L'assemblea popolare di sabato in Piazza del Nettuno: Non è una perturbazione, è crisi climatica! |
La crisi climatica ha mostrato i suoi effetti sull’Emilia-Romagna, mentre la cementificazione del territorio ha trasformato precipitazioni intense in una catastrofe con morti e devastazioni. Siccità prolungate, ondate di calore e poi inondazioni improvvise provocano disastri, mettono in discussione la possibilità di produrre cibo di qualità e di avere acqua per tutti/e. Piogge intense saranno sempre più frequenti e l’acqua, su territori cementificati e impermeabilizzati, scorrerà velocemente verso il mare, lasciando alle proprie spalle la distruzione delle alluvioni e i pozzi comunque a secco.
Eventi sempre più frequenti che distruggono case e luoghi di lavoro, ma anche gli spazi sociali e collettivi, mentre nuovi lockdown diventano normalità, con la chiusura delle scuole e dei luoghi di socialità, e tante lavoratrici e lavoratori sono costrette a mettere a rischio la propria vita perché anche in situazioni d’emergenza la macchina del profitto non si può fermare. L’ennesima crisi, che graverà sulle nostre spalle, che scaricherà con la solita violenza il lavoro di cura in primis sulle donne, sulle povere, sulle ultime. Crisi che si svolge in simultanea con la folle escalation bellica. Guerra e crisi climatica sono due riquadri dell’emergenza continua in cui viviamo.Tutto ciò non è un evento improvviso, è crisi climatica; è la volontà politica di investire per decenni sul costruire un territorio per il profitto e non per la vita bella e sicura di chi lo vive. E la crisi climatica è stata studiata ed annunciata, con i report sui tavoli di amministrazioni locali, regionali e governi. Sapevamo, sapevano! Di fronte a questa responsabilità, è ancora più irresponsabile affermare che “ricostruiremo tutto come prima”, e che le grandi opere vanno avanti. Dobbiamo fermarli!
La ricostruzione deve essere cura e salvaguardia del territorio, perché esso sia ospitale per quante lo abitano. Non ci servono grandi opere che, cementificando il territorio, mettono a rischio le nostre stesse vite, ma grandi scelte capaci di mettere la nostra vita degna e bella prima di ogni altro interesse.
Fermare le cause che peggiorano la crisi climatica, fermare il consumo di suolo, ricostruire socialmente i territori. Non possiamo accettare la logica dell’emergenza, che impone che le decisioni sulla ricostruzione siano prese in modo autoritario e verticale. Vogliamo soldi per la ricostruzione, basta soldi spesi in armi per le guerre! Diciamo chiaramente NO a una ricostruzione che punti a rifare tutto come prima. E NO a una ricostruzione costruita da un capo-Commissario con le mani sporche di cemento. Al contrario, dobbiamo commissariare noi chi in questi anni ha costruito il disastro. Vogliamo esercitare un legittimo potere di veto sulle scelte dannose per i nostri territori e le nostre vite. Vogliamo che le scelte su politiche e fondi non siano appannaggio di qualche capo supremo ma siano un’occasione per ripensare collettivamente i territori. Per ridisegnare socialmente, ecologicamente e radicalmente la Regione.
Chiediamo anche la moratoria immediata su due grandi opere simbolo delle scelte irresponsabili di amministrazioni locali, Giunta Regionale e governo:
- il rigassificatore di Ravenna, che ci costringerebbe a decenni di dipendenza dalle fonti fossili, la cui combustione è una delle principali cause dei cambiamenti climatici;
- il Passante di Bologna, il cui allargamento consentirebbe l’ampliamento delle altre autostrade regionali, e che è l’opera simbolo della cementificazione della nostra regione con decine di ettari che verrebbero sacrificati sull’altare dell’asfalto.
Per tutti questi motivi, l’assemblea di piazza del Nettuno a Bologna del 27 maggio lancia per il 17 giugno, a un mese esatto dall’alluvione del 17 maggio, una marcia popolare che partirà alle ore 16 da piazza XX settembre a Bologna e arriverà sotto la sede della Regione Emilia-Romagna. In questi giorni, a migliaia, stiamo spalando fango in tutta la regione. Il 17 giugno questo fango lo porteremo sotto le istituzioni che hanno responsabilità con quanto successo.
La crisi climatica non ci pone solo la sfida di salvare il Pianeta, ma quella di costruire giustizia sociale e climatica. Case belle e per tutte e tutti, redditi e servizi sanitari di qualità, nuove forme di welfare, mobilità collettiva e gratuita nelle città e nelle aree rurali e montane, cura delle aree interne e appenniniche e del sistema idrogeologico, difesa del suolo e della biodiversità, nuovi spazi pubblici e forme di mutualismo cooperativo per affrontare le conseguenze del riscaldamento globale, devono essere le bussole intorno al quale ricostruire dopo la catastrofe. Che il 17 giugno sia anche un grande momento di convergenza! La sfida che lanciamo è quella di andare con 10mila stivali sotto la Regione!
Spaliamo il fango con solidarietà e rabbia, perché sappiamo che non è stato un caso. Spaliamo, ma non siamo angeli mansueti come ci vogliono dipingere! Continueremo a farlo finché sarà necessario, ma siamo pronte e pronti a portare quel fango a chi vuole far finta di niente, a chi vuole decidere sulle nostre teste. Perché dobbiamo fermarli, o le cose andranno sempre peggio. Dobbiamo cambiare i rapporti di forza in questa società. Dobbiamo costruire un nuovo territorio e un nuovo futuro possibile.
Sabato 17 giugno, marcia popolare verso la sede della Regione Emilia Romagna!
Dichiarazione finale dell'Assemblea popolare di Piazza del Nettuno, Bologna 27 maggio 2023
Una panoramica dell'assemblea popolare promossa dalla Piattaforma di intervento sociale Plat e dalla Colonna Solidale Autogestita ... (27 maggio 2023) |
Tra gli interventi di apertura dell'Assemblea popolare in piazza del Nettuno, quello del Professore di Pianificazione e Progettazione urbanistica al Politecnico di Milano (27 maggio) |
Non solo a Ravenna non ha funzionato la legge regionale sul consumo di suolo di Paolo Pileri (Altreconomia, 25 maggio)
I fatti della Romagna ci stanno insegnando a cambiare atteggiamento verso il governo del territorio? Hanno convinto tutti a fermare il consumo di suolo subito e a occuparsi solo di manutenzione del territorio, abbandonando per sempre opere folli come il ponte sullo Stretto che sarà un bagno di sangue e un debito enorme per sempre? Governatori e sindaci hanno preso d’assalto i telefoni per fermare nuove impermeabilizzazioni avendo capito che il consumo di suolo moltiplica gli impatti negativi delle tempeste tropicali alle quali l’Italia deve abituarsi?
Non mi pare proprio, se non poche eccezioni. Anzi l’ipocrisia ha aumentato il suo bacino d’utenza.
Proviamo a capirlo guardando che cosa bolle nella pentola urbanistica dall’altro capo della via Emilia, in provincia di Piacenza, diventata da una ventina d’anni a questa parte una vera e propria piattaforma di cemento per la logistica, insieme alle confinanti aree lombarde e piemontesi.
A Piacenza hanno da poco concluso un nuovo polo logistico dalle dimensioni faraoniche: Le Mose, tre milioni di metri quadrati di ex aree libere che ora sono asfalto e cemento. A Monticelli d’Ongina, Comune in riva al Po nel bel mezzo del Mab Unesco Po Grande (programma scientifico intergovernativo avviato nel 1971 per promuovere su base scientifica un rapporto equilibrato tra uomo e ambiente attraverso la tutela della biodiversità e le buone pratiche dello sviluppo sostenibile), un accordo territoriale fuori scala ha in programma di scaricare a terra quasi quattro milioni di metri quadrati di cemento, dei quali un terzo è già stato realizzato, e le autorità fluviali stanno a guardare.
Sempre a Caorso hanno da poco avviato un polo di 146mila metri quadrati in località la Rotta dove, nonostante il ritrovamento di un’antica villa romana, si va avanti ugualmente. A Fiorenzuola ulteriori 240mila metri quadrati di aree, totalmente agricole e al 100% permeabili nel loro stato di fatto, sono sul tavolo della conferenza di servizio e pronte per essere approvate (area Careco).
Poi, nonostante l’incubo dell’alluvione, c’è chi continua a sognare altro cemento, altri consumi di suolo. Sul sito Invest in Piacenza, progetto di Confindustria Piacenza, si caldeggia la realizzazione del cosiddetto “bollone” ovvero un’area per 1,5 milioni di metri quadrati di cemento per un altro polo logistico (PPST3 Borghetto Roncaglia), località Croce Grossa. Sul sito si dice chiaramente e senza alcuna remora che si tratta di un “greenfield” ovvero di un suolo libero e permeabile. E si tranquillizza l’eventuale investitore dicendogli che la municipalità è pronta ad attivare il piano urbanistico in caso di richiesta per un insediamento “ad alto valore aggiunto”, espressione che non dice nulla e che comunque se ne frega del valore aggiunto da sempre offerto da un suolo libero.
Ciliegina sulla torta, in coda al sito Invest in Piacenza, vengono ringraziate la Provincia di Piacenza e ART-ER, una società consortile al 65% proprietà della Regione Emilia-Romagna, per il supporto alla promozione del cemento logistico. Dove sia la coerenza tra questa sponsorizzazione del cemento impermeabile nel piacentino e il fatto che ART-ER sia al tempo stesso promotrice della raccolta fondi per le popolazioni alluvionate della Romagna, non è dato di sapere.
Strabismo diabolico? Disgiunzione mentale? Ignoranza ecologica? Spericolatezza urbanistica? La logistica rappresenta al tempo stesso il più vorace consumatore di suolo e il più rapido impermeabilizzatore insieme alle strade ma anche il più appetibile tra i business immobiliari. E tutto questo probabilmente supera ogni pudore ecologico, ogni remora, ogni scrupolo e ha completamente ipnotizzato gli amministratori locali e i politici che si sono trasformati a loro volta in promotori immobiliari anziché in caparbi difensori del suolo e del paesaggio di tutti. Prova ne è il fatto che non dobbiamo ringraziare la politica emiliano-romagnola dell’unico polo logistico che finora è stato bloccato nel piacentino, perché a fermare i 150mila metri quadrati di cemento di Gossolengo sono stati cittadini, i comitati e le piccole associazioni ambientaliste. Solo loro dovremo ringraziare alla prossima alluvione se ci saranno meno danni.
E come se non bastasse, di tutte le recenti e future aree logistiche piacentine, solo Le Mose è collegata alla rete ferroviaria, mentre le altre hanno bisogno di strade, autostrade, rotonde, piazzole di sosta, aree di servizio e tutto quanto fa da corredo alla movimentazione delle merci via gomma. E quindi altro cemento, altra impermeabilizzazione in arrivo.
A proposito di impermeabilizzazione e di consumi di suolo in aree alluvionali, di cui la Regione Emilia-Romagna è campionessa indiscussa in Italia, anche queste aree logistiche hanno ridotto e andranno a ridurre la capacità di risposta idrologica e idraulica del territorio con conseguente innalzamento del danno atteso a popolazione e abitazioni.
I 24 ettari dell’area Careco a Fiorenzuola, per fare un esempio, saranno impermeabilizzati almeno per l’83%. Questa è tra le aree sensibili alle inondazioni legate al torrente Arda e quindi si trova in una zona completamente inondabile. Ciononostante non vi è opposizione da parte degli enti ma solo tenui indicazioni mitigative che si riducono alla realizzazione di qualche arginello o qualche scolo per mettere in salvo i capannoni che verranno realizzati. Ma il territorio nella sua globalità si salverà? Ne avrà beneficio? Se si azzera la permeabilità in 20 ettari, fino a 80 milioni di litri d’acqua potrebbero non essere più trattenuti da quei suoli e andare in giro chissà dove.
Ora si capisce che quello che ho appena raccontato è uno scenario di guerra al suolo e alla natura dove gli unici a opporsi sono veri e propri partigiani ecologici interpretati da circoli locali di alcune associazioni ambientaliste, come Legambiente e Italia Nostra, così come da piccoli comitati di cittadini in difesa di ambiente e salute, seguendo l’approccio One Health, sorti dalla sera alla mattina e animati da veri e propri alfieri ecologici (come Giuseppe Castelnuovo a Piacenza, ma non solo lui).
Dall’altra parte forze economiche e una politica strabica che si sbellica a insultare e a offendere chi si prende davvero cura del territorio e da anni chiede di fermare il consumo di suolo. Se solo minimamente li avessero ascoltati, oggi avremmo evitato tantissimi danni. Ed è vergognoso che siano così poche le voci politiche e intellettuali che, in queste giornate di lutto ecologico, difendono i comitati e i giovani che si infangano pur di portare all’attenzione di tutti il disastro ambientale messo a punto dalle attuali e passate generazioni. Preferiscono il silenzio borghese, l’immobilismo di comodo, il tatticismo camaleontico che oggi chiamano “fairness” e che ha come unico obiettivo di tenere chiusa la bocca a chi pensa con la propria testa.
Vandali in casa, direbbe Antonio Cederna. E a proposito del grande e insuperabile Antonio, concludiamo con una sua frase attualissima, tratta proprio da “Vandali in casa”, in cui sprona tutti coloro che vogliono stare dalla parte dell’ambiente a farlo senza troppi problemi e senza cadere nella trappola di chi accusa le persone ragionevoli di avere un brutto carattere ed essere polemiche e poi loda le persone conformiste e pavide per essere dalla parte giusta: “Da tempo immemorabile i vandali trionfano anche per il silenzio delle persone ragionevoli, per l’assenza di una forte posizione moralistica: in attesa di tempi migliori, è bene servirsi dei mezzi a disposizione, quali la incessante campagna di stampa, la polemica acre e violenta, la protesta circostanziata e precisa, lo scandalo sonoro… in un paese di molli e conformisti, la rivolta morale può essere almeno un elemento di varietà”.
Paolo Pileri, Altreconomia, 25 maggio 2023
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Sarò pessimista ma non vedo chi può assumersi oggi la responsabilità di interrompere il malgoverno del territorio. E non mi riferisco tanto a sindaci, governatori, ministri o eletti in parlamento. Penso piuttosto a organizzazioni politiche, sindacali, associative in grado di esprimere una autonomia e una forza capace di sfidare i potentissimi interessi della speculazione immobiliare, del fossile, della rapina dei beni comuni.
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