giovedì 14 maggio 2020

Sbilanciamoci (5) Per i servizi pubblici universali

Bologna. La Casa di Riposo Sant'Anna e Santa Caterina, focolaio COVID-19

















Il welfare state è una componente essenziale del “modello sociale” europeo costruito nel dopoguerra: sanità, scuola, università, previdenza, assistenza e altre attività essenziali sono servizi forniti in misura prevalente dall’intervento pubblico nella forma di servizi pubblici universali, pensati per soddisfare i bisogni e garantire i diritti dei cittadini.
Negli ultimi decenni il welfare state è stato molto ridimensionato: le privatizzazioni e i tagli di spesa hanno limitato universalità, efficacia e qualità dei servizi. In molti casi i diritti sociali non sono più stati garantiti, alcune attività del welfare sono tornate a essere merci vendute sul mercato.
Le attività di imprese private si sono moltiplicate, a partire dagli ambiti più profittevoli, come le pensioni, la sanità e le università private. Varie ondate di “contro-riforme” hanno imposto alle agenzie pubbliche di comportarsi sempre più come imprese private – nella previdenza fondata sul sistema contributivo, nelle “Aziende sanitarie locali”, nella gestione di scuola e università. Finanziamenti ridotti, blocco del turnover del personale, pressioni per “far pagare” gli utenti hanno reso molti servizi di welfare più simili alla produzione di merci vendute sul mercato a “clienti” in grado di pagare.

Il welfare non è un “costo” per il sistema economico privato, è un sistema parallelo che produce beni e servizi pubblici e assicura la riproduzione sociale in base a diritti e a bisogni, anziché alla capacità di spesa. L’economia stessa, con le sue rapide trasformazioni, richiede processi di formazione continua delle persone, una rete di protezione, assistenza e previdenza che assicuri a tutti una tutela che individui o categorie di lavoratori da soli non possono più garantirsi. È il welfare che rende possibile la qualità e competitività dell’economia e produce la qualità sociale e ambientale che il Prodotto Interno Lordo (Pil) – fondato sul valore delle merci – non è in grado di misurare.

Le lezioni della pandemia sono che il sistema di welfare pubblico universale – per quanto indebolito negli anni – ha saputo svolgere un ruolo essenziale nella tenuta del paese. Occorre ora riconoscerne il ruolo essenziale e rifinanziare in modo adeguato tutta l’azione pubblica nella sanità, scuola, università, ricerca, previdenza, assistenza, ambiente. Le infrastrutture sociali del paese devono essere largamente ricostruite e rinnovate, dopo decenni di tagli negli investimenti pubblici. Gli spazi per i privati e il mercato in questi campi vanno fortemente ridimensionati. Alcuni ambiti – gli asili, l’assistenza all’infanzia e agli anziani, i servizi per disabili, le residenze per anziani – vanno fortemente sviluppati recuperando decenni di ritardo dei servizi pubblici del nostro paese. Va abbandonata la logica del “welfare familiare” che si è tradotta in un enorme carico di lavoro di cura per le donne e in un milione di lavoratrici domestiche e familiari, in prevalenza migranti, le meno protette in questa crisi. Va abbandonata la logica del “welfare aziendale” che crea nuove disparità tra i lavoratori. Un obiettivo ragionevole per l’Italia è di arrivare agli standard nord-europei in termini di spesa pubblica per abitante e di qualità in tutti i servizi pubblici.

In questo quadro non vanno dimenticati i diritti di cittadinanza e accoglienza per i migranti, tra i gruppi più esposti all’emergenza. Nell’immediato, occorre regolarizzare le migliaia di persone straniere che vivono stabilmente nel nostro paese ma sono prive di un titolo di soggiorno. Poi occorre abrogare i “decreti sicurezza”, ripristinare la protezione umanitaria, sostenere il sistema di accoglienza diffusa, riconoscere la cittadinanza ai giovani di seconda generazione e garantire a tutte le persone migranti presenti in Italia l’accesso ai servizi pubblici. L’epidemia ha lasciato ancora più sole le persone senza fissa dimora, i rom, i più bisognosi: i servizi sociali devono attrezzarsi a riconoscere e dare risposte adeguate alle situazioni di marginalità più grave.

Più in generale, la pandemia ha mostrato i punti più deboli del welfare italiano: l’inadeguata copertura universale, l’insufficiente tutela del reddito delle persone più povere e marginali, l’assenza di servizi sociali, tutti ambiti su cui occorrono cambiamenti profondi.

Il sistema di welfare può essere il motore di uno sviluppo ad alta qualità sociale e ambientalmente sostenibile, con un forte aumento dell’occupazione regolare nel settore pubblico e una riqualificazione profonda del mondo delle cooperative sociali. Se consideriamo l’insieme delle attività che ruotano intorno al welfare troviamo la produzione di conoscenza, la ricerca, la cultura; l’uso di tecnologie digitali nella didattica, comunicazione, organizzazione dei servizi; la produzione di macchinari e impianti utilizzati nella sanità e nell’assistenza; le grandi risorse finanziarie che vanno alla previdenza. Si tratta di pensare lo sviluppo del welfare come un sistema di attività avanzate, ad alta intensità di conoscenza e di lavoro con medie e alte competenze, un sistema verso il quale indirizzare programmi di ricerca “mission-oriented” e un piano per la ricostruzione delle infrastrutture sociali, facendone un motore della qualità dello sviluppo del paese.

La scuola, la formazione, l’università, la cultura, il patrimonio artistico e scientifico hanno un ruolo centrale perché sono gli strumenti stessi che possono portarci verso una più alta qualità sociale. Rilanciare la scuola pubblica come luogo di apprendimento, partecipazione e cultura civica, rilanciare la spesa per queste attività, rimotivare il personale, ridurre la dispersione scolastica, calibrare le attività di formazione, finanziare il diritto allo studio, tornare a far crescere il numero di studenti universitari e laureati sono misure essenziali. Inoltre, con la pandemia è tornata evidente la natura essenziale di un sistema dell’informazione che sia capace di un approccio documentato, critico e pluralista.

Quest’impegno per il welfare pubblico si deve tradurre in obiettivi precisi sia della spesa, sia delle prestazioni fornite. L’insieme della spesa per il welfare italiano in rapporto al Pil dovrebbe raggiungere entro il 2025 il livello dei paesi del nord Europa. Per le prestazioni, è necessario il rafforzamento dei livelli essenziali di assistenza in ambito sanitario e l’adozione dei livelli essenziali di assistenza negli altri ambiti, a partire dai servizi sociali (asili nido, non autosufficienza, edilizia pubblica, eccetera). Occorre considerare le medie nazionali esistenti e potenziare le capacità delle regioni più arretrate per favorire una rapida convergenza in tutto il paese.

Dati i limiti delle risorse pubbliche, l’espansione del welfare italiano deve andare in parallelo a un ridimensionamento di altri ambiti, in particolare la spesa militare, che deve essere portata sotto la soglia dell’1% del Pil, riconvertendo l’industria bellica e liberando così risorse per le attività sociali e sanitarie essenziali.

(5, continua)


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per le persone della terza e della quarta età e dei non autosufficienti. Occorre ripensare i Servizi sociali e la loro sicurezza!

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