con il “socialismo in salsa cinese” ma sono abbastanza grandi e nazionalisti per respingere le pretese neocoloniali di Washington: India e Brasile, per esempio. Al contrario degli inetti politici europei, da Giorgia Meloni a Emmanuel Macron passando per il cancelliere tedesco Friedrich Merz, i pur diversissimi leader di Delhi e Brasilia hanno tenuto la schiena diritta.
Più che la presenza di Putin, che ha firmato senza neanche alzare il sopracciglio la dichiarazione comune che invoca rispetto per «sovranità, indipendenza e integrità territoriale», che lui viola da tre anni e mezzo in Ucraina, a Tianjin si è vista una distensione tra India e Cina che potrebbe trasformarsi in alleanza, mettendo insieme due paesi assai differenti ma che insieme rappresentano tre miliardi di persone, un terzo della popolazione mondiale. All’incontro erano presenti anche i paesi dell’Asia centrale oltre a Iran, Turchia e Vietnam: palesemente non era un meeting di ordinaria amministrazione.
In altre parole, l’incontro è stato possibile solo e soltanto perché l’amministrazione Trump ha di fatto consegnato le chiavi del nuovo ordine mondiale a Xi Jinping: se gli Stati uniti intendono prosperare nel disordine, a lanciare l’ordine post-occidentale sarà qualcun altro. Washington è ancora in grado di fare ottimi affari, costringendo per esempio i servili governi europei a comprare energia e armi negli Stati uniti, ma il potere di coordinamento è l’essenza dell’egemonia e, se l’America rinuncia a esercitarlo, la Cina è un buon candidato alla successione.
In tutto questo il problema è che l’impero in declino può e vuole fare molti danni al resto del globo: non è chiaro quanto i paesi della Shanghai Cooperation Organization siano in grado di trovare approcci comuni a problemi come la fine della guerra in Ucraina, le tensioni fra Cina e Taiwan, il varo di una moneta alternativa al dollaro, la cooperazione commerciale fra loro. I sorrisi e le strette di mano a beneficio delle telecamere hanno mandato un messaggio potente al resto del mondo ma Xi Jinping resta Xi Jinping, Narendra Modi resta Narendra Modi e Vladimir Putin resta Vladimir Putin.
Non solo: per creare un nuovo ordine multilaterale occorre in qualche modo inglobare l’Unione europea, che in questo momento recita la parte del servo sciocco degli Stati uniti ma è pur sempre un’entità che rappresenta 450 milioni di consumatori e il 15% del pil mondiale.
(il manifesto, 2 settembre 2025)
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Illustrazione Getty Images |
L'UE all'ombra di Trump, l'inarrestabile tramonto di Marco Bascetta
Sul tramonto dell’Occidente ci si angustia e si dibatte da più di un secolo, ciononostante l’Europa si presenta del tutto impreparata di fronte alle circostanze del suo prosaico accadere. La frattura tra le due sponde dell’Atlantico è approfondita e incrudelita da Trump, ma è ben radicata nei fattori di crisi che hanno logorato la potenza americana.
E lascia i governi europei, prima ancora che l’Unione, attoniti e stupefatti. Quella frattura, che si manifesta oggi così brutalmente, non doveva semplicemente esistere, non era contemplata nel novero del possibile. Dopo il 1945 l’Europa non è riuscita neanche lontanamente a immaginarsi se non all’interno di un Occidente a guida statunitense nell’ambito del quale poter articolare, ma con prudenza, le proprie specificità e vantare le proprie virtù.
Non potendosi staccare da questo schema, ma neanche domarne le intemperanze e le crisi, l’Unione europea e i suoi membri oscillano tra sottomissione e progetti di autonomia destinati a cozzare contro crescenti egoismi e priorità nazionali. A maggior ragione la chiusura di ogni possibile interlocuzione con la Russia, il grande vicino dell’Est senza il quale, pur attraverso intrecci e vicende conflittuali, la storia europea non avrebbe il suo passato e nemmeno il suo futuro, vieta all’Unione europea di conseguire un peso rilevante su uno scacchiere globale in rapido movimento. L’alleanza con l’America costa cara, garantisce sempre di meno ma impedisce di attraversare in piena libertà i rapporti globali, di guardarsi intorno alla ricerca di nuove opportunità.
Mentre l’ideologia Maga e il suo condottiero sospingono gli Stati uniti verso assetti sempre più autoritari e il poderoso polo guidato da Cina, India e Russia è già ampiamente svincolato da obblighi democratici, l’Europa si atteggia a ultimo solitario bastione della democrazia, pur guardandosi dall’offendere Trump, chiamandolo per quello che effettivamente è. Ma la patente democratica non garantisce alcuna forma di potenza commerciale, finanziaria o militare, né attrattiva politica. E, del resto, sembra vicina alla scadenza visto il dilagare di forze reazionarie e nazionaliste in quasi tutto il continente. Il punto principale resta però quell’assenza di soggettività politica comune che l’attuale architettura dell’Unione europea esclude e che i governi nazionali avversano sempre più decisamente. E alla quale è assai pericoloso, ma anche inefficace, voler supplire con mastodontici programmi di riarmo, peraltro perseguiti su base nazionale.
È ben vero che il cosiddetto Sud globale è ancor meno omogeneo dell’Europa, segnato da innumerevoli differenze, attraversato da profonde contraddizioni e veri e propri conflitti come quello tra India e Pakistan. Ma è anche vero che i conti da saldare con l’egemonia occidentale del dopoguerra, per non parlare di quelli che risalgono alla storia coloniale, sono per molti aspetti comuni, i risentimenti condivisi e i progetti di sviluppo futuri integrabili, un legame consistente non privo di risvolti politici.
Tutti aspetti che la fine della guerra fredda e della divisione del mondo in due campi antagonisti, che tanto avevano influito sui rapporti tra Nord e Sud, hanno fatto venire pienamente alla luce. Inoltre, al centro di questo polo in costruzione vi è quella che è già a tutti gli effetti una superpotenza economica e militare, la Cina di Xi, nonché la seconda potenza nucleare del mondo rappresentata dalla Russia di Putin e paesi del peso dell’India o del Brasile. Tutte realtà politiche piuttosto solide che dispongono di una grande forza contrattuale.
L’Unione europea versa invece in una condizione di estrema fragilità: il suo centro franco-tedesco, insidiato dalle destre in costante ascesa, attraversa una fase di estrema instabilità politica. La maggioranza di centrosinistra che ha eletto e tiene in piedi la presidente della Commissione Ursula von der Leyen mostra una crescente insofferenza per il suo protagonismo tutto sbilanciato a destra e poco sensibile alle problematiche sociali. Nonostante la retorica militarista, con le sue promesse di rilancio economico e di riscossa geopolitica, l’Europa sta vivendo un suo proprio tramonto dell’Occidente, dei diritti acquisiti e delle garanzie democratiche. E finirà così col rimanere comunque subalterna e impastoiata nel campo imprevedibile, e con buona probabilità perdente, di Donald Trump.
(il manifesto, 3 settembre 2025)
Occidente. Le esecuzioni sommarie e le libertà di Mario Ricciardi
Si può vedere facilmente il filmato, perché è stato condiviso dagli account social della Casa Bianca e diffuso dai principali organi di informazione. Le immagini sono sfocate, ma si riconosce un motoscafo che procede a grande velocità con delle persone a bordo. Poi c’è un’esplosione, e il video si interrompe con lo scafo avvolto dalle fiamme.
Dalle dichiarazioni ufficiali del governo degli Stati Uniti apprendiamo che l’imbarcazione era partita dal Venezuela, e trasportava undici membri del Tren de Aragua e un carico di stupefacenti. A colpirla sono state le unità della marina militare statunitense che da qualche tempo Trump ha inviato a largo del Venezuela. L’account della Casa Bianca ci dice che le undici persone uccise erano dei “narcoterroristi”.
A questo punto dovremmo fidarci di quello che dice l’account della Casa Bianca, perché non ci sarà un processo per accertare la responsabilità di ciascuno dei passeggeri a bordo dell’imbarcazione. La parola “terrorista” dovrebbe tacitare i nostri dubbi, ma visto l’uso disinvolto che se ne fa recentemente (basta pensare al caso di “Palestine Action” nel Regno Unito) la perplessità rimane.
Nei sistemi giuridici liberali, figli dell’illuminismo, la responsabilità penale è personale, e ciascuno dovrebbe rispondere solo di quello che ha fatto, non di ciò che hanno fatto i suoi compagni di viaggio. Le colpe di cui si viene accusati dovrebbero essere accertate, oltre ogni ragionevole dubbio, nel corso di un dibattimento in cui agli imputati è garantita una difesa e un processo equo. Uso il condizionale perché non sono più sicuro che sia così. Almeno non per tutti. Se sei venezuelano, nigeriano, libanese o palestinese le regole del nostro diritto liberale e illuminista a volte non si applicano.
Mi rendo conto che per alcuni il semplice fatto di trovarsi in un certo luogo è ragione sufficiente per essere eliminati (dal missile al drone, passando per il pager esplosivo, la lista degli strumenti a disposizione per queste esecuzioni sommarie è piuttosto lunga, e le informazioni per gli acquirenti sono facilmente disponibili on-line), ma continuo a pensare che aver raggiunto il livello di civiltà giuridica di cui un tempo andavamo orgogliosi (giustamente) e che indicavamo agli altri come un modello, sia stato un genuino progresso morale: il riconoscimento della piena eguaglianza di chiunque davanti alla legge penale, il diritto di ciascun essere umano di essere trattato come una persona, non come un animale da abbattere perché crediamo che possa essere pericoloso.
Quando politici e opinionisti gonfiano il petto e affermano la superiorità dei “valori occidentali” è sempre più difficile non pensare che lo stesso tipo di suprematismo è stato utilizzato in ogni parte del mondo per dare una patina morale alle peggiori nefandezze. Proprio negli Stati Uniti, era quel senso di superiorità rispetto ai “selvaggi” che stava dietro a alcune delle peggiori stragi di cui sono stati vittime i nativi. A Sand Creek, per esempio, nel 1864, furono centinaia tra uomini, donne e bambini. In quel caso, l’accusa non era traffico di stupefacenti, ma furto di bestiame. Anche a Camp Grant, nel 1871, l’accusa era quella. Le vittime furono centoquarantaquattro. Secondo il comitato composto dai possidenti del luogo gli indiani erano dietro a qualunque furto, e per questo non meritavano un processo, andavano eliminati tutti, comprese le donne e i bambini. L’elenco potrebbe andare avanti a lungo, e non sarebbe che un tassello del mosaico di violenza su cui è stato edificato lo sviluppo economico degli Usa nel diciannovesimo secolo. Roba vecchia? Temo proprio di no, e bisogna riconoscere che il ricorso alle esecuzioni sommarie non è stato reintrodotto da Trump. Nel corso dei due mandati presidenziali di Obama le esecuzioni sono state più di cinquecento, e hanno colpito “obiettivi” in Yemen, Somalia e Pakistan. Le cifre dei morti sono incerte – secondo alcuni potrebbero essere oltre ottocento – e ovviamente erano tutti terroristi. O almeno così ci dicono.
Ieri un’altra immagine ha fatto il giro del mondo, quella dei leader di Russia, Cina e nord Corea insieme a Pechino per assistere a una grande parata militare. Mancava Trump, ma non ci sarebbe stato male in quella compagnia. C’era un tempo, non molti anni fa, in cui gli Stati Uniti e l’Europa, nonostante le proprie magagne passate e attuali, avrebbero colto l’occasione per richiamare Xi Jinping, Putin e Kim Jong Un al rispetto dei diritti umani, del diritto penale internazionale e dei principi della democrazia. Oggi questo atteggiamento da parte dei leader occidentali provocherebbe probabilmente una scrollata di spalle, e l’invito a guardare in casa propria. La libertà di espressione, il carattere personale della responsabilità penale, la libertà di protestare pacificamente non sono messe in pericolo dai nostri nemici, reali o immaginari, ma da noi stessi.
(il manifesto, 4 settembre 2025)
Palestina. Sciopero generale per fermare il genocidio di Francesco Pallante
Cos’altro deve ancora accadere perché la situazione dei gazawi e del popolo palestinese inizi finalmente a essere considerata nella sua inaudita gravità?
Lo sterminio di decine, forse centinaia di migliaia di persone. La carestia indotta dallo Stato ebraico. L’azzeramento delle infrastrutture civili.
La cancellazione del patrimonio archeologico e culturale. L’eliminazione sistematica dei testimoni. I propositi di ricolonizzazione e i progetti di trasformare Gaza in una riviera turistica. Eppure: guai a chi chiede l’interruzione delle forniture di armi, guai a chi invoca sanzioni economiche, guai ai mandati d’arresto della Corte penale internazionale per Benjamin Netanyahu e Yoav Gallant (anzi: guai alla Corte penale internazionale), guai a chi reclama l’interruzione dei rapporti, anche culturali, con i sostenitori d’Israele. E, soprattutto, guai a chi dice genocidio.
Senza tradire imbarazzo, il presidente della Repubblica e il papa incontrano, in successione, il presidente israeliano Herzog: colui che scriveva frasi di scherno sulle bombe destinate a Gaza, luogo in cui – parole sue – tutti sono colpevoli, non esistono innocenti. Nel frattempo, il ministro degli Esteri Antonio Tajani assume posa da statista vantandosi di aver fatto tradurre la Pimpa in arabo per quel pugnetto di bimbi palestinesi che, dopo essere stati feriti dai nostri alleati, ricevono cure in Italia. Ma chi gli scrive i discorsi? Gli autori dei programmi di Crozza?
Siamo, con tutta evidenza, a un tornante della storia contemporanea. Mai dal dopoguerra abbiamo assistito in diretta al genocidio di un popolo compiuto da un nostro strettissimo alleato: da chi, come ci ricorda Alberto Negri, ha in mano la nostra sicurezza informatica. Di Gaza sappiamo oramai tutto; persino ciò che accadrà prossimamente: se c’è una cosa che Israele non fa, è nascondere i suoi propositi. Eppure, non facciamo niente, né di concreto, come interrompere i rapporti con Israele e imporre sanzioni, né di simbolico, come riconoscere lo Stato palestinese. Stiamo tradendo le basi stesse della nostra Costituzione, che, dopo l’onta del fascismo, aveva reinserito l’Italia nel consesso della comunità internazionale proclamando il ripudio della guerra, i valori della pace e della giustizia tra i popoli, la disponibilità a limitare la sovranità nazionale, l’apertura al diritto internazionale, la sacralità dei diritti inviolabili dell’essere umano, la protezione degli stranieri.
Come in altri casi, anche in questo pesa il vertiginoso scollamento tra i rappresentanti e i rappresentati: in tutti i campi, non solo in ambito politico. Se vogliamo, tra chi riveste posizioni di potere e i senza potere. La sensibilità dell’opinione pubblica è altissima. Migliaia di iniziative – grandi e piccole, d’impatto mediatico e raccolte, di rilievo internazionale e locale – si susseguono, nascendo dal basso, per urlare quanto sia insopportabile alle coscienze dei cittadini e dei lavoratori quello che sta accadendo. La sensibilità delle classi dirigenti sembra, al contrario, anestetizzata o, nel migliore dei casi, paralizzata dall’incapacità di prendere pienamente atto dell’eccezionalità della situazione e della necessità di reagire a un’emergenza eccezionale tramite misure eccezionali. A dar voce al Paese sono i portuali.
Anche il sindacato – l’ultimo corpo intermedio ancora capace di leggere in profondità la società italiana, coglierne le istanze, organizzarle ed elaborare proposte non appiattite sull’ineluttabilità del mondo così com’è – fatica a farsi pienamente interprete dell’orrore sempre più diffuso tra i lavoratori. Ben venga la «mobilitazione contro la barbarie», ci mancherebbe. Ma è chiaro a tutti che uno «sciopero generale contro il genocidio» avrebbe tutt’altro significato.
(il manifesto, 6 settembre 2025)
Sul "crescentone" tante piccole barche si affiancano a quelle in viaggio nel mar Mediterraneo ... |
Educatrici, mamme, maestre con bambine e bambini ... |
Passeggini e bandiere palestinesi ... |
Magliette "Buon vento" ... |
Donne, uomini, bandiere e striscioni ... |
Una partecipazione ampia e intergenerazionale ... |
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Da USB: "Con i portuali" di Genova "e la Global Sumud Flotilla. Noi non lavoriamo per la guerra" ... (foto di Barbara) |
"Fermiamo il genocidio" e ... affermiamo il diritto alla Casa per ogni essere vivente. Arriva Plat ... |
Uno sguardo panoramico ... |
Verso Palazzo Re Enzo e San Petronio ... |
Un ragazzino sulle spalle di papà ... |
Morettina e bionda, unite da kefiah e bandiera palestinese ... |
La statua del Nettuno circondata da persone e bandiere ... |
Ravenna, presidio davanti all'Autorità Portuale, 9 agosto 2025, ore 10. Attiviste, cittadini e bandiere ... |
"Basta complicità! Vogliamo la rottura immediata dei rapporti commerciali con le aziende israeliane coinvolte nel genocidio di Gaza" ... |
In alto uno striscione ... |
"Stop armi ad Israele" ... e nel mondo |
"Carica aiuti, non droni"! |
"Libera il Porto dalla complicità" ... |
Tante donne ... |
Una bandiera da riconoscere! |
Sotto il sole battente di mezzogiorno ... |
Parole (e sudore) di solidarietà e di impegno politico ... |
Una ragazza marocchina con bandiera palestinese ... |
Un ragazzo di origine africana ... |
"Basta" commercio di "armi ... complici del genocidio" |
Al megafono ... |
Linda Maggiori ... |
Partigiano, lavoratore, internazionalista ... |
Giovani lavoratori e delegate sindacali in lotta per il lavoro e la dignità delle persone e dei popoli ... |
Lei e Lui, pro diritti e riconoscimento di un popolo ... |
Kefiah e bottiglia palestinesi ... |
Bologna, Piazza del Nettuno, 9 agosto 2025, ore 18. "In Marcia per la libertà del popolo palestinese" ... |
"Facciamo rumore" ... |
Piccole e grandi bandiere, è ora di agire ... |
Sveglia! |
Il genocidio responsabilizza ... |
Fermiamo il genocidio, l'invio di armi, il riarmo ... |
Riconosciamo i diritti dei palestinesi ... |
... i doveri di Israele e della Comunità internazionale |
Persone e popoli in Marcia per la comune liberazione ... |
Donne e prossime mamme ... |
Pentole e posate per chiedere il rispetto delle persone e della natura ... |
Una bandiera simbolo di un mondo di contraddizioni e da cambiare insieme ... |
Partigiani di tutto il mondo per la libertà e la giustizia ... |
... costruttori - ieri, oggi, domani - di conflitti, complicità e "Pace Positiva" |
Qualche osservazione.
RispondiElimina1. Forse Prodi avrebbe fatto bene a imbarcare la Russia nel 2001. Sicuramente ingombrante. Ma così non lo è? Comunque bello quel documento intervista a la Stampa.
2. Forse Zelensky farebbe bene a tenere conto anche della vicenda palestinese. Perché un difensore della sovranità del suo paese dovrebbe sentire forte il dovere della solidarietà con chi è aggredito. Brutto se fosse un mero calcolo di opportunità a non confliggere con chi lo arma.
3. Sullo sciopero per Gaza ho un dubbio. Si può indire scioperi politici quando lo strumento è totalmente inutilizzato per rivendicazioni contrattuali e salariali?
Ciao!
Ricambio le preziose informazioni proposte con un'ultima ora. A Doha pare che gli israeliani abbiano liquidato con un attacco missilistico la delegazione di Hamas impegnata nelle trattative.
RispondiEliminaUn atto che supera ogni soglia nella diplomazia internazionale conosciuta.
Occorre rompere i rapporti con uno Stato che fa scelte simili.
L.
Concordo. Bella la domanda a Prodi, quasi che l'Europa possa decidere per il meglio dando più potere a Macron, Merz e Meloni e togliendo il veto a Orban o Sanchez. Io penso che il problema sia semmai dare più poteri ad un Parlamento più rappresentativo e togliendo materie concordate agli Stati nazione.
RispondiEliminaPoi facendo alleanze e politiche per il disarmo, per la transizione ecologica e per la giustizia sociale. Più autonomi da Usa e multinazionali.
DG