Una manifestazione dell'autunno scorso contro il genocidio del popolo palestinese a Bologna ... |
In tempo di guerra la tendenza è arruolarsi: propagandare le ragioni di uno e annullare o eludere quelle dell'altro. Senza rendersi conto delle molte contraddizioni in cui, spesso, si finisce. Solo alcuni esempi. I "confini" di uno Stato sono sempre "sacri e inviolabili"? Valgono per l'Ucraina come per il Libano? La "giustizia" va perseguita dalle autorità di ogni paese seguendo regole e principi universali? Russia, Arabia Saudita e Israele incluse? Le rappresentanze nazionali meritano comunque riconoscimento? Corea del Nord, Egitto, Afganistan, Autorità Palestinesi comprese ? Il "terrorismo" può essere accettabile o meno in forza di chi lo esercita o lo subisce? Hamas o Netanyahu, israeliani o arabi?
Intendiamoci essere Partigiani pro natura e cultura, per la liberazione di popoli e persone ci sta, eccome! E' essenziale, doveroso. Ci sono questioni grandi e irrisolte da troppo lungo tempo, che esigono risposte. Ora. Non si può restare indifferenti di fronte a violenze continue, a guerre regionali feroci, al genocidio palestinese in corso, alle minacce di guerre nucleari e di attacchi a centrali atomiche.Mobilitarsi, informarsi, capire, proporre è urgente. La Comunità europea ed internazionale, l'ONU possono restare impotenti di fronte ad azioni unilaterali aggressive?
Anziché correre tutti verso il riarmo e nuovi appuntamenti di guerra per "vincere il nemico" di oggi (forse alleato di domani) non è più utile ed opportuno cessare il fuoco, concordare incontri tra parti in conflitto, promuovere contingenti internazionali di pace, di interposizione e di separazione dei belligeranti?
A partire dal Medio Oriente, dal presidio del confine tra Gaza e Israele, dei territori di Cisgiordania e del Libano. A seguire lungo i territori europei tra Russia ed Ucraina.
Sono proposte immediate per fermare quella che risulta essere una Escalation per l'inferno (il manifesto, 2 ottobre, vedi sotto)
Un modo concreto, possibile per affermare una tregua e guadagnare tempo per un confronto politico e diplomatico vero, diffuso, razionale.
Volendo, l'Italia e l'Europa possono caratterizzarsi - nel rispetto di Costituzione e Principi fondanti - verso le Nazioni Unite per una iniziativa di pace, di coesistenza e di cooperazione. Qui ci sono energie intellettuali, popolari e diplomatiche per agire e per riflettere, per raccontare esperienze ed avanzare proposte: molto interessanti alcune testimonianze e letture che in questi giorni sono state pubblicate (vedi quelle degli ex ambasciatori a Beirut, Giuseppe Cassini, ed a Bruxelles, Elena Basile, o quelle del professor Francesco Strazzari, della Scuola Universitaria Superiore Sant'Anna di Pisa e dell'antropologo francese Emmanuel Todd, nel suo ultimo libro "La sconfitta dell'Occidente").
Molto meglio imboccare questa via che non vietare manifestazioni e mobilitazioni popolari, come quella di domani a Roma, pro Palestina, "vietata per ragioni di ordine pubblico". Quasi che il compito di esprimere opinioni, sostenere tesi, assumere iniziative fosse da delegare a Governi, Alleanze militari e di interesse, circoli ristretti, militari. Questo si, sarebbe conferma di logica autoritaria, illiberale, autocratica.
A tu per tu con Hassan Nasrallah
di Giuseppe Cassini
Di primo acchito si rimane «affascinati» dalla tecnologia d’Israele: migliaia di apparecchi cercapersone esplodono all’unisono in tutto il Libano. Poi il fascino lascia il posto all’orrore, leggendo del ragazzo che ha visto il proprio braccio strappato via con l’aggeggio che teneva in mano; o dell’altro giovane a cui l’esplosione ha distrutto una gamba e i genitali. E l’indomani leggi ancora che centinaia di walkie-talkie sono esplosi in simultanea, seminando ulteriori morti e mutilati. Le vittime non sono tutte di Hezbollah, tantissimi sono gli innocenti.
Hezbollah ha subito un colpo durissimo. Eppure il partito resiste, fa parte del Parlamento, è radicato da trent’anni nelle comunità sciite più derelitte, dotandole di dispensari, scuole, ambulatori in sostituzione di un governo indifferente. Il pensiero vola al ricordo dei colloqui a tu per tu con Hassan Nasrallah quand’ero ambasciatore a Beirut. La prima volta nel 1998. Al mattino avevo visitato all’ospedale tre bambini gravemente feriti durante un raid israeliano. Poi ero entrato nel quartiere popolare dove lui teneva casa e bottega: lì nessun attacco aereo l’avrebbe colpito senza provocare stragi di innocenti. All’ingresso del caseggiato (ora polverizzato) occhi attenti e barbe folte facevano trasparire una ferrea sorveglianza.
Una scala dimessa, una saletta ammobiliata con divani orrendi, una oleografia dozzinale della moschea al Aqsa era quanto poteva offrirmi il leader di Hezbollah. Ma appena entrò, compresi perché era rispettato come un liberatore. Il suo carisma era palpabile: imponente, barba ben curata, mi salutò con effusione, ringraziando per gli aiuti che l’Italia portava nel sud del Paese. «L’America – disse – ci considera terroristi. Perché? Perché lottiamo contro l’entità sionista che occupa il Sud e terrorizza i nostri fratelli, sciiti e cristiani, che hanno la sventura di vivere lì.
Lei, ambasciatore, ha potuto vedere quante vittime e distruzioni provocano gli attacchi israeliani. Hanno un solo scopo: sfiancare il morale dei libanesi per indurli a rivoltarsi contro di noi, ma non ci riusciranno. In questi anni io ho avuto modo di leggere qualcosa sulla resistenza in Europa contro il nazismo; i nazisti chiamavano “terroristi” e “banditi” i vostri partigiani. Forse che la nostra resistenza è diversa?». I rapporti che inviai in seguito servirono a poco: l’Europa al traino degli Usa inserì Hezbollah tra i movimenti terroristici (ma solo l’ala militare, un distinguo sul filo dell’ipocrisia).
Nel maggio del 2000 Israele evacuò il Sud del Libano sotto occupazione. Alla vigilia mi chiamò l’ufficio del Primo Ministro per chiedermi di accompagnarlo a «riprendere possesso» della zona. Solo dopo capii il perché di tale invito. Arrivammo accolti da folle festanti. Nel villaggio di el-Khiam un fabbricato tetro era la prigione dove venivano rinchiusi e spesso torturati i miliziani di Hezbollah catturati. Alcuni attrezzi di tortura erano ancora visibili. Il lavoro sporco era stato affidato a collaborazionisti locali, in genere cristiani maroniti, da poco fuggiti oltre confine; avevano abbandonato al loro destino cristiani impauriti dalle probabili vendette di Hezbollah. Per questo il governo riteneva utile la presenza di un diplomatico, meglio se italiano. Ma era una precauzione fuori luogo: Nasrallah, infatti, diede ordine di consegnare alla giustizia ogni collaborazionista catturato e non si verificò un solo caso di vendetta.
In altra occasione fui invitato per conto di Nasrallah ad assistere all’Ashura, la solennità islamica che commemora l’imam Hussein, nipote del Profeta, ucciso nella battaglia di Karbala. Molti fedeli sciiti la celebrano flagellandosi il petto e la schiena a sangue. Ma perché ero stato invitato? Lo capii quando sullo schermo apparve il leader per dire alla folla: «Se volete mostrare la vostra fede con un gesto utile, risparmiatevi le frustate. Date piuttosto il vostro sangue agli ospedali. Quelle ambulanze sono qui apposta per fare i prelievi e Allah ve ne renderà merito».
La guerra tra Israele e Hezbollah, nel 2006, fu devastante per il Libano. Nasrallah non poteva più fidarsi di ricevere estranei alla sua cerchia ristretta. Tuttavia mi fece sapere che i caschi blu dell’Unifil, tra cui primeggiavano gli italiani, sarebbero stati sempre benvenuti.
Finora l’intesa è stata rispettata. L’Unifil non ha subito attentati: o meglio, nessuno firmato Hezbollah. Le uniche vittime sono state quattro militari uccisi dagli israeliani nel 2006 in un fortino pur “protetto” dell’Onu e sei spagnoli falciati nel 2007 da un’autobomba innescata da miliziani sunniti, per dimostrare che la sicurezza nel Sud non era garantita dal partito sciita; e da ultimo, nel 2022, un irlandese colpito in un’imboscata, forse per gli stessi motivi.
(il manifesto, 3 ottobre 2024)
Il capo di Hezbollah, Hassan Nasrallah, ucciso nel centro di Beirut dalle bombe israeliane che hanno sventrato più palazzi provocando decine di morti e feriti ... |
Il Medio Oriente su un tavolo da gioco senza regole
di Francesco Strazzari
Si chiama guerra. Arriva in forma di ondate di missili su larga scala, dopo il profluvio di eufemismi usati da media e diplomatici per definire i massacri di civili, le uccisioni mirate e le «invasioni limitate». Finisce la pazienza strategica di Teheran: gli ayatollah ritengono che stare fermi, mostrandosi una tigre di carta, comporti perdite più elevate che reagire.
L’escalation bellica investe le sponde del Mediterraneo e realizza ciò che era impensabile. Davanti al carico di sofferenze e alle incognite che presenta, non si può che restare sbalorditi per il ritorno dello sguardo cinicamente orientalista di chi vede nella guerra un’opportunità. Dipingendo così una regione barbara nella quale, grazie all’impiego spregiudicato della violenza, è data oggi l’occasione di riscrivere la Storia, in barba ai vincoli del diritto e della giustizia internazionale. Le parabole di Iraq, Afghanistan, Libia sembrano cosa sepolta, incapace di parlare al presente, tanto che riecheggia la dottrina Bush, quella dei neo-con e dell’effetto domino. Ieri ha parlato l’immancabile Bernard-Henry Levy: «Leggo che il Libano sarebbe sull’orlo del collasso. No! È sull’orlo del sollievo e della salvezza! La capacità di rimodellare il Medio oriente in questo momento è illimitata».Il governo israeliano cavalca questa narrazione e il momentum militare, fiutando l’occasione d’oro, con Netanyahu che ha annunciato agli iraniani l’imminenza della liberazione, in uno scenario di destabilizzazione del regime.
Hezbollah, ugualmente, vede il combattimento scendere a terra, dove la resistenza sa combattere (le brigate al Qassam non sono sparite a Gaza): fiuta l’ora della resa dei conti e proverà a trascinare Tsahal in un sanguinoso scontro protratto.
Nel mezzo ci sono un Libano esangue e l’intero Medio oriente, cominciando con la Siria. Lo scenario forse più ottimistico vede un arretramento di Hezbollah, rimpiazzato da un esercito libanese rafforzato e coperto da forze e accordi internazionali. Ma quanto è davvero incapacitato Hezbollah? Ogni tentazione di liquidare il Partito di Dio agisce sulle suture che tengono insieme il Libano, riportandoci agli scenari della guerra civile, e sollevando la più ampia questione sciita, che attraversa anche l’Iraq (funerali simbolici di Nasrallah si sono svolti nelle principali città irachene).
Ogni linea rossa tracciata dalla Casa Bianca si è rivelata rosa, ammesso che il Segretario di Stato Blinken le abbia davvero volute marcare. Netanyahu sfrutta l’incertezza della finestra elettorale americana. Ore prima che l’invasione del Libano iniziasse, Biden si dichiarava per il cessate il fuoco; ad invasione iniziata, ribadiva il sostegno all’azione di Israele. Eccolo, il messaggio della Grande Potenza all’alleato: preferiamo di no, ma se decidete di ignorarci, andate avanti e passateci sopra.
Allargando il campo, emerge una logica più profonda, nella quale gli interessi di Washington e Tel Aviv convergono. Da tempo gli Usa manifestano, senza riuscirci, l’intenzione di estricarsi dal Medio Oriente, oltre che di tenere Israele al proprio fianco in un quadro geostrategico in mutamento. A 25 anni dalla scadenza che gli accordi di Oslo prevedevano per l’implementazione, Israele ha sancito il diritto esclusivo alla terra per il popolo ebreo, seppellendo la questione.
L’ascesa politica e le gesta belliche di Netanyahu nascono nel rovesciamento dell’idea, maturata in decenni di conflitto e sottoscritta a Oslo da Yitzhak Rabin, che Israele dovesse in qualche modo venire a patti con i palestinesi. Questo rovesciamento scarica ulteriore violenza sulla frammentazione della nazione palestinese, puntando alla sua marginalizzazione politica, demografica e territoriale, per arrivare, conseguitane l’irrilevanza, alla normalizzazione delle relazioni con il mondo arabo (accordi di Abramo). In questo quadro di pacificazione, agli Stati Uniti è infine consentito guardare altrove.
E così ecco tanti commentatori intenti a disegnare presunti effetti domino per la regione, un Medio oriente distante e bisognoso di terapie, mentre la realtà è che nessuno dei principali attori sembra in grado di poter fermare la guerra e proporre una visione politica del futuro che risponda a criteri di realtà.
L’Asse della Resistenza non ha un disegno politico discernibile: non solo la teocrazia iraniana e Assad, ma milizie come Hezbollah si sono sistematicamente macchiate di gravi crimini e devono parte della loro popolarità all’aver saputo tener testa all’espansione di Israele.
La comunità internazionale ripete il mantra dei due popoli due stati, che non ha più alcun ancoraggio reale, mentre evita di affrontare esportazione di armi o rapporti economici (si pensi alla doppiezza della Turchia). L’Occidente, che difende l’ordine internazionale rules based, quando si tratta di Israele si aggroviglia nei propri doppi standard, un rigurgito maldigerito di dibattiti su antisemitismo, islamofobia, colonialismo.
Israele consegue successi tattici: arriverà forse, non si sa a che prezzo, a una vittoria strategica, ma si troverà esposto al rischio storico di sovraccarico (territoriale, economico, militare). Decapitare i propri nemici non si traduce ipso facto in vittoria politica. Hamas ed Hezbollah non sono nati dal niente. Ancora una volta, dopo decine di migliaia di corpi dilaniati, la guerra si allarga e si approfondisce con la risposta iraniana.
Qualcuno ritiene che ci possa essere pace con oblio dei palestinesi: l’illusione che la pace arriverà attraverso nuova distruzione, proprio grazie al silenzio sui crimini di guerra, elevati a monito e fondamento.
(il manifesto, 2 ottobre 2024)
La prima pagina del Corriere della Sera titola "Invasione limitata in Libano. Bombe nel centro di Beirut" ... (1 ottobre 2024) Proprio così, "invasione limitata". |
Per la Repubblica "Israele, incursione in Libano" ... (1 ottobre 2024) Si, "incursioni", ovvero "operazioni di commando" ... |
"Innocenti invasioni" titola il Fatto Quotidiano le considerazioni critiche di Marco Travaglio sui colleghi delle redazioni dei giornali italiani ... (2 ottobre 2024) |
Per Federico Rampini (editoriale del Corriere) "L'Iran attacca, ma è isolato" ... Ovvero "L'azzardo del regime" (2 ottobre 2024) Israele? Tutto bene. |
Titola il suo ultimo editoriale da direttore de la Repubblica Maurizio Molinari "Se la morte viene dal cielo" ... (2 ottobre 2024) |
Ancora su il Fatto Quotidiano, Francesco Sylos Labini scrive Emmanuel "Todd, l'Occidente sta perdendo la sua sfida politica e intellettuale" ... (2 ottobre 2024) |
La copertina del libro "La sconfitta dell'Occidente" di Emmanuel Todd ... |
Bandiere palestinesi ad una manifestazione bolognese contro il genocidio a Gaza e per il rispetto dei diritti umani universali del novembre 2023 ... |
Un manifesto portato da una ragazza ... (novembre 2024) |
A Roma vedo su RAI News 24 almeno "diecimila manifestanti pro palestina" chiusi in piazza dalla polizia e impediti di muoversi in gruppo ... Come se ne esce???
RispondiEliminas.
Grazie per il carteggio Rep - CdS - FQ. Bella documentazione. Emerge Marco T.
RispondiEliminaVergognosi Rampini, Molinari & Folli. Forte la didascalia a commento del fu direttore, del fu presidente Jonh E. (due tristi filo amerikani).
Sei a Roma?
Ciao!
La proposta mi piace. Una forza internazionale di interposizione potrebbe dare spazio a soggetti più popolari sui fronti contrapposti. Israele deve fare i conti con Bibi Netanyahu e gli ultras ortodossi e i palestinesi con le leadership che hanno organizzato il 7 ottobre 2023.
RispondiEliminaIl problema però mi pare che nessuno voglia concordare una simile soluzione, né gli amici di Israele, né i pasdaran sciiti con alleati
È fuori luogo una missione che veda protagonisti diretti e dichiarati Papa Francesco, la presidente del G7 Giorgia Meloni, il Presidente francese Macron, il presidente usa Biden, Ursula von der Leyen, il presidente brasiliano Lula e quello indiano Modi?
L.
Questi diplomatici mi sembrano molto più ragionevoli dei direttori di giornali.
RispondiEliminaI partiti mi sembrano in sonno.
DG
Anche oggi Maurizio Molinari procede nel suo racconto: antisionismo = antisemiti.
RispondiEliminaDenuncia "l'odio" contro gli ebrei nel mondo senza interrogarsi su quanto Netanyahu e israeliani fanno a Gaza, in Libano e Medio Oriente.
In un mondo che conta 9 miliardi di persone un uomo di cultura può continuare a parlare solo agli "amici", senza ragionare sui problemi degli "altri"?
M.