mercoledì 29 marzo 2017

Allarme clima

“La mia azione oggi è un altro passo verso la creazione di posti di lavoro. Basta con chi rubava la nostra prosperità. Oggi comincia una nuova rivoluzione energetica”. Con queste parole oggi Donald Trump ha cancellato di fatto l’adesione americana agli accordi di Parigi sul cambiamento climatico. Senza mai nominarli, li ha svuotati nella loro applicazione.
Un colpo durissimo da parte della potenza economica leader (nonché seconda nazione per emissioni carboniche dopo la Cina). Finisce spazzata via l’eredità ambientalista di Barack Obama. Anche se i suoi seguaci – dagli Stati a governo locale democratico come la California, alle grandi organizzazioni ambientaliste come il Sierra Club – già preparano una guerriglia di resistenza a base di ricorsi presso tutte le sedi di giustizia.
Trump ha voluto distruggere l’ambientalismo del suo predecessore in una cerimonia spettacolare, a cui ha invitato una delegazione di minatori del carbone: “Voglio ringraziarvi perché avete attraversato tempi duri. Ma da oggi creiamo nuovi posti di lavoro grazie alle energie fossili. L’America ricomincia ad essere vincente, con gas e petrolio”. Lo strumento è un decreto presidenziale intitolato Energy Independence Order. Pur di raggiungere l’autosufficienza energetica la nuova Amministrazione toglie ogni restrizione alle emissioni di CO2, vuole dare libertà di trivellare ovunque. “E’ finita l’intrusione del governo – proclama Trump – perché quelle regolamentazioni uccidevano il lavoro. Celebriamo una nuova èra per l’energia americana”.
A differenza di quanto è accaduto finora per l’immigrazione, qui siamo ben oltre gli effetti-annuncio. L’ambiente è un terreno sul quale buona parte delle riforme di Obama avvennero proprio usando i poteri regolamentari dell’esecutivo – anche attraverso l’authority federale che è l’Environmental Protection Agency (Epa). Obama usò spesso lo strumento dell’ordine esecutivo perché durante sei dei suoi otto anni di presidenza la destra comandava al Congresso e non gli avrebbe approvato nulla. Quindi oggi è più facile per Trump cancellare con un tratto di penna i decreti presidenziali del suo predecessore.
L’elenco delle distruzioni è lungo, sostanzioso. Si comincia con il Clean Power Plan che imponeva l’abbattimento delle emissioni carboniche da parte delle centrali elettriche: revocato. Basterebbe questo per dire addio agli accordi di Parigi: la riduzione delle emissioni di CO2 da parte delle centrali era cruciale perché gli Stati Uniti rispettassero gli impegni presi con la comunità internazionale. Trump abolisce anche le restrizioni che Obama impose sulle trivellazioni costiere, sui permessi di sfruttare miniere nelle terre di proprietà pubblica (federale), sulle emissioni di metano dagli oleodotti. Infine la deregulation cancella quelle “valutazioni d’impatto ambientale” che potevano rallentare e ostacolare le grandi opere infrastrutturali. Si torna indietro di otto anni e forse anche di più. Per certi aspetti il balzo all’indietro riporta agli anni Settanta, perché fu un presidente repubblicano, Richard Nixon, a creare quell’Environmental Protection Agency di cui Trump sta smantellando i poteri. Il presidente ha scelto come capo dell’Epa Scott Pruit che si acquistò la benemerenza delle compagnie petrolifere quando era ministro della Giustizia dell’Oklahoma e contrastava sistematicamente le riforme di Obama.
Trump ha scelto l’ambiente per tentare un rilancio della propria immagine dopo l’umiliante disfatta di venerdì sulla contro-riforma sanitaria. E’ su un terreno più sicuro, stavolta. Da un lato la destra repubblicana sposa le tesi negazioniste – rifiuta le schiaccianti prove scientifiche sul ruolo dell’inquinamento carbonico nel cambiamento climatico – fin dai tempi di George W. Bush, altro presidente allineato con la lobby carbo-petrolifera. D’altro lato Trump premia una categoria operaia a cui deve voti decisivi per la sua elezione: i minatori, così come i metalmeccanici dell’auto,  sono sempre sentiti penalizzati dalla svolta verde del partito democratico. Mantenendo le sue promesse in questo campo Trump si ri-accredita come l’uomo giusto per i petrolieri e per gli operai. Rispolvera i temi del nazionalismo economico che gli sono cari: “Torniamo a vincere”. L’autosufficienza energetica è un obiettivo popolare. Negli ultimi anni in realtà la produzione domestica di energia era già aumentata in modo notevole. In parte grazie alle fonti rinnovabili, sostenute da Obama. Ma un’altra ragione è quella rivoluzione tecnologica (fracking e trivellazioni orizzontali) che hanno reso competitive riserve come lo shale gas. Al punto che l’America ha superato la Russia nell’estrazione di gas, e potrebbe arrivare a superare l’Arabia saudita nel petrolio. Da anni ormai gli Stati Uniti non importano più una goccia di petrolio dal Golfo Persico, le loro importazioni sono prevalentemente dal Canada e dal Messico. Hanno perfino ricominciato ad esportare.
Salvo che la caduta delle quotazioni del greggio ha reso meno redditizio lo sfruttamento di quelle risorse fossili che Trump vuole rilanciare. A contrastare la contro-rivoluzione carbonica di Trump oggi non ci sono solo gli ambientalisti; c’è anche una dinamica di mercato che rende il carbone troppo caro, e il petrolio meno redditizio di una volta. Non a caso l’85% degli Stati Usa stavano applicando senza troppe resistenze gli obiettivi fissati da Obama. Ora quegli obiettivi vanno in fumo, letteralmente. E Trump regala alla Cina un ruolo politico inatteso, quello della maggiore potenza economica rimasta fedele agli accordi di Parigi.

Federico Rampini, la Repubblica, mercoledì 29 marzo

4 commenti:

  1. Trump si è inserito in una crisi di sistema. Ha banalizzato soluzioni. Ha negato problemi. Ha rilanciato uno sviluppo non sopportabile in un mondo unico.
    Avanti così andremo tutti a sbattere.
    Titti

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    1. Si. Retrocedere dagli impegni internazionali assunti dagli Stati Uniti per salvare il Pianeta da uno sviluppo insostenibile è un fatto grave, che merita risposte adeguate da parte di Stati, Governi, Associazioni e cittadini.
      Si aggiungono le annunciate misure protezionistiche. I muri. Le minaccia di interventi militari.
      Nessuna sottovalutazione.
      L'Italia e l'Europa debbono intervenire.
      Gianni

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  2. Ma gli impegni presi da un presidente di stato possono essere così facilmente cancellati?
    s.

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    1. Temo di si. In presenza di impegni politici. Di documenti sottoscritti e di volontà manifestate ma ancora prive di Trattati cogenti e vincolanti.
      Sono i limiti più volte denunciati.
      Gianni

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