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Bologna in Piazza contro il genocidio del popolo palestinese e l'attacco all'ONU ... |
La sfida di Netanyahu al mondo merita una risposta civile. Dopo un anno ininterrotto di guerra su più fronti con oltre 40 mila morti palestinesi per vendicare la strage del 7 ottobre 2023, ora il Capo di Governo di Israele intima anche alle Nazioni Unite di ritirare le truppe della missione Unifil presenti in Libano. Lo fa con un appello video e sparando contro militari e presìdi del contingente internazionale. E' tempo di fermare questo pericolo pubblico con una mobilitazione popolare ampia e articolata e con rappresentanze istituzionali più autorevoli e determinate.
Nessun passo indietro dell'ONU, piuttosto un deciso passo avanti. Confermando una forza di interposizione che oltre ad includere militari contempli civili qualificati in campo sanitario, assistenziale, sociale, della comunicazione. In queste settimane giornalisti e studiosi hanno proposto letture critiche argomentate sugli intenti di Netanyahu e dei poteri nazionali ed internazionali, economici e finanziari che lo sostengono.
E' bene, come sempre, unire analisi e valutazioni (qui sotto articoli di Tommaso Di Francesco e Francesco Strazzari) a proposte e iniziative politiche. Senza delegare a nessuno ciò che è nella responsabilità di ogni singolo e di ogni comunità che vuole davvero capire gli interlocutori vicini e lontani e cooperare, tra diversi, per affermare diritti e doveri universali.
Il "Nuovo Ordine" a cannonate
«Ripetutamente e deliberatamente», denuncia il comunicato Onu, sono state colpite in Libano dalle cannonate di un merkhava, un carro armato israeliano, la sede centrale-bunker della missione Unifil e la sede del contingente italiano, con inseguimento di un drone e distruzione delle telecamere – che cosa non devono vedere?
L’episodio di guerra aperta contro l’Onu e contro il contingente italiano, si inserisce nel buio dell’avvio della risposta di guerra di Tel Aviv a Teheran dopo il raid iraniano per rispondere all’uccisione di Nasrallah, e nel pieno del massacro ininterrotto a Gaza, con anche ieri decine di civili inermi uccisi che vanno ad aggiungersi alle 42mila vittime di questo anno di sangue.Sembra a prima vista, di fronte a tanto orrore, un evento marginale, poco drammatico visto il solo ferimento di due caschi blu indonesiani. Al contrario è un fatto gravissimo che rappresenta il livello pericoloso che Netanyahu vuole impunemente superare; non più come vendetta per l’efferato attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 ma, approfittando del momento e dell’euforia interna per le «vittorie» riportate - ma gli ostaggi da liberare che fine faranno? – , per attuare il dichiarato disegno del Nuovo Ordine in Medio Oriente. Certo il bombardamento di sedi Onu in questa guerra ormai su quattro fronti, Gaza, Cisgiordania, Libano e Iran, non è nuovo.
Le sedi dell’Unrwa, che presiede alla condizione umanitaria dei palestinesi fin dal 1948, a Gaza sono state ripetutamente e deliberatamente rase al suolo con l’uccisione di decine di operatori delle Nazioni unite; e in Libano viene alla memoria la strage di Qana del 1996 quando il territorio libanese era ancora occupato dalle forze israeliane e per rispondere alla ripresa del conflitto, Shimon Peres pensò bene di bombardare una sede Onu dove si erano rifugiati molti civili: ci furono 103 morti e un’inchiesta del Palazzo di Vetro rivelò che il governo israeliano sapeva della presenza di civili.
Stavolta però Netanyahu l’ha fatta, se possibile, ancora più grossa. Perché il messaggio è chiarissimo: nel «Nuovo Ordine» lì, nel Sud del Libano, quella funzione di interposizione e di controllo che secondo l’ultima risoluzione 1701, vietava – a hezbollah ma anche a Israele – l’uso militare di quell’area oltre la Blu Line, non deve più esserci, l’Onu in buona sostanza se ne deve andare, se resta deve stare al suo gioco: garantire una sola parte. Di più: prendere di mira il contingente italiano «deliberatamente» è un messaggio gravissimo ad un Paese che, con questo governo di destra-estrema destra, con una premier di formazione almirantiana e proprio per questo “mimeticamente” filo-israeliana, si è ripetutamene schierato con Israele perché «ha diritto a difendersi … rispettando il diritto umanitario» sono le ultime parole di Giorgia Meloni.
Ma Netanyahu il «diritto umanitario» non lo ha rispettato: siamo a 42 mila morti a Gaza, centinaia in Cisgiordania, e 1.500 in Libano, per la maggiora parte tutti civili. In Libano poi è in corso l’offensiva israeliana che, per riportare in Galilea 60mila profughi ha causato un milione e 200 mila profughi in fuga dal sud del Libano perfino verso la martoriata Siria da dove molti di loro erano fuggiti.
«Attenti, il sud del Libano rischia di diventare una nuova Gaza», ha decretato 48 ore fa il premier israeliano: ma il Libano è già una nuova Gaza. E dopo l’annuncio della «liberazione» agli iraniani, adesso c’è l’appello ai libanesi a ribellarsi a hezbollah, che fino a poco prima dell’uccisione di Nasrallah deliberatamente ucciso ne giorni scorsi, era una componente politica della tenuta unitaria del Paese dei Cedri, anche con ruoli di governo. Ancora altro caos nel caos, insomma una nuova guerra civile libanese dopo le troppe che ha vissuto e non è detto che qualcuno non ci stia lavorando; mentre per ora la «liberazione» di Bibi, sostenuta dalla monarchia dei Palhevi perfino corsi alla Knesset a chiederla, viene rifiutata dagli iraniani e dalle iraniane che hanno sotto gli occhi il massacro a Gaza di migliaia di donne, e la storia del loro Paese che vide i Palhevi al soldo Usa fare scempio della svolta laica e democratica di Mossadeq negli anni Cinquanta.
Ma ora l’Italia come risponde? È Crosetto, non Taiani, a convocare l’ambasciatore israeliano. Per dirgli che? Forse come ministro della difesa di provenienza Leonardo, «basta sistemi d’arma e intelligence» – come ha minacciato Macron -, o sospensione del nostro Trattato militare, e sanzioni? Quando mai. Le parole sono forti: «L’Italia e l’Onu non prendono ordini da Israele» dice Crosetto. Ma non sono ordini, sono cannonate. Se l’Unifil fosse costretta sotto i colpi dei carri armati israeliani a lasciare il campo senza una rottura dei rapporti diplomatici, in primo luogo da parte di Italia e Francia che sono stati i mallevadori della nuova Unifil, sarebbe prima di tutto uno smacco politico per questo governo a dir poco inadempiente; che non riconosce lo Stato di Palestina, che vota blandamente per il “cessate il fuoco” diventato una giaculatoria fiabesca peggio dei “due popoli due Stati”; che si astiene all’Onu, appeso alla miopia, ai silenzi e all’impotenza degli Usa che con Biden non hanno mai messo limiti alla tracotanza di Netanyahu – soccorso con 18 miliardi di armi in questo ultimo periodo – e del suo Nuovo Ordine. Per Biden l’uccisione di Nasrallah è stata una «misura di giustizia».
Un Nuovo Ordine, a ben vedere, agito sulla scia degli Accordi di Abramo voluti da Trump, che hanno cancellato di fatto la questione palestinese, come Netanyahu ha ripetutamente mostrato con le sue mappe proprio alle Nazioni unite. L’attacco all’Unifil – «potrebbe essere un crimine di guerra», sono le parole di Crosetto – conferma l’attacco a Guterres, persona non grata in Israele, e alle Nazioni unite definite «palude antisemita». La legalità internazionale in Medio Oriente, se mai c’è stata, è cancellata e Netanyahu vuole riscriverla. Altro che doppiopesismo. Come dimenticare chi è davvero Netanyahu e che cosa è lo Stato d’Israele sotto la sua guida: oltre ad essere più insicuro di prima, ora è incriminato alla Corte internazionale di giustizia dell’Aja per «plausibile genicidio», e per il premier israeliano (e per Synwar di Hamas) è stato chiesto dal procuratore generale della Corte penale internazionale l’ordine d’arresto come «criminale di guerra». Può un criminale di guerra bombardare il mondo, grazie all’impunità dovuta alle protezioni Usa e occidentali, senza che nessuno riesca ad arrestarlo?
Tommaso Di Francesco, il manifesto, 11 ottobre
Di crisi in crisi, gli USA dietro la guerra di Bibi
Sarà difficile, per gli storici, parlare degli Stati uniti come della grande potenza che ha voluto, ma non ha potuto, frenare il furore bellico di Israele. Da una parte verranno rinvenute le molte parole spese ad invocare il cessate il fuoco e il richiamo del diritto umanitario bellico. Dall’altra, appena dissimulate dalle acrobazie dei portavoce della Casa Bianca, ci saranno i fatti, le linee rosse lasciate calpestare impunemente, e soprattutto ci saranno i soldi e le armi.
Nell’ultimo anno un quarto della macchina da distruzione israeliana è stata finanziata dagli aiuti militari di Washington. Quasi 18 miliardi di dollari, una cifra superiore all’intero budget militare iraniano, e più o meno equivalente a quanto gli Usa nel 2022 hanno speso per le Nazioni unite, ovvero per far funzionare la macchina del multilateralismo.
Eppure un anno fa, quando Netanyahu rispondeva ai massacri del 7 ottobre evocando lo sterminio biblico degli Amaleciti per scatenare l’annichilimento di Gaza, in Italia imperversavano commenti rassicuranti, che descrivevano la potenza americana protesa ad abbracciare benevolmente l’alleato-Israele, non solo per rassicurarlo con la propria presenza militare, ma soprattutto per moderarne gli impulsi vendicativi, temperandone le implicazioni più destabilizzanti per la regione. Un anno dopo Tel Aviv è impegnata con operazioni di guerra su 7 (sette) fronti di guerra: Gaza, Cisgiordania, Libano, Siria, Iraq, Iran e Yemen. Mentre a Gaza nord da inizio mese non lascia entrare cibo, in Libano apre il fuoco sulle Nazioni unite (definite ‘palude antisemita’), mettendo nel mirino anche paesi amici come l’Italia.
Joe Biden ha consacrato la propria carriera politica alle relazioni internazionali, e si avvia a concluderla con un bilancio che non si può che definire disastroso. Il bilancio è così fallimentare che dalle colonne del Guardian lo storico Adam Tooze si è chiesto se non stiamo sottovalutando la reale intenzione della Casa bianca, attardandoci a rappresentare Biden come lo stanco epigono di un ordine vacillante, che tenta di salvare fra grandi avversità. A un Biden impegnato nel mantenimento dello status quo, Tooze contrappone un’America impegnata attivamente a perseguire e consentire, all’opposto, una strategia della tensione che determina occasioni per spostare gli equilibri globali a proprio vantaggio (dunque, a sovvertire lo stato delle cose).
Secondo questa interpretazione, se sono chiare a tutti le premesse e le implicazioni del Make America Great Again di Donald Trump, l’insistenza di Biden sulla difesa dell’ordine internazionale ‘basato sulle regole’, e l’evidenza marchiana dell’aggressione russa in Ucraina tendono a confondere le acque, eclissando il tentativo costante e coerente della Presidenza Biden di rovesciare la linea di tendenza al declino della potenza americana, a partire dalla regione Indo-Pacifica, non a caso definita ‘arena strategica’. Qui la politica estera statunitense si spinge ben oltre la mera difesa dell’ordine esistente, coniando inedite alleanze internazionali che agiscono in chiave anti-cinese accentuando i tratti già evidenti con la Presidenza Trump. Nel Medio oriente, la luce verde che gli Usa danno a Israele (si pensi l’editoriale del New York Times sul perché conviene che Israele vinca), non è un aspetto episodico che segnala difficoltà nel far valere l’interesse nazionale nella gestione delle crisi regionali, ma ci indica una direzione più ampia e profonda.
Non è mai stato così chiaro come oggi che il ripristino della deterrenza e il diritto di Israele a difendersi sono solo una parte della storia, una storia che passa sulla vita di milioni di persone. Meno chiaro è come agli Stati uniti, di crisi in crisi, non interessa il mero ripristino dello status quo ante, ormai svuotato di ogni principio di realtà (si pensi al processo di pace di Oslo) con mutevoli forme di beneplacito da parte di Washington.
Gli Usa sono indubbiamente riusciti a tenere allineati il Regno Unito e la Germania. Quest’ultima è finita in recessione e affronta una serie di testacoda che ne stanno minando il quadro politico. I giovani israeliani che lasciano Israele non potendone più sopportare il clima illiberale, finiscono arrestati in Germania come antisemiti quando scendono in piazza contro il governo di Israele. Giorni fa la ministra tedesca Cem Özdemir, verde, ha definito ‘orribile e terribile’ che Greta Thunberg abbia partecipato ad un corteo pro-Palestina, aggiungendo un mea culpa per averla lodata in passato. Il Cancelliere Olaf Scholz, socialdemocratico, non ha lasciato spazio per ambiguità quando ha chiesto il microfono, il 7 ottobre, per affermare che la Germania ha fornito armi a Israele e si appresta a fornirne di più. Berlino, dunque, non solo si astiene dal cercare di influenzare, ma sostiene attivamente l’azione di Tel Aviv. Una posizione più vicina a quella di Budapest che a quella di Parigi. Davanti all’attacco israeliano alle postazioni di UNFIL la Germania ha ribadito il diritto israeliano a difendersi da Hezbollah. Ha poi aggiunto che sparare sulle Nazioni Unite è inaccettabile e che si aspetta che l’incidente sia pienamente investigato e chiarito. Quando però le parole richiedono di specificare da chi, ecco che le parole si fermano.
Governata da una Premier che deve buona parte della propria legittimità internazionale all’essersi compiutamente allineata all’asse transatlantico e baltico, questa settimana l’Italia ha avuto un sussulto, accorgendosi di essere fortemente esposta a questi sviluppi. Anche in questo caso, le parole sono andate da una parte (fiera condanna) mentre i fatti (lo stop dell’invio di armi a Israele) sono andati dall’altra, continuando la costruzione di un fragilissimo castello di contraddizioni.
Francesco Strazzari, il manifesto, 13 ottobre
Bologna, 13 ottobre 2024
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Ore 15, piazza VIII Agosto: uno striscione sul selciato pronto per la manifestazione ...
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Una ragazza con kefiah
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"Stop genocidio, Palestina libera" ...
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Bandiera palestinese (sulle spalle) ...
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www.assopacepalestina.org ...
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Due ragazze (con kefiah e bandiera)
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Una bandiera del Libano ...
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Ore 15.20: centinaia di persone ...
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Una donna ed un cartello: "stop al commercio di armi ed alla cooperazione nel settore militare e della sicurezza con Israele" ... |
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Decine di corpi a terra coperti da lenzuoli bianchi a rappresentare le vittime di una giornata qualsiasi a Gaza ...
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"Basta complicità coi crimini di Israele" ...
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I corpi immobili stesi a terra, una immagine potente per tutti, le bandiere palestinesi al vento ... |
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Si forma il corteo con mille voci protagoniste: le Donne in Nero di Bologna ... |
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"Ai bambini della Palestina concesso sognare" ...
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"Fermiamo l'apartheid israeliano in Palestina" ...
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Tra i manifestanti Patrick Zaki ...
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Bandiere, cartelli e disegni ...
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In Piazza dei Martiri ...
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Richieste di boicottaggio e di sanzioni ...
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Quattro ragazze ascoltano l'intervento di una studentessa ...
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Davanti alla sede della CGIL ...
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In via Marconi, partecipazione in strada e dalle finestre ...
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Una bandiera palestinese esposta al 5° piano ... |
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Un'altra sulle spalle di una ragazza sotto il portico ...
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La manifestazione si chiude in Piazza San Francesco con interventi di donne e uomini in rappresentanza delle varie organizzazioni ed associazioni promotrici ... |
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Il giorno dopo, la prima pagina di cronaca locale de il Resto del Carlino: il titolo "in mille in piazza per la Palestina" e a fondo pagina leader e candidati ... (14 ottobre 2024)
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La manifestazione sulle pagine interne di Carlino Bologna ... (14 ottobre 2024)
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Sulla prima pagina di la Repubblica Bologna: "protesta senza incidenti" ... (14 ottobre 2024)
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Foto ed articolo su la Repubblica Bologna ... (14 ottobre 2024) |
Una forza di interposizione nel
RispondiEliminacorso di una guerra mi pare pericoloso. Rischia solo di allargare il conflitto armato. Sono piuttosto convinta che si debba riconoscere lo Stato di Palestina, interrompere le forniture militari, boicottare i commerci di armi, isolare chi provoca guerre. Israele come la Russia, fuori dalle competizioni sportive ......
L.