Beirut, da quaranta anni chiede pace

Venerdì scorso, un atto terroristico ha provocato la morte di 8 persone e 70 feriti.
Obiettivo e vittima un ex Ministro del Governo Libanese, Mohammed Shatah, esponente del fronte anti siriano "14 marzo" e braccio destro dell'ex premier e leader dei sunniti libanesi Saad Hariri, figlio del primo Ministro Rafiq Hariri ucciso nel 2005 in un attentato avvenuto nella stessa zona.

La mia memoria ritorna a oltre quaranta anni fa, il 10 aprile 1973.
Quella mattina, sull'aereo della MEA Roma - Bagdad, con scalo a Beirut, stavo andando al Congresso nazionale dei giovani del partito BA'AT arabo socialista.
Ero segretario cittadino della FGCI, la Federazione Giovanile Comunista Italiana, e con me c'era un giovane dirigente bolognese del PCI. La nostra presenza a quell'originale e (all'epoca) lontano appuntamento, era dovuta ai rapporti intercorsi con studenti irakeni che frequentavano, l'Università di Bologna e al loro interesse per noi.
Quella mattina, in viaggio, la lettura quotidiana de l'Unita' ci fece sobbalzare per una "ultima ora": "Attacco israeliano nel centro di Beirut". Ho recuperato qui la prima pagina, ma per leggere si può consultare facilmente l'Archivio storico del giornale fondato da Antonio Gramsci.

        

Si trattava di una azione militare dell'esercito israeliano. Provocò alcune decine di vittime. Obiettivo 3 alti dirigenti del popolo e della resistenza palestinese, al tempo profughi in massa nel paese dei cedri: il braccio destro di Yasser Arafat, Abu Yussef, poi Kamal Adwan e Kamal Nasser, tutti assassinati.
L'aereoporto di Beirut era presidiato dai carri armati, la tensione era palpabile. Dopo tre ore di sosta, per fortuna ripartimmo.
A Bagdad assistemmo a manifestazioni oceaniche di solidarietà con i Palestinesi e contro Israele. Un'esperienza interessante, ricca di aneddoti, anche divertenti. Prima o poi ci torneremo.
Faticammo a fare capire ai nostri interlocutori iracheni ed arabi la posizione politica dei comunisti italiani a sostegno della applicazione della risoluzione 242 dell'ONU: "la richiesta di pace in cambio del ritiro dai territori occupati da Israele (con la guerra dei sei giorni)". 

Sono passati quarant'anni. Quei diritti (e ulteriori risoluzioni per la pace) non sono mai stati riconosciuti e rispettati.
I palestinesi sono ancora segregati e divisi. Il loro capo storico, insignito di Nobel per la pace, è stato prima umiliato, quindi ucciso.
Le responsabilità delle grandi potenze mondiali, Stati Uniti in testa, delle classi dirigenti europee e del medio oriente, israeliane ed arabe, sono evidenti.
I conflitti e le guerre continuano: Iraq, Libano, Libia, Egitto, Siria. 
Storie, culture, patrimoni di grande valore rischiano di essere distrutti.

È tempo di rottamare vecchie politiche e tutte le generazioni che le perseguono.
È ora di unire forze, generazioni, popoli e movimenti internazionali su grandi opzioni e progetti:
1. Risolvere pacificamente le controversie e i conflitti, riconoscendo i diritti umani delle persone e le compatibilità ecologiche e naturali del pianeta.
2. Promuovere un governo mondiale democratico dell'economia, orientato, innanzitutto, a vincere la fame e la povertà dei popoli.
3. Ridurre gli armamenti e convertire le industrie delle armi. Investire in alimenti sani, nella prevenzione dalle malattie, nella istruzione, nella formazione, nelle conoscenze, nella cultura, nella sanità, nelle produzioni e nei lavori socialmente utili.
Tutto il resto ... sono fatti e storie che si ripetono.