sabato 18 giugno 2022

A Bologna "i Beni Pubblici devono rimanere pubblici"

D(i)ritti alla Città, Rete per gli spazi pubblici di Bologna, mercoledì ha portato in piazza le sue proposte 










"Non più cemento, ma costruzioni a basse emissioni e progetti che garantiscano efficienza energetica. E' questo l'obiettivo di Reinventing cities, concorso internazionale indetto da C40, la rete internazionale di città impegnata sul fronte della crisi climatica, che è stato presentato (giovedì) nell'area Dumbo. A Bologna, una delle quattro città italiane interessate al bando insieme a Roma, Napoli e Milano, le aree individuate per essere rigenerate sono due: quella del Ravone - Prati (di Caprara, ndr) di proprietà delle Ferrovie dello Stato e il Palazzo Aiuto Materno dell'ASP di Bologna, incastonato tra via Don Minzoni, via del Porto e via Rosselli. I team che vorranno provare a rigenerare la città dovranno presentare le proprie manifestazioni di interesse entro il 20 settembre, ma i vincitori si sapranno solo nel 2023". Lo scrive ieri il Corriere di Bologna

in "Primo piano. La città che cambia" (seconda pagina) con un titolo significativo: "dall'ex scalo Ravone (e Prati di Caprara) a via Don Minzoni, il mega bando per reinventare la città". "Ci aspettiamo idee e ci aspettiamo coraggio" ha sottolineato il Sindaco Matteo Lepore: "rigenerare la grande Bologna con la conoscenza. Parliamo di 200mila metri quadrati: 140 mila acquisiti come Comune di Bologna, gli altri saranno oggetto di questo concorso. La più grande acquisizione pubblica negli ultimi 40 anni".

Vale la pena sottolineare i tempi: i tre mesi estivi per presentare le manifestazioni di interesse al concorso internazionale!


In prima pagina su Corriere di Bologna: "il Comune cerca investitori" ... (17 giugno 2022)
 

In seconda, a tutta pagina: "la Città che cambia" ... "via al concorso internazionale": "un nuovo passo verso la trasformazione delle aree ferroviarie" sostiene l'Assessore Raffaele Laudani (17 giugno 2022)



































Di fatto quella dell'Amministrazione bolognese è la più rapida risposta (negli ultimi 30 anni) a quanto esposto meno di 24 ore prima, proprio sotto Palazzo d'Accursio, dalla Rete bolognese D(i)ritti alla Città, "realtà associative, collettivi, cittadine e cittadini che intende contrastare l'abbandono dei beni di proprietà pubblica, la loro privatizzazione e la speculazione edilizia che si sta per abbattere su molti di essi". 

Mercoledì pomeriggio in Piazza Nettuno, infatti, è stata esposta pubblicamente con una efficace iniziativa che ha coinvolto tante persone la proposta di Delibera di iniziativa popolare già inviata al Governo della Città. "E' la prima volta a Bologna" scrivono i promotori "se raggiungerà l'obiettivo minimo di 2mila firme, questa delibera obbliga il Comune a mettere in discussione il modello con cui attualmente centinaia di edifici e spazi pubblici rimangono chiusi o vengono ceduti a enti privati". 

Dunque il diverso e contrastante approccio del Sindaco Lepore e dell'Assessore Laudani (espresso a Dumbo in occasione della presentazione di "Reinventing Cities") non fermerà certamente l'iniziativa intrapresa dalla Rete D(i)ritti alla Città e da altri soggetti liberi e pensanti di rivendicare società più giuste, inclusive, eco-compatibili.   


In Piazza Nettuno tra Palazzo d'Accursio e Palazzo Re Enzo (sullo sfondo San Petronio) associazioni, collettivi e cittadine/i rappresentano bisogni e proposte alle Istituzioni ... (15 giugno 2022)


Mauro Boarelli, autore, storico e ricercatore, presenta il Manifesto della Rete e il percorso di mobilitazione intrapreso ... (15 giugno 2022)


Il Manifesto della Rete D(i)ritti alla Città distribuito in Piazza durante la rappresentazione ...


"I Beni pubblici devono rimanere pubblici". Perché, come, quando ...


Sotto il Nettuno la pianta della Città prodotta dagli attivisti della Rete illustra una parte dei Beni pubblici su cui vale la pena pensare, confrontarsi, elaborare insieme ...   



Per l'occasione rullano i tamburi ...


... danzano a ritmo, le ragazze
 

La rappresentazione ricca di contenuti e creativa può partire ...
















































































TANA (DE)LIBERA TUTTI/E.

Seguiamola con attenzione, come dal vivo (mercoledì 15 giugno 2022, ore 18.15 - 19.45).


Introduce una giovane donna


Benvenute/i nel tabellone di Diritti alla Città, sulla mappa della Bologna in sala d’attesa, dove i luoghi come soprammobili sulla cartina urbana attendono un utilizzo mentre prendono polvere.

Con Diritti alla Città abbiamo deciso di fare qualcosa


Abbiamo camminato sui perimetri di luoghi senza significato, senza indicazioni, senza insegne, senza aperture, senza gente dentro, senza luce, senza aspettativa, senza nome ma con degli squarci, dei buchi nei muri: nei tagli delle inferriate, tra le maglie dei cancelli chiusi abbiamo sbirciato, ci siamo affacciate e ci siamo messe in ascolto.


Dietro ai muri e ai portoni ci sono spazi immensi, in alcuni casi, piccoli e apparentemente trascurabili in altri - ma sempre pieni di storie passate, presenti, prossime.

Ci sono dei nomi, in realtà, li abbiamo visti. Delle vecchie insegne dimesse, delle aperture, delle aspettative, dei progetti, in alcuni casi anche delle persone… quasi invisibili agli occhi dei più.


Le storie che dietro quei muri si sono nascoste per molti anni, decenni, rischiano di essere dimenticate.


Abbiamo allora teso l’orecchio di più, nelle casuali aperture da cui si scorgono pezzi di queste storie, si possono ascoltare. Ne abbiamo scelte 15 per rappresentarle tutte, più di 500 sul loro territorio urbano.


Abbiamo preso appunti e interpretato le necessità, segnato le caratteristiche e immaginato delle soluzioni. NOVE soluzioni, 9 CHIAVI (o proposte) per aprire i cancelli chiusi che non vogliamo più ignorare.



Poi la parola passa a un conduttore, che guida ai "luoghi" presi in considerazione, li intervista e gli offre "chiavi", soluzioni, proposte da discutere e valutare ...

Dove andiamo?


1. BANCA ROTTA, Quartiere Navile.
Sotto la tettoia dell’ex-mercato ortofrutticolo di via Fioravanti24, tra il capannone che ospitava XM e la tettoia Nervi, si sente l’odore fresco della malta che chiude il portone di Banca Rotta e la puzza di chiuso copre le voci che fino a poco fa animavano le discussioni tra quelle mura. Cosa c’è qua?



























La risposta: sono uno spazio pubblico vuoto, di proprietà comunale

Mi compongo di 230 mq distribuiti su tre piani di cui uno interrato.

Fino al 2009 ero la sede di una banca, tra tornelli, sportelli e fidi bancari, incastonata nel comparto dell’ex-mercato ortofrutticolo, tra il SERT, l’anagrafe e i vigili urbani.
Per 13 anni sono rimasta in disuso completamente, è stata dura restare in silenzio così a lungo. Per fortuna l’ultimo bancario a uscire aveva lasciato il riscaldamento acceso e d’inverno almeno non faceva così freddo. A tratti, negli anni, sono venuti a trovarmi dei tecnici - per il resto vedevo passare soltanto persone attorno, indaffarate alle prese con scartoffie e documenti che non mi vedevano nemmeno.

Nel 2018 c’è stato un po’ di fermento: cominciava il Laboratorio Spazi del Comune. Era prevista la mia assegnazione, a seguito di una lunga trafila di incontri di progettazione condivisa. Dicevano che avrei rappresentato una pratica sperimentale, al mio interno sarebbero confluiti i gruppi di una rete composita e informale. Sarebbe stata condivisa da molte persone: attivisti, reti sociali, associazioni… alcuni di loro li conoscevo già: abitanti della Bolognina, ragazze della zona.

Era un esperimento nel senso che i partecipanti avrebbero vinto tutti, non c’era competizione. Si erano messi d’accordo per cooperare, non c’era nessuna gara.

Proprio nel momento di massimo movimento attorno alle mie mura, improvvisamente, tutti sono scomparsi. Non ho sentito nulla per diversi mesi finché un gran trambusto da via tibaldi non ha portato decine e decine di persone direttamente nella mia pancia. Mi avevano occupato.

Erano gli stessi che mi avevano vinto, la rete di Banca Rotta.

Per un mese ho ospitato assemblee, riunioni, coordinamenti più disparati, presentazioni di libri, feste, concerti punk, dibattiti. Poi, di nuovo, d’improvviso, il vuoto.

La porta murata dalla polizia e il silenzio.

Pare che i gruppi di persone a cui ero stata assegnata non rispondessero alle caratteristiche giuridiche e amministrative richieste dalla proprietà pubblica, o alle loro aspettative.

Oggi sono uno spazio vuoto, chiuso e murato.



La chiave (ovvero la proposta): abbiamo una soluzione per te, è la chiave numero 5 del Manifesto: per i beni pubblici in disuso devono essere privilegiate autogestione, cooperazione e mutualismo. Gruppi informali possono cooperare all’interno degli spazi, attraverso una gestione fuori dalle logiche del profitto e della competizione.


2. PRATI DI CAPRARA, Quartiere Porto - Saragozza.

C’è un caldo tremendo in via Saffi. L’asfalto è un abbraccio torrido che riflette il sole e non dà tregua. Sono 2 km che camminiamo e abbiamo voglia di ombra qualunque sia. Sulla destra si staglia un bosco: nonostante l’erba alta e lsentieri, invasi dai rovi dentro il polmone del Prati di Caprara è perfetto. Per assaggiare qualche radice di specie vegetale rara, per sentirci selvatiche anche a pochi metri dall’Ospedale Maggiore. Qua? Dove siamo?

























La risposta: sono i Prati di Caprara.

Sono un bosco di 27 ettari, 4 in più dei giardini Margherita.

Tecnicamente un “bosco selvatico urbano” , dietro l’Ospedale Maggiore, a est di una grossa via di scorrimento, l’asse attrezzato sud-ovest di Bologna, oltre il quale mi distendo per altri 16 ettari di giardino e caserme abbandonate.

Conto 130 specie vegetali erbacee, arboree e arbustive, cresciute spontaneamente e coese nella rinaturalizzazione di un bioma unico e fondamentale per una zona urbana. Sono una macchia verde che si mangia 240 tonnellate di biossido di carbonio all’anno, un sacco di polveri sottili e biossido di azoto. Pulisco l’aria della città e sono perfettamente armonizzata senza bisogno che nessuno mi progetti o civilizzi, anzi da questo dipende la mia armonia!  La mia esistenza segue le regole dei  funghi, robinie, pioppi, ailanti, pettirossi, rondini, tritoni, rondoni e perfino falchi pellegrini, in un esempio perfetto di autogestione. 
Ma non sono sempre stata una specie di eden biologico urbano. Molto tempo fa ero il primo aeroporto della città, poi un campo di esercitazioni militari… nel 1909 sono diventata il primo campo da calcio del Bologna FC, quando il “futbòl” era uno sport molto marginale, le porte erano senza reti e il pallone una sfera di pezza. 

Dal 2017  si occupa di me una comunità di cittadini e cittadine che difendono la riforestazione e la biodiversità della mia pancia dalla speculazione edilizia in atto in seguito alla acquisizione dell’area da parte di INVIMIT, società pubblica di investimenti immobiliari. Per ora, il comitato RNS mi protegge, ma mai dire mai.

Io voglio e devo rimanere un bosco urbano e selvatico in cui passeggiare.

 Io sono il bosco di Bologna.



La proposta: abbiamo una chiave per te, è la chiave numero 6 del Manifesto: la delibera prevede che vengano contrastate la speculazione edilizia e l’impermeabilizzazione, a fronte invece di investimenti in conservazione, manutenzione e aumento del verde esistente per preservare l’ecosistema urbano.



3. EX CASERMA STAMOTO, Quartiere San Donato - San Vitale

Abbiamo prenotato il campo da calcio affianco al Ca’ Rossa, tra viale Lenin e via Massarenti, per fare una partitina tra vecchie amiche. Il sole batte sull’erba perfetta delimitata dalla recinzione. Mentre facciamo stretching appoggiate alla rete ci cade l’occhio su un muro rosso lunghissimo, un po’ crepato, con dietro della lamiera.
Se ci arrampicassimo sulla staccionata, dall’alto vedremmo un luogo immenso dietro quelle mura, come una città abbandonata durante una guerra mai avvenuta. Una piazza Maggiore più grande di 20 volte.

QUA? Dove siamo?

























La risposta: qua c’è un mondo. Vuoto.

Sono l’ex-Caserma STAMOTO.

Sono 14 ettari di edifici dimessi, prati e alberi - l'equivalente a più di 20 campi da calcio.

Per decenni sono stata sede delle officine meccaniche militari, poi dimessa nel 1997, in blocco assieme a tutte le decine di capannoni, una pista di collaudo, i miei boschi e prati e cementati non edificati, che fanno gola a molti palazzinari e su cui vola l’immaginazione degli studenti di architettura. Anche per me si è pensato alla sede della cittadella giudiziaria, che evidentemente è una funzione amministrativa bolognese senza fissa dimora… ma il grosso delle decisioni riguardo ai miei destini è ancora nelle mani di accordi segreti tra Comune e Ministero della Difesa stipulati di recente all’insegna dell’ennesimo piano di cementificazione, prassi che recentemente viene chiamata col nome accattivante di rigenerazione. Quando la rete DAC mi ha attraversata quest’ultimo inverno, molti cittadini che vivono intorno a me sono entrati a visitare l’immensità dei miei cortili e dei miei capannoni ed erano impressionati da quanto poco di questa piazza d’armi, è il caso di dirlo, si percepisca dall’esterno. Non sarà per questo motivo che nessuno può vedermi e tutto ciò che mi riguarda è segreto?

(A me piace il tennis, ma non faccio distinzioni: va bene anche il basket e la pallavolo, l’atletica, il tiro con l’arco... Se fossi dedicata interamente allo sport diventerei il più grande centro sportivo di Bologna!)



La proposta. Abbiamo una chiave anche per te! è la chiave numero 2 del Manifesto, per tenere lontani speculatori e investitori! La delibera prevede che la valorizzazione degli spazi dimessi pubblici segua una logica di redditività sociale prima che economica. Questo significa che i 20 campi da gioco potranno essere gestiti direttamente dalle comunità e saranno attraversati e utilizzati da chiunque, senza dover affittare a ore dei campi privati, garantendo a tutti e tutte un accesso popolare al diritto alla salute, al divertimento, allo sport.


4. ATLANTIDE, Quartiere Santo Stefano.

Usciamo dai Giardini Margherita mentre il sole cola sulla città e ci immettiamo nel centro storico da via Santo Stefano. A darci il benvenuto c’è la Piazza della Porta e i suoi due casseri gemelli. A destra, l’Arci Anarchico Berneri. A sinistra, una struttura ristrutturata che in qualche modo suona, ancora, ma silenziata. Come fosse naufragata. Cos’è?



































La risposta: sono uno spazio vuoto, sì, ma ospito un sacco di eco.

Sono Atlantide, che riemerse dai viali. Segno l’ingresso in uno dei quartieri più ricchi della città dentro porta, e per 16 anni sono stata il luogo della controcultura queer e transfemminista, il presidio punk e post-punk più influente della città: il cuore pulsante del pogo bolognese.

Sono stata l’anello di congiunzione tra due identità molto scomode dalla cui fusione è nato il movimento queer-punk. Le mie vicende hanno diviso internamente le giunte e i consigli di quartiere negli anni, arrivando alle dimissioni dell’assessore alla cultura Ronchi nel 2011 e all’indignazione di buona parte della cultura bolognese. Dallo sfratto, avvenuto allo scadere della concessione comunale, sono rimasto vuoto.

Oggi sono uno spazio ristrutturato e pronto per l’uso. Ma ancora vuoto.


La proposta: abbiamo una chiave, è la chiave numero 5. Come per BancaRotta: l’uso collettivo di uno spazio non si riferisce solo alle comunità territoriali e del quartiere, ai residenti delle vie limitrofe allo spazio. Con la delibera vogliamo rilanciare il valore degli spazi controculturali in cui le rivendicazioni sociali di minoranze e i linguaggi artistici da cui sono rappresentate siano valorizzati e possano fare sentire la propria voce, perché hanno sempre rappresentato la ricchezza culturale di Bologna e devono continuare a farlo in modo libero e popolare.

5. EX CASERMA MASINI, Quartiere Santo Stefano
Il reticolo di strade che si apre da via Santo Stefano verso i Giardini Margherita è costellato di piccole osterie, negozi, bar. Non è necessario sapere esattamente cosa si vuole fare e dove si vuole andare per passare una bella serata lì e farsi portare dalle voci. Le voci, fino a qualche anno fa, avrebbero portato davanti a un grosso cancello nero in via Orfeo. Oggi è chiuso, ancora contornato di giganteschi memorabili murales. Il cancello dice ancora “Labas” in rosso… che cosa sei?

























La risposta. Sono la ex-Caserma Masini.

Sede per anni, decenni fa, del Corpo Militare Speciale Atleti, sono nata dall’accorpamento di varie strutture, come il Convento delle Carmelitane Scalze. La mia superficie misura 8.713 mq, di cui molti sono una grande piazza centrale, circondata da edifici a pochi piani e porticati.

Uno spazio PERFETTO per un bel mercato popolare, no?

Infatti, dal 2012 al 2017 ho ripreso completamente vita, dopo decenni di totale disuso.

Sono stata occupata dal Collettivo Labas che mi ha reso un mercato con Campi Aperti, una residenza per migranti e persone marginalizzate, la sede di un birrificio e di un forno sociali, un luogo di cultura dal basso tra concerti, festival e presentazioni di libri, attività di sostegno, ludiche, educative, mostre… un luogo di politica e di auto-organizzazione, di socialità per tutte le età. Le ragazze di LABAS si facevano volere bene da tutto il quartiere, potevi trovare dalle residenti anziane ai giovani trapper.

Ma la mia posizione e la mia struttura fanno gola per moltissimi motivi. L’accordo con cui sono stata ceduta a Cassa Depositi e Prestiti mi ha rimessa in pasto alle speculazioni private e sono stata svuotata di vita, di intenzioni e di potenzialità ad agosto 2017. Pare che debba diventare un albergo… ma per farlo dovranno vendermi ai privati. Questa è la strategia!

Ad oggi, però, nulla di concreto e anzi. Nessuno sa nulla di certo.

A parte che il cibo rimasto dal 2017 nei frigo spenti sta facendo i vermi, ancora ci sono le stanze piene dei libri degli inquilini sgomberati e nelle mie segrete, nei miei uffici, c’è un silenzio disarmante. Nessuno sa nulla a parte che sono tornata ad essere un luogo decrepito, cadente e vuoto.


La proposta: la chiave che possiamo usare per riaprirti è la numero 4 del Manifesto. L’esperienza di Labas alla caserma Masini ha mostrato come si possano affrontare temi politici ed emergenze sociali in un contesto di grande integrazione con la comunità dei residenti, per una gestione collettiva e libera degli spazi culturali, per tutte le età. Con la delibera vogliamo che siano le comunità che abitano gli spazi a decidere sul loro uso, perché gli spazi pubblici devono rispondere ai bisogni delle persone


6. EX CASERMA SANI, Quartiere Navile.

Costeggiamo la ciclabile che, tra interruzioni e singhiozzi, dal dopo-lavoro ferroviario ci porta verso il Parco Nord. Perdendoci in un reticolo di strade, tra le nuove case scintillanti in attesa di destinazione e le gru che ne costruiscono altre, tra i ristoranti asiatici e africani e le mezze-vuote Officine Minganti, costeggiamo un lungo biscione di mura alte con delle scritte a spray. Se volessimo percorrere tutto il perimetro arriveremmo fino a via Stalingrado, sul retro della RoadHouse. Per fortuna abbiamo portato un panino da casa, da mangiare di fronte al cancello chiuso che dà sul parco di via Parri. Cosa c’è dietro quel cancello?

























La risposta: sono un complesso militare dismesso immenso, di circa 150mila metri quadri, di cui 54mila edificati, di proprietà di Cassa Depositi e Prestiti.

Ho sede in via Ferrarese 199 e mi occuparono il 15 novembre 2019 gli attivisti di Xm24, a 3 mesi dallo sgombero dello storico spazio di via Fioravanti. Un grande fermento si è riversato dentro di me, pitture murali, lavori per rendere gli spazi accessibili, il più possibile sicuri, immaginando come abitare i miei giganteschi prati, i miei diroccati edifici.

L’11 dicembre 2019 la procura ha deciso di sequestrarmi. Nessun indagato, il fascicolo è contro ignoti, anche questa volta.

Alcuni anni fa sono arrivate vaghe e imperscrutabili proposte dall’estero per il mio utilizzo, le ampie metrature fanno volare gli imprenditori degli Emirati Arabi, di Dubai… ma a parte qualche interessamento, nessuno formula un progetto. Almeno non che io sappia.

Nell’ambito delle previsioni del piano operativo comunale ‘rigenerazione di patrimonio pubblico’ è stato indetto un concorso internazionale per decidere cosa fare di me.

Ha vinto uno studio di Bruxelles che probabilmente non mi ha mai vista e in tutto questo processo nessuno dei cittadini del q.re Navile è stato coinvolto. Sembra che i lotti siano divisi in unità residenziali e commerciali di cui rimarrebbe pubblica solo una serie di “passaggi”. Dalla mia progettazione sono state escluse le comunità di riferimento ed è stata negata agli attivisti che mi stavano animando la possibilità di autogestione e di uso temporaneo in attesa di una nuova sede.


La proposta: abbiamo una chiave per te, è la chiave 1 del Manifesto. In pochissimi sapevano della caserma Sani nel Quartierere Navile prima dell’avvento degli occupanti. Gli spazi pubblici dismessi devono essere censiti e le comunità cittadine devono essere informate della loro esistenza e coinvolte nei processi che determinano il loro uso. Il loro uso deve rimanere pubblico, al servizio delle stesse comunità.

7. EX CASERMA MAZZONI, Quartiere Santo Stefano

In mezzo alla quiete residenziale in zona Murri c’è un’oasi selvatica di rovi e sterpi, con le torrette fuori come una fortezza. Chi sei? Da cosa ti proteggi?

























La risposta: sono un’area completamente abbandonata di 46mila metri quadrati incastonata tra via Murri e via Po, in un’area residenziale semi-periferica sul limite tra Quartieri Savena e Santo Stefano.

Nell’area in cui crescono rigogliosi i miei prati e i miei oltre 350 alberi si sono susseguiti negli anni vari progetti architettonici che prevedono la costruzione di centinaia di appartamenti prevalentemente destinati ad un uso privato. Attorno alle mie mura, chiuse da decenni, si è formato un Comitato di cittadini che chiedono che l’area diventi un bene comune, non un luogo di nuove costruzioni e attività commerciali. I lavori non sono mai partiti, nonostante tanti sopralluoghi e manifestazioni, i progetti non hanno una forma precisa e i cittadini sono stati coinvolti molto marginalmente nel processo. Per un po’ di tempo è stata paventata anche la costruzione di un centro commerciale, nonostante nell’area siano presenti già 3 tra supermercati e ipermercati! Nella zona gli spazi di socialità e di cultura sono risicatissimi e perlopiù legati ad attività commerciali.



La proposta: c’è la chiave numero 7 del Manifesto. Per promuovere una sana disseminazione dei luoghi culturali e sociali pubblici in tutte le aree e i quartieri c’è bisogno di un valido e capillare sistema di mobilità che garantisca il raggiungimento e l’accesso a questi spazi da parte di tutti le cittadine, in modo sostenibile e pubblico, attraverso mezzi pubblici e percorsi ciclo-pedonali sicuri.



8. MASSARENTI 234 / LENIN 13, Quartieri San Donato - San Vitale e Savena

Ai margini della Città, il mio sguardo è ormai avvezzo a trovare bellezze tra le macerie. Qui su viale Lenin c’è un edificio rurale grande e con un fienile al suo fianco. Dormono dimenticati, attorno e dentro di loro tanto verde.

























La risposta: non sono l’unico, ci sono tanti spazi come me, come quello di via Massarenti 234. Siamo edifici pubblici abbandonati e lasciati a marcire da anni. Nessuna manutenzione, nessun reale intervento. Solo tante belle parole…come il progetto di co-housing, una parola che ormai va molto di moda ma di cui nessuno, forse, comprende davvero il significato. 

​​Sulla carta, il comune riconosce l’importanza delle esperienze di abitare condiviso e solidale, sulla carta, affida a gruppi di studiosi l'onere di pensare, immaginare, progettare esperienze di vivere alternativo su alcuni edifici di sua proprietà (piccole briciole). E gli studiosi producono carte, progetti, bei sogni calati dall’alto. E poi? 



La proposta: non esistono solo spazi pubblici immensi. Anche luoghi più piccoli e marginali sono fondamentali per promuovere una cultura del mutualismo e della cooperazione capillare e diffusa… per farlo, è necessaria la chiave numero 3 del Manifesto. Tutti gli spazi pubblici in disuso devono collocarsi in un discorso ampio che coinvolga tutta la città, per collegare le aree sociali, permettere lo scambio di pratiche, arrivare a tutti e a tutte, bilanciando aree verdi e selvatiche e aree di attività, attivazione e servizi. Non tutte le aree sono uguali.


9. VILLA PUGLIOLI, Quartiere Santo Stefano

E ora allontaniamoci dal centro e saliamo sui colli, dove ci sono tanti alberi, c’è una vista incredibile e si respira aria pulita. Un’aria che resta ancora appannaggio dei pochi privilegiati che hanno una casa qui. Timida e ritratta dentro il Parco San Pellegrino sta una villa che sembra non voglia essere disturbata.

Anche se cerchi di nasconderti in tutto questo verde e hai quest’aria di profondo abbandono, noi ti vediamo. 

























La risposta: sono una villa, di 1000 metri quadrati, immersa nel bosco.

Agli inizi del '900 ero la colonia estiva dei bimbi gracili e fino a una trentina d'anni fa ospitavo le settimane verdi degli alunni bolognesi.

Ora verso in stato di abbandono..nella mia piscina nemmeno le ranocchie vengono più a rinfrescarsi. Alcuni anni fa un gruppo di insegnanti e genitori, anche esperte di architettura, urbanistica e paesaggio, ci hanno provato a farmi rivivere… erano ormai più di dieci anni fa: hanno proposto all’amministrazione comunale un bel progetto che aveva sia una finalità educativa che di ristrutturazione architettonica. Avevano previsto stanze (io ne ho davvero tante) per tanti laboratori, per insegnare ai bambini a vivere con la natura e a rispettarla ed anche una foresteria/ostello, per ospitare bambini e insegnanti venuti da fuori città. Erano libere cittadine e cittadini che sulla base di esigenze vissute sulla propria pelle e sulla pelle dei propri figli, avevano lavorato sodo per creare questo progetto che ora giace dimenticato in chissà quale cassetto degli uffici del comune. Spero tanto che qualcuno si ricordi di quel pezzo di carta. Tu puoi aiutarmi?


La proposta: ti consegno questa chiave, la numero 4 del Manifesto, con la quale abbiamo previsto una progettazione partecipata con le comunità di riferimento che esprimono bisogni da soddisfare, proposte per la destinazione dei beni, per loro ristrutturazione e per la loro gestione condivisa.


10. IRNERIO 13, Quartiere Santo Stefano

E' sabato e in piazzola c’è il Mercato. La zona T è chiusa e molti autobus deviano passando per via Irnerio. La strada è un caos di traffico e persone, i portici tappezzati di tavolini ospitano famiglie piene di buste della spesa con scampoli e vestiti. C’è un gran trambusto dappertutto, banche, fast-food, alimentari, ferramenta, agenzie viaggi… dappertutto c’è qualcosa. A parte al civico 13: c’è un portone massiccio come l’entrata di un castello. Pare regni una calma irreale, inquietante. Cosa c’è qua?

























La risposta: sono una palazzina alle porte della Zona Universitaria, una delle vie del centro più frequentate dai più giovani. Oggi sono impacchettata per una ristrutturazione della facciata che mi cela al pubblico ma… non ho nulla di speciale, da fuori. A parte essere completamente vuota in una zona ad altissima richiesta.

Infatti, non sono sempre stata vuota.

Sono stata un’occupazione abitativa organizzata nel 2013, a cui hanno partecipato ben 30 famiglie senza dimora. Dopo una trattativa condotta da inquilini (e Asia-Usb) con il Comune prima e con il mio proprietario (Policlinico Sant’Orsola), nel 2016 è avvenuto lo sgombero.

Da allora sono stata lasciata alla polvere.

Nonostante l’emergenza affitti, la crisi pandemica e i grandi proclami sulla costruzione di studentati, spazi come me non vengono considerati e la mia centralità finirà probabilmente ad attirare qualche investimento privato o qualche progetto elitario - come accaduto per lo Student Hotel sopraggiunto all’Ex-Telecom. Questo meccanismo sinistro è sempre più frequente…



La proposta: abbiamo una chiave per te, la numero 2 del Manifesto. Nella delibera pretendiamo che gli spazi pubblici dismessi debbano rispondere in primo luogo ad una valutazione di redditività sociale prima che economica. Gli investitori e le holding internazionali dovranno aspettare: sono i cittadini e le comunità a decidere l’uso dei tuoi appartamenti, secondo logiche di equità e valore sociale.

11. SCUOLE SASSOLI, Quartiere Navile.

Siamo a Pescarola. Solo i residenti del quartiere si spingono così in fondo alla lunghissima via Zanardi, ormai. Qualcuno passa per andare verso la provincia, è un luogo di passaggio, solcato dalle traiettorie degli aerei sopra e dell’autostrada a nord. Uno stabile dismesso e con tutte le finestre scrostate, con un piccolo cortile di ghiaia, siede sconsolato a lato strada.



































La risposta: sono la ex-Scuola Elementare Sassoli, aperta nel 1945 subito dopo la guerra e abbandonata completamente a se stessa nel 1997.

Nel 2015 un consigliere di Fratelli d’Italia ha segnalato al Comune la presenza di “profughi” che avevano trovato riparo sotto il mio tetto, chiedendo spiegazioni al Comune. Un centinaio di profughi. Chissà se qualcuno gli ha risposto. Chissà se era vero.

12. OSPEDALE BASTARDINI, Quartiere Santo Stefano

Nel cuore di Bologna, sotto porticati antichi, si nasconde una struttura grande la metà di piazza Maggiore. Chi sei? Qual’è la tua antica storia?



































La risposta: ho fatto la mia parte per aiutare bimbi orfani e madri in difficoltà. Poi sono stata sede di un teatro e di alcuni uffici dell’università. Ho ospitato mostre temporanee, sono stata addirittura una sede del DAMS per un periodo…e ora? Sono vuota da più di vent’anni, non sento più voci di bimbi né vedo immagini di poesia. Eppure sono un luogo grande, pieno di spazi che possono ancora dare ispirazione e voce a chi ne ha bisogno, a chi vaga per questa città cercando uno spazio dove esprimersi.

Vogliono privatizzarmi sottraendomi così alla mia primaria vocazione. 


La proposta: ecco la chiave per te, la numero 1 del Manifesto. Ti aiuteremo a rimanere pubblica e a non violare il tuo desiderio di essere uno spazio a favore della collettività.


13. STAVECO, Quartiere Santo Stefano

Le auto sfrecciano sulla maggior parte dei viali ma non qui, tra Porta San Mamolo e Porta Castiglione.

C’è un autovelox famosissimo, forse il primo impiantato sui viali. Si dà al caso che lo sfondo di tutte quelle fotografie malefiche sia un lungo muro giallo, dietro cui si intravede una serie di costruzioni su un’area che sembra molto vasta. Alcuni la chiamano “parcheggio”.

In realtà, che cosa sei?




































La risposta: sono un luogo che forse in realtà non esiste davvero. Sono una cittadella nella città, verde e silenziosa, paradossalmente protetta per più di un secolo proprio dalla mia origine militare. Sono una città della guerra che ha mantenuto intatto uno spazio di verde nel tessuto urbano. Il mio nome è impresso nella mente delle persone ma solo per una funzione marginale che ora svolgo per i bolognesi. Mi chiamo STA.VE.CO (ovverosia Stabilimento per i Veicoli da Combattimento) e sono un’area di oltre 90mila metri quadrati, conosciuta per lo più ai bolognesi esclusivamente per il piccolo parcheggio a pagamento che occupa una minima parte dell’intera area. I bolognesi infatti non mi conoscono veramente; la memoria storica delle persone si ferma alla costruzione del parcheggio nel maggio del 2003.

Originariamente ero destinata al servizio delle forze armate dello Stato, ma da ormai 25 anni sono in totale stato di abbandono e sono relegata in un silenzio pieno di desolazione e fallimento. Un silenzio che si contrappone però allo stridore del passare del tempo e all’avanzare della vegetazione che pian piano stanno cancellando non solo il ricordo di me ma anche la mia stessa presenza di questa area nella città.

Sono un esempio della complessità che si crea quando si cerca di annettere un’ex area militare al tessuto urbano. Volevano farmi diventare una fermata della metropolitana, l’arrivo del tunnel sotto la collina, un’area universitaria, più pragmaticamente un parcheggio scambiatore in modo che le auto arrivino direttamente a ridosso del centro della città, i parcheggi per il Rizzoli. E ancora: un villaggio residenziale di lusso -l’unico uso che sin ora sono riusciti a realizzare, privatizzando una parte di me- un parco, un luogo dedicato allo sport. Mi si è immaginata come opportunità di spazi per i giovani, per la musica, per l’arte, per la sperimentazione.
Insomma il comune sulla mia area ha bandito tanti progetti ma senza dare seguito ad alcuno.
Otto anni fa la svolta che avrebbe potuto rappresentare una nuova vita per me: il Comune di Bologna mi ha ceduto per la porzione compresa tra viale Panzacchi e la collina di San Michele in Bosco, all'Università di Bologna. L’idea del Sindaco di Bologna, Virginio Merola, e del Magnifico Rettore, Ivano Dionigi, era quello di realizzare un nuovo insediamento ad alta vocazione internazionale che rappresentasse un polo attrattivo, innovativo, caratterizzato (ovviamente) dalla sostenibilità ambientale, e al contempo consentisse il decongestionamento della cittadella universitaria nel centro storico.
Ma poi nel 2017 l’Università di Bologna cambia Rettore e cambia politica e rinuncia alla realizzazione del Campus e al trasferimento di diverse strutture didattiche dalla Zona Universitaria verso i miei spazi.
E allora in quell’anno, iniziò a consolidarsi l’idea di un possibile trasferimento di una parte dell’attività del tribunale di Bologna, creando una sorta di “Cittadella Giudiziaria”. Consentendo un risparmio intorno ai 5 milioni di euro annui, contando i pesanti affitti delle sedi attuali, tra cui Palazzo Pizzardi. In questo senso, il 28 gennaio 2018, è stato firmato al Ministero della Giustizia il protocollo d’intesa per il trasferimento degli uffici giudiziari bolognesi nella mia area. Ma alla fine io sono ancora qui, sola e soletta, con la mia immensa area posta in un punto strategico della città, cerniera tra il centro storico e le colline. Ma allora, qual è la novità? In che modo questa delibera che presentate potrebbe aiutarmi a ritornare a far parte della città e a ritrovare un rapporto con i bolognesi?


La proposta: penna per firmare!!



14. EX POSTE ZANARDI, Quartiere Navile

Siamo qui, dove si incontrano i Quartieri Navile e Porto-Saragozza. C’è un edificio grande…se mettiamo insieme i suoi tre piani arriviamo a coprire tutta Piazza Maggiore, e anche di più. Perché è stato dimenticato?




































La risposta: a questa domanda non so risponderti ma posso dirti che un tempo qui c’era tanta vita. Ero, e sono ancora, di proprietà delle Poste e tanti anni fa da qui passavano lettere, pacchi, chiacchiere, tanta gente.

Poi il vuoto, per trent’anni, ed all’inizio degli anni novanta sono stata occupata dai movimenti di lotta per il diritto alla casa. Non è durato molto, lo sgombero è arrivato dopo poche settimane.

Nel 2018 ho vissuto di nuovo un brivido con un gruppo di volenterosi che hanno varcato la mia soglia e si sono offerti di recuperarmi … si sarebbero presi in carico spese e lavori pur di farmi rivivere, pur di ridare un senso ai miei spazi. Ma dalla proprietà è arrivato un secco no! Preferisce mandarmi in malora per poter un giorno speculare su di me piuttosto che darmi a chi ha sogni e intenti reali e sociali su di me. Come mi puoi aiutare?


La proposta: anche per te (o ecco per te) la chiave 1, attraverso la quale questa speculazione avrà finalmente un freno e i beni immobili pubblici dismessi saranno destinati ad uso pubblico a


Attivisti e passanti ascoltano con attenzione, si documentano, chiedono ... 


Mauro Boarelli (sotto lo sguardo di Pier Paolo Pasolini) ringrazia tutti i partecipanti e ricorda il percorso verso la raccolta di almeno 2mila firme di cittadini a sostegno della Delibera di iniziativa popolare da discutere in Comune ...


Anche autorevoli competenti architetti seguono la mobilitazione e meditano ...


La parola è alla Città ed al suo protagonismo critico e lungimirante ... Dagli Amministratori si aspettano risposte nel segno della conversione ecologica, della giustizia sociale e della partecipazione. Altro rispetto a quanto detto e scritto solo 24 ore dopo questa manifestazione da Sindaco ed Assessore ... (15 giugno 2022)

 

4 commenti:

  1. Bella e meritoria iniziativa. Dove si firma?
    s.

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    1. Non ora. Dicono i promotori che prima di procedere servono alcuni ulteriori passaggi formali in Comune.
      Gianni

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  2. Ovviamente la presentazione del Bando su Ravone - Prati - Don Minzoni non è la risposta al Manifesto della Rete sociale - ambientalista bolognese. E tuttavia la frattura di pensiero è stridente. In città c'è chi vuole recuperi di spazi diffusi (ce ne sono molti altri) e chi punta a mega progetti che muovono grandi risorse e studi professionali internazionali. La vedo come una debolezza della democrazia che ha caratterizzato Bologna e l'Emilia: Comuni destrutturazione anche nel personale tecnico e senza autonome risorse finanziarie. Così si abbandonano luoghi di senso e ricorre a opportunità straordinarie su cui il potere locale è minimo.
    Ciao!

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  3. I Beni pubblici restino pubblici, certo. Sono un patrimonio collettivo che abbiamo ereditato, utilizzato e che non sono nelle nostre disponibilità: dobbiamo consegnarli, semmai rivalutati, alle generazioni future. Ciò che più manca anche a Bologna e in regione è un progetto per il riuso e la manutenzione delle risorse. Qualche tempo fa si diceva di volere costruire la città a misura dei bambini..... Io penso che potremmo anche parlare della città a misura delle donne, che da mamme e da vittime delle mille contraddizioni della società saprebbero sicuramente dove risparmiare e dove investire nell'interesse generale......
    Anna

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