mercoledì 15 febbraio 2017

La linea d'ombra del cemento

Quando si ascoltano Alessandro Di Battista, Luigi Di Maio e Virginia Raggi promettere che, sì, lo stadio della Roma si farà, viene da pensare che ci sia una maledetta linea d'ombra, nella vita pubblica italiana. Quella linea è l'elezione a una carica pubblica.
Quando la varca, il cittadino subisce una mutazione radicale nel linguaggio, nell'etica, nella scala delle priorità. Perfino nella logica. Non è più un cittadino, ormai: diventa il pezzo di un potere immutabilmente uguale a se stesso, chiunque lo incarni.
La città (non solo Roma) si è disfatta, è diventata invivibile, a tratti mostruosa, perché si è smesso di pensarla e di disegnarla. Si è rotto il legame tra la comunità degli uomini e la città materiale: la prima ha cessato di immaginare e modellare la seconda. Il taglio delle finanze locali, l'ignoranza e la corruzione delle classi dirigenti hanno delegato a pochi grumi di interesse privato (palazzinari e banche, in sostanza) lo sviluppo delle città, secondo questa logica perversa: "io amministratore permetto a te speculatore di prenderti un pezzo di spazio pubblico, se in cambio mi fai quei servizi, quelle urbanizzazioni, quelle infrastrutture necessarie alla comunità che io non ho i soldi per fare, né la voglia di pensare".
È la fine dell'urbanistica, e dunque la fine della città pubblica. Questa abdicazione è stata compiuta indifferentemente da destra e da sinistra. Un simbolo di questa continuità perfetta è stata la figura di Maurizio Lupi: assessore allo Sviluppo del territorio, edilizia privata e arredo urbano del Comune di Milano nella giunta di Gabriele Albertini e poi ministro delle Infrastrutture dei governi Letta e Renzi.
La linea Lupi è quella della Legge Obiettivo di Berlusconi del 2001: che resuscita, peggiorata, nello Sblocca Italia di Renzi (e Lupi, appunto) nel 2014. Il motto delle due leggi era lo stesso: "padroni in casa propria". Parole che volevano solleticare i cittadini, ma che di fatto descrivevano perfettamente le figure di amministratori che si sentono padroni del territorio solo per svenderlo ad interessi particolari. Un pensiero unico che tende ad inghiottire tutti: basti pensare ad Enrico Rossi, che mentre si candida a guidare il Pd e il Paese con idee socialiste, impone ai cittadini della Maremma un'autostrada che essi non vogliono.
Ora è il turno dei 5 Stelle. In campagna elettorale il loro slogan (sommario, ma efficace) era: riprendiamoci il governo della città. Non come 5 stelle, come cittadini. Ed è su questo che hanno avuto il voto di moltissimi romani di sinistra. La prima cosa che i vincitori avrebbero dovuto fare una volta entrati in Campidoglio era dunque ritirare la delibera 132/2014: quella con cui la giunta Marino aveva stabilito che il progetto dello stadio - un progetto della Roma (la società, non la città), che prevede un milione di metri cubi di cemento con destinazione prevalente a uffici per ospitare multinazionali e attività commerciali - fosse "di pubblico interesse".
Era una battaglia difficile, ovviamente: una battaglia che si poteva vincere solo spiegando molto chiaramente agli elettori la situazione, chiedendo pubblicamente l'appoggio dei romani contro chi minacciava - e minaccia - di mettere in ginocchio la città attraverso cause miliardarie. D'altra parte, tutti sappiamo che per invertire la rotta pluridecennale della privatizzazione delle città occorre una clamorosa rottura della continuità: una rottura che affermi il primato della politica e del bene comune sugli affari e sugli interessi privati. Ma è successo tutto il contrario: e ora ci si viene a dire che lo stadio si farà, vedremo con quante torri e quanta speculazione attorno.
I 5 Stelle vengono quotidianamente passati al microscopio da chi si aspetta (o magari si augura) di 
poterli dichiarare uguali a tutti gli altri nella corruzione. Ma quello che sta emergendo è qualcosa di diverso, forse di peggiore. E cioè che essi rischiano di essere uguali agli altri nella subalternità allo stato delle cose: in un difetto, e non già in un eccesso, di radicalità. Perché chiunque varca quella famosa linea d'ombra senza una visione, senza un progetto, senza sapere quale città e quale politica vuole, non riuscirà a cambiare niente. Anzi, ne sarà inesorabilmente cambiato.

Tomaso Montanari, la Repubblica, martedì 14 febbraio

13 commenti:

  1. Assessore dimesso. Speculazione edilizia al via?
    s.

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    1. Le dimissioni di Paolo Berdini non sono una buona notizia.
      Si è indebolito il fronte che richiede il primato della democrazia, delle Istituzioni, della salvaguardia dell'ambiente, della difesa del suolo, della conversione ecologica.
      Ma l'impegno di chi non vuole arrendersi alla speculazione immobiliare e distingue sport per tutti da affari per pochi, continua.
      Nulla deve essere considerato scontato.
      Gianni

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  2. La forza del cemento non ha confine.
    Come quella delle armi.
    Nik

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  3. E' un peccato che persone colte e preparate come Montanari non vogliano "giustamente" partecipare in prima persona alla vita politica, e siamo costretti ad essere governati da ministri incompetenti e ignoranti che invece di servire il bene comune sono al servizio degli interessi di poteri economici. Del resto le persone serie preferiscono svolgere le professioni per cui hanno studiato divulgando tra una splendida lezione su Caravaggio o Bernini anche il loro punto di vista politico cercando di aprire gli occhi ai loro ascoltatori. Daje Tomaso!
    Pasquina

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    1. Detto che il pensiero critico e l'impegno di persone oneste e competenti sono comunque utili alla collettività, penso anch'io che Tomaso Montanari potrebbe rappresentare bene molti di noi nelle Istituzioni italiane o europee.
      Gianni

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  4. Per opportuna conoscenza, la lettera di Ignazio Marino, su la Repubblica di oggi.
    M.

    LA REPUBBLICA (I. MARINO) - Caro direttore, il dibattito intorno allo Stadio della Roma ha prodotto un fiume di parole confuse, per cui è necessario ripartire dai fatti. La delibera della mia Giunta, votata in Assemblea Capitolina il 22 dicembre 2014, dichiarò il pubblico interesse all’opera, condizionandolo, ovviamente, non allo stadio privato, sul quale legittimamente la società sportiva conta per accrescere la propria competitività, ma alle opere connesse all’impianto sportivo e utili alla qualità della vita delle romane e dei romani.

    In particolare venne previsto:

    1. il potenziamento del trasporto pubblico su ferro a servizio dell’area di Tor di Valle e della città, con frequenza di 16 treni l’ora nelle fasce di punta e un nuovo ponte pedonale verso la stazione FL1 di Magliana (costo a carico del privato: 58 milioni di euro);

    2. l’adeguamento di via Ostiense/via del Mare, di cui si parla da decenni, fino allo svincolo con il Grande Raccordo Anulare (costo a carico del privato: 38,6 milioni di euro);

    3. il collegamento con l’autostrada Roma Fiumicino attraverso un nuovo ponte sul Tevere (costo a carico del privato: 93,7 milioni di euro);

    4. l’intervento di mitigazione del rischio idraulico e di messa in sicurezza dell’area (costo a carico del privato: 10 milioni di euro).

    Se verrà a mancare anche una sola di queste opere di interesse pubblico la delibera recita testuale: “(…) il mancato rispetto delle su esposte condizioni necessarie, anche solo di una, comporta decadenza ex tunc del pubblico interesse qui dichiarato e dei presupposti per il rilascio degli atti di assenso di Roma Capitale e della Regione Lazio, risoluzione della convenzione, con conseguente caducazione dei titoli e assensi che dovessero essere stati medio tempore rilasciati”. In sostanza, se si cancellano le opere pubbliche esterne allo stadio, viene meno il pubblico interesse e si deve riscrivere una nuova delibera. È questo lo stallo in cui si è impantanato lo stadio.

    A Roma non c’è uno scontro tra voraci palazzinari e quelli che invece vogliono tagliare le unghie alla speculazione immobiliare. Sembra esserci più che altro un gioco, tra chi non vuole, avendo sbagliato percorso, perdere la faccia e chi, il proponente privato, chiede semplicemente certezze.

    Molti commentatori pur ammettendo di non aver letto le carte hanno gridato alla speculazione. Bisogna giudicare il progetto nel suo insieme, comprese le torri di Daniel Libenskid, che hanno una forza non solo architettonica, ma saranno in grado di attrarre grandi gruppi internazionali, creando migliaia di posti di lavoro e sostenibilità economica al progetto. Si è lanciato l’allarme per le inondazioni cui sarebbe sottoposta l’area dello stadio ma anche qui le carte dicono una cosa diversa. Il rischio esondazione c’è ed è reale, ma interessa una porzione di città esterna all’area di Tor di Valle che è già oggi abitata da moltissimi cittadini, quella del quartiere di Decima. Nessuno si era occupato di loro e il fatto che il progetto dello stadio approvato dalla mia Giunta preveda, ancora una volta a carico del privato, la messa in sicurezza del fosso rendendo più sicura la vita di quei cittadini, è un fatto, ma lo si omette.

    Si preferisce invece l’immagine del conflitto tra buoni e cattivi, per alimentare i discorsi vuoti di chi, forse, non si sente in grado di entrare nel merito del progetto. L’amministrazione Raggi ha davanti un bivio: o porta avanti il progetto originario con il massimo rigore e serietà nel presidiare il pubblico interesse preteso dalla mia Giunta o, se decide di cambiarlo, deve illustrare quali sono gli ulteriori vantaggi pubblici e concreti per la vita dei cittadini del nuovo indirizzo.

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    1. Montanari dice che Raggi è uguale a Marino e Alemanno.
      Raggi dice di volere migliorare ciò che ha fatto Marino.
      Marino dice che cambiare può solo peggiorare.
      Ne usciremo?
      CM

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    2. Uscire è possibile.
      Leggendo le carte, come dice Ignazio Marino. Queste ci dicono che per realizzare "lo Stadio" occorre edificare un nuovo quartiere e molte nuove "opere connesse".
      È il prezzo che "i privati" e l'Amministrazione romana hanno trattato e concordato nel 2014. Per fare tornare i conti. Per remunerare adeguatamente gli investimenti dei potenti gruppi imprenditoriali e finanziari che conducono l'operazione.
      L'alternativa?
      È cambiare scenario, come richiedono Montanari, urbanisti, ambientalisti, cittadini liberi e pensanti.
      Istituzioni rappresentative ed autorevoli (dotate di adeguate risorse finanziarie da uno Stato ed un Governo altrettanto rappresentativi ed autorevoli) definiscano (loro) priorità, programmazione territoriale, regole e progetti qualificanti per la comunità. Ed entro queste linee, opportunità e limiti, tutti "i privati" possono e debbono operare per migliorare la qualità della vita e gli interessi legittimi di singoli e gruppi.
      Non è questione (solo) romana, questa.
      È questione culturale, sociale e politica.
      Che riguarda tutti noi e le generazioni prossime.
      Gianni

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  5. Montanari - Lombardi cv Marino - Raggi?
    Doppio misto.
    Zorro

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    1. Non so.
      L'impressione è che comunque sia meglio scendere tutti in campo. Non assistere passivi.
      Anche perché in gioco non è solo Roma ...
      Non sarebbe poco. Ma la sfida è in ogni città.
      Apriamo gli occhi.
      Gianni

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  6. Evviva, la Soprintendenza ci salverà!
    Se Destre, PD o ***** quando arrivano al potere risultano condizionati dalla linea d'ombra del cemento ...
    ... ringraziamo i nonni che ci hanno consegnato una Costituzione dotata di poteri bilanciati;
    ... applaudiamo i giovani che all'80% hanno scelto di mantenerla ...
    Stop speculazioni!
    Robby

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    1. La Soprintendenza fa la sua parte. Bene. Benissimo, se lo fa con accresciuta competenza ed autorevolezza.
      Ma ogni cittadino, ogni associazione ed ogni Istituzione deve fare la sua. Nessuna delega. Autonomia e responsabilità.
      Gianni

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