mercoledì 19 agosto 2015

Accogliere i profughi per salvare l'Europa

Pro­fu­ghi e migranti sono per­sone che oggi distin­gue solo chi vor­rebbe ribut­tarne in mare almeno la metà: fanno la stessa strada, sal­gono sulle stesse imbar­ca­zioni che sanno già desti­nate ad affon­dare, hanno attra­ver­sato gli stessi deserti, si sono sot­tratte alle stesse minacce: morte, mise­ria, fame, schia­vitù sanno già che con quel viag­gio, che spesso dura anni, mette a rischio la loro vita e la loro integrità.
Quelli che par­tono dalla Libia non sono libici: ven­gono da Siria, Eri­trea, Soma­lia, Nige­ria, Niger o altri paesi sub­sa­ha­riani scon­volti da guerre o dit­ta­ture. Quelli che par­tono dalla Tur­chia per rag­giun­gere un’isola greca o il resto dell’Europa attra­ver­sando Bul­ga­ria, Mace­do­nia e Ser­bia non sono tur­chi: sono siriani, afgani, ira­niani, ira­cheni, pale­sti­nesi e fug­gono tutti per gli stessi motivi. Sono anche di più di quelli che si imbar­cano in Libia; ma nes­suno ha pro­po­sto di inva­dere la Tur­chia, o di bom­bar­darne i porti, per bloc­care quell’esodo, come si pro­pone di fare in Libia per risol­vere il “pro­blema profughi”.
Non si con­ce­pi­sce nient’altro che la guerra per affron­tare un pro­blema creato dalla guerra: guerre che l’Europa o i sui Stati mem­bri hanno con­tri­buito a sca­te­nare; o a cui ha assi­stito com­pia­cente; o a cui ha par­te­ci­pato. Bom­bar­dare i porti della Libia, o occu­parne la costa per bloc­care quell’esodo non è che il rim­pianto di Ghed­dafi: degli affari che si face­vano con lui e con il suo petro­lio e del com­pito di aguz­zino di pro­fu­ghi e migranti che gli era stato affi­dato con trat­tati, finan­zia­menti e “assi­stenze tec­ni­che”. Dopo aver però con­tri­buito a disar­cio­narlo e ad ammaz­zarlo con­tando sul fatto che tutto sarebbe filato liscio come e meglio di prima.
Già solo que­sto abba­glio, insieme agli altri che lo hanno pre­ce­duto, seguito o accom­pa­gnato – in Siria, in Afgha­ni­stan, in Iraq, in Mali o nella Repub­blica cen­troa­fri­cana – dovrebbe indurci non solo a dif­fi­dare, ma a opporci in ogni modo ai pro­grammi di guerra di chi se ne è reso responsabile.
Ma chi pro­pone un inter­vento mili­tare in Libia, o mette al cen­tro del “pro­blema pro­fu­ghi” la lotta agli sca­fi­sti, non sa in realtà che cosa fare. Tra l’altro, bloc­care le par­tenze dalla Libia non farebbe che river­sare quel flusso su altri paesi, tra cui la Tuni­sia, ren­dendo ancora più insta­bile la situazione.
Ma soprat­tutto non dice – e forse non pensa: il pen­siero non è il suo forte – che cosa sta pro­po­nendo vera­mente: si tratta di respin­gere o trat­te­nere quel popolo dolente, di ormai milioni di per­sone, nei deserti che sono una via obbli­gata della loro fuga, e che hanno già inghiot­tito più vit­time di quante ne ha anne­gato il Medi­ter­ra­neo; magari appog­gian­dosi, con il cosid­detto “pro­cesso di Khar­tum”, a qual­che feroce dit­ta­tura sub­sa­ha­riana per­ché si inca­ri­chi lei di farle scom­pa­rire. E’ il risvolto mici­diale, ma già in atto, dell’ipocrisia die­tro a cui si ripa­rano i nemici dei pro­fu­ghi: “aiu­tia­moli a casa loro”.
Invece biso­gna aiu­tarli a casa nostra, in una casa comune da costruire con loro. Non c’è altra alter­na­tiva al loro ster­mi­nio, diretto o per inter­po­sta dit­ta­tura. Biso­gna innan­zi­tutto smet­tere di sot­to­va­lu­tare il pro­blema, come fanno quasi tutte le forze di sini­stra, e in parte anche la chiesa, spe­rando così di neu­tra­liz­zare l’allarmismo di cui si ali­men­tano le destre. Certo, 50.000 pro­fu­ghi (quanti ne sono rima­sti di tutti quelli sbar­cati l’anno scorso in Ita­lia) su 60 milioni di abi­tanti, o 500mila (quanti hanno rag­giunto l’anno scorso l’Unione Euro­pea) su 500 milioni di abi­tanti non sono molti. Ma come si vede, soprat­tutto per il modo in cui ven­gono mal­trat­tati, sono suf­fi­cienti a creare insof­fe­renze insostenibili.
Ma i pro­fu­ghi di que­sto e degli ultimi anni sono solo l’avanguardia degli altri milioni sti­pati nei campi del Medio­riente o in arrivo lungo le rotte deser­ti­che dai paesi sub­sa­ha­riani: che non pos­sono restare dove sono. Vogliono rag­giun­gere l’Europa e in qual­che modo si sen­tono già cit­ta­dini euro­pei, anche se sanno di non essere gra­diti e desi­de­rano tor­nare a casa quando se ne pre­sen­te­ranno le condizioni.
L’Unione euro­pea in mano all’alta finanza e agli inte­ressi com­mer­ciali del grande capi­tale tede­sco ha con­cen­trato le sue poli­ti­che nel far qua­drare i bilanci degli Stati mem­bri a spese delle loro popo­la­zioni e nel garan­tire il sal­va­tag­gio delle sue grandi ban­che. Così, anno dopo anno, ha per­messo o con­corso a far sì che ai suoi con­fini si creas­sero situa­zioni di guerra e di caos per­ma­nenti, di dis­so­lu­zione dei poteri sta­tali, di con­flitti per bande di cui l’ondata di pro­fu­ghi e di migranti è la più diretta conseguenza.
Non saranno altre guerre, e meno che mai i respin­gi­menti, a met­tere fine a uno stato di cose che l’Unione non rie­sce più a gover­nare né den­tro né fuori i suoi con­fini. A ripren­dere le fila di quei con­flitti, e del con­flitto che si sta acuendo per gli sbar­chi e gli arrivi, non può che essere un nuovo pro­ta­go­ni­smo di quelle per­sone in fuga: le uni­che che pos­sono defi­nire e soste­nere una pro­spet­tiva di pace nei paesi da cui sono fug­giti. Ma que­sto, solo se saranno messe in con­di­zione di orga­niz­zarsi e di con­tare come inter­lo­cu­tori prin­ci­pali, insieme ai loro con­na­zio­nali già inse­diati sul suolo euro­peo e a tutti i nativi euro­pei che sono dispo­sti ad acco­glierli e ad alle­viare le loro sof­fe­renze; e che sono ancora tanti anche se i media non vi dedi­cano alcuna attenzione.
Dob­biamo “acco­glierli tutti”, come rac­co­man­dava più di un anno fa Luigi Man­coni; dare a tutti di che vivere: cibo, un tetto, la pos­si­bi­lità di auto­ge­stire la pro­pria vita, di andare a scuola, di curarsi, di lavo­rare, di gua­da­gnare. Ma non sono troppi, in un paese e in un con­ti­nente che non rie­sce a garan­tire que­ste cose, e soprat­tutto lavoro e red­dito, ai suoi cit­ta­dini? Sono troppi per le poli­ti­che di auste­rity in vigore nell’Unione e impo­ste a tutti i paesi mem­bri; quelle poli­ti­che che non rie­scono a garan­tire que­ste cose a una quota cre­scente dei loro cit­ta­dini e che in que­sto modo sca­te­nano la “guerra tra poveri”.
Ma non sono troppi rispetto a quella che potrebbe ancora essere la più forte eco­no­mia del mondo, se solo inve­stisse, non per sal­vare le ban­che e ali­men­tare le loro spe­cu­la­zioni, ma per dare lavoro a tutti e ricon­ver­tire, nei tempi neces­sari per evi­tare un disa­stro pla­ne­ta­rio irre­ver­si­bile, il suo appa­rato pro­dut­tivo e le sue poli­ti­che in dire­zione della soste­ni­bi­lità ambien­tale. Il lavoro, se ben orien­tato, è ric­chezza. D’altronde l’alternativa a una svolta del genere non è la per­pe­tua­zione di uno sta­tus quo già ora insop­por­ta­bile, ma lo ster­mi­nio ai con­fini dell’Unione e la vit­to­ria, al suo interno, delle orga­niz­za­zioni raz­zi­ste che cre­scono indi­cando il nemico da com­bat­tere nei pro­fu­ghi e in tutti gli immi­grati. E se non pro­prio di quelle orga­niz­za­zioni, cer­ta­mente delle loro poli­ti­che fatte pro­prie da tutte le altre forze politiche.
Così il “pro­blema dei pro­fu­ghi”, non pre­vi­sto e non affron­tato dalla gover­nance dell’Unione, per­ché 
non ha né posto né solu­zione nel qua­dro delle sue poli­ti­che attuali, può diven­tare una leva per scar­di­narle per sosti­tuirle con un grande piano per creare lavoro per tutti e per rea­liz­zare la con­ver­sione eco­lo­gica dell’economia: due obiet­tivi che in una pro­spet­tiva di inva­rianza del qua­dro attuale non hanno alcuna pos­si­bi­lità di essere rag­giunti. E’ a noi ita­liani, e ai greci, che tocca dare ini­zio a que­sto movi­mento. Per­ché siamo i più espo­sti: le vit­time desi­gnate del disin­te­resse europeo.

Guido Viale, il manifesto, martedì 18 agosto

12 commenti:

  1. Si. Il rispetto e la considerazione per le persone è un valore universale. Solo gli stolti possono pensare che nell'epoca della globalizzazione si può essere forti escludendo ed usando unicamente gli eserciti.
    Anna

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    1. Si. In passato ci insegnavano che l'egemonia è data soprattutto da pensieri "lunghi" e idee "forti".
      Le politiche di respingimento sono segno evidente di paura e di debolezza.
      La sfida sta nel pensare e praticare accoglienza, cooperazione, condivisione di un futuro migliore. Per tutti, in base a principi universali.
      A proposito di eserciti.
      Non è tempo di proporre e sostenere un unico esercito europeo?
      Sotto il comando di Autorità che rispondono direttamente al Parlamento Europeo e in base a principi e diritti universali riconosciuti dalla Carta dell'ONU?
      Un passaggio forte di sovranità. Ma perché no?
      Gianni

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  2. Condivido la scelta di accogliere i profughi e disporre programmi umanitari.
    Mi chiedo se Questa Europa sia da salvare.
    Ho letto su Repubblica che Juncker non vuole muri.
    Ma Lui non è il Presidente della Commissione, che poi sarebbe l'Esecutivo d'Europa? Ebbene, che ha fatto fin qui?
    L.

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    1. Caro/a L. sulla inaffidabilità di JC. Juncker non spendo altre parole.
      "Questa" Europa non va. È da cambiare sicuramente e velocemente. Con politiche comuni, sostenibili, di giustizia sociale, di cooperazione. Unendo donne e uomini di "buona volontà". Ora, ovunque. Nella società e nelle istituzioni democratiche. Con progetti, azioni e pratiche coerenti.
      Gianni

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  3. Ha ragione Guido Viale.
    Ma una Europa che non si preoccupa del futuro dei propri cittadini figuriamoci quanto considera la vita di chi proviene da altri continenti.
    Infatti mancano progetti e programmi comunitari.
    Ogni paese opera secondo i propri tornaconti del momento.
    Così l'Italia non registra i migranti per evitare di doverseli tenere (Accordi di Dublino) e la Francia blocca le frontiere di Ventimiglia, mentre altri alzano muri, come Spagna e Ungheria.
    Questa Europa non ha un comune sentire, non lo ricerca, non lo vuole e non si salverà!
    Peccato che altro non c'è.
    O almeno io non vedo.
    Carlo


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  4. Carlo, in te mi sembra sia prevalente il pessimismo della ragione. Quanto ti capisco. Proviamo però ad affiancare un po' di sano ottimismo della volontà. Difficile, molto. Ma necessario.
    Guido Viale propone, sempre su il manifesto, oggi, un altro interessante articolo "Europa. Rifondarla con i migranti". Merita considerazione ed approfondimenti.
    Gianni

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  5. In Europa ognuno procede per conto suo.
    quale Europa?
    Raffa

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    1. Si Raffa.
      I rivolgimenti sociali e politici mondiali evidenziano anche la crisi della nostra democrazia.
      Il Parlamento Europeo, che rinnoviamo ogni 5 anni con il voto, non produce fatti.
      La Cancelliera tedesca Merckel, con un atto unilaterale, cambia lo scenario internazionale e, forse, la storia.
      Occorre ri-pensare insieme le società, la politica, le istituzioni.
      Discutiamone. Magari a partire dall'esperienza greca. Vedi post.
      Quale altra Europa vogliamo?
      Gianni

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  6. Accoglienza si.
    Con galera per ladri ed assassini.
    Pietro

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    1. Naturalmente.
      Accogliere i migranti è un dovere per una comunità civile.
      Al pari di dotarsi di regole e leggi per una civile convivenza.
      Ladri ed assassini italiani, francesi, inglesi, nigeriani, marocchini, israeliani, cinesi, ucraini, indiani ... vanno perseguiti da una giustizia efficiente, equa ed orientata al recupero delle persone che compiono reati.
      Gianni

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  7. Da Ungheria e Repubblica Ceca immagini orribili.
    Politicamente peggiori di quelle che arrivano dai paesi del Mediterraneo, con i corpi dei migranti sulle spiagge ...
    Marciamo scalzi per la vita dei migranti e per restare umani.
    Ciao!

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  8. Una settimana di foto e filmati orribili e importanti per riflettere.
    Comunque utili per provare a cambiare il corso delle cronache e della storia.
    Ottima l'iniziativa di personalità della cultura per svolgere marce di solidarietà con i migranti "scalzi" in marcia verso nord.
    Va colto l'appello "per dare accoglienza a chi fugge dalla povertà" e dalle guerre.
    Riflettiamo tutti sulle parole del ragazzo intervistato a Budapest: "se non ci volete qui, fermate le guerre a casa nostra".
    Gianni

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