mercoledì 11 settembre 2024

Fatti nostri (2)

"Super Mario" ed Ursula Von Der Leyen presentano a Bruxelles il Piano Draghi ...





 





Alex Zanotelli denuncia "l'indifferenza del mondo sulla guerra in Sudan" e in tanti altri paesi dell'Africa, nonostante l'appoggio di potenti Stati e regimi alle fazioni in lotta. "Anche l'Italia del cosiddetto Piano Mattei è coinvolta direttamente" ma politici, imprenditori, manager, giornalisti preferiscono concentrare l'attenzione su Mario Draghi e sul suo Rapporto sul Futuro della competitività commissionato da Ursula Von Der Leyen ...

L'indifferenza del mondo sulla guerra in Sudan

È da anni che continuo a martellare sull’indifferenza dei media italiani ed europei sulla drammatica situazione in Africa. Sono profondamente indignato dalla totale indifferenza dell’opinione pubblica italiana ed europea per le spaventose guerre che dilaniano il continente africano, soprattutto l’orribile guerra in Sudan, nella Repubblica democratica del Congo. Senza dimenticare tutti gli altri conflitti in atto oggi in Africa: Centrafrica, Sahara occidentale, Sud Sudan, Stati del Sahel per la Jihad islamica, Libia, Eritrea, Etiopia, Somalia, Mozambico. Mi meraviglia molto il silenzio del governo italiano sulle sue ex- colonie: Libia, Etiopia, Eritrea e Somalia, diventate da anni orribili teatri di guerra. Il governo Meloni ha lanciato il “Piano Mattei” per l’Africa, dimenticandosi che il suo primo dovere è quello delle “riparazioni” verso queste sue ex-colonie per i massacri compiuti in quei paesi del regime fascista. A quando almeno una domanda di perdono per i crimini commessi? E il “Piano Mattei” non dovrebbe essere rivolto soprattutto a loro?

Ma voglio soffermarmi sulla guerra più orribile oggi in atto in Africa, quella in Sudan: guerra civile fra il suo presidente Abdel-Fatah Al Burhan che comanda l’esercito sudanese (FAS) e il generale Hamdan Dagalo , noto come Hemeti ,che comanda le Rapid Support Forces (Rsf). Una guerra orrenda che da un anno sta mettendo a ferro e fuoco tutto il paese, causando già 150mila morti e oltre 10 milioni di rifugiati, di cui 2 milioni sfollati interni e 8 milioni di rifugiati in Egitto, Libia, Sud Sudan, Ciad e Repubblica centrafricana.

Ma è soprattutto la regione del Darfur ad essere teatro di massacri contro le popolazioni non-arabe dei Fur, Zagawa, Massalit. Queste stesse popolazioni avevano già subito un’altra pulizia etnica negli anni 2000 per mano dei Janjaweed, un gruppo armato che è poi confluito nelle Rapid Support Forces di Hemeti ,gia accusate dalla Corte penale internazionale per crimini di guerra. Ora le truppe di Hemeti hanno circondato la città di El- Fasher, capitale del Darfur, dove si sono rifugiati almeno 600mila sfollati. La situazione in Darfur si sta aggravando di giorno in giorno come nel resto del paese. Secondo l’Onu, cinque milioni di persone soffrono la fame acuta e 25 milioni hanno difficoltà ad aver accesso al cibo. Sempre secondo l’Onu, questa potrebbe diventare «la più grande carestia del mondo». Si prospettano milioni di morti per fame e malattia. Falliti tutti gli sforzi impiegati per far cessare il conflitto come i tentativi di pace tra i due contendenti, più volte messi in atto dall’IGAD (Blocco di Stati dell’Africa Orientale).

E questo perché sia Hemeti come Burhan sono appoggiati a livello internazionale da molte nazioni perché ambiscono alle ricchezze del Sudan, oro, petrolio, cereali…Gli Emirati arabi sostengono Hemeti (uno degli uomini più ricchi del paese per il traffico d’oro) con l’invio, secondo l’Onu, di droni modificati per sganciare bombe termobariche. Mentre Iran, Turchia, Egitto e Qatar sostengono i governativi di Burhan. Ma non possiamo dimenticare che anche l’Italia è coinvolta direttamente in questo conflitto. Secondo Africa Express del giornalista M. Alberizzi, il 12 gennaio 2022 c’è stato un vertice tra Hemeti e una delegazione ad altissimo livello (Dipartimento Informazione per la sicurezza del Consiglio), guidata dal generale Caravelli (Aise) per addestrare i guerriglieri janjaweed per “bloccare i migranti”. E sempre nel 2022, agli inizi d’agosto una decina di militari italiani è giunta a Karthoum a bordo di un aereo privato sempre per addestrare i janjaweed. Senza dimenticare che il governo italiano il 3 agosto del 2016 aveva firmato con il governo del Sudan il Memorandum di Khartoum per bloccare i migranti versando tanti soldi.

Quand’è che i media italiani ed europei focalizzeranno la propria attenzione su questa guerra spaventosa pagata da milioni di innocenti? Dobbiamo chiedere l’invio di una forza indipendente ed imparziale e l’embargo totale delle armi al Sudan. Dobbiamo muoverci in tutta fretta per evitare un’altra catastrofe.

Alex Zanotelli, il manifesto, 11 settembre


Momento Draghi: l'Europa si salva con le armi e i capitali

Armi, microchip, intelligenza artificiale e «energia green» per salvare i diritti sociali senza però rimediare ai danni di 40 anni di neoliberalismo. Avvolto in un’aura sacrale Mario Draghi ieri è tornato a indossare i panni del profeta.

Presentando il rapporto sul «Futuro della competitività» chiesto dalla presidente della Commissione Europea Ursula Von Der Leyen ieri Draghi ha detto che l’Europa «corre un rischio esistenziale». È il vaso di coccio nella guerra industriale e commerciale tra Stati Uniti e Cina. Per evitare di mettere fine al «modello sociale europeo», o meglio di ciò che ne resta sotto altre spoglie, l’Unione europea deve ripensarsi radicalmente e varare uno strumento finanziario di «debito comune» da 800 miliardi di euro all’anno. Insomma, un Next Generation Eu (chiamato in Italia «Piano nazionale di ripresa e resilienza – Pnrr») moltiplicato per otto. Ogni anno.

Una montagna di soldi che dovrebbero finanziare principalmente l’industria dei missili e dei carri armati, della tecnologia digitale, delle infrastrutture. L’obiettivo è partecipare a uno speciale campionato, quello della guerra dei capitali, in cui formare «campioni europei» che, forse in un giorno non precisabile, potranno competere con gli oligopoli statunitensi e i cinesi. La pace, i diritti, la politica si fanno con le armi in pugno.

Il progetto è stato ufficializzato due giorni prima dalla composizione della nuova Commissione Europea. A dire di Von Der Leyen, che ieri ha affiancato Draghi in uno show annunciato, l’ambizioso testo è già «sul tavolo del Consiglio» dove siedono i governi degli Stati membri. I commissari designati all’esecutivo europeo dovranno impegnarsi ad applicare le 170 proposte riassunte, in maniera legnosa, in 62 pagine. Anche se non porta benissimo, visti gli esiti che ha prodotto in Italia, il rapporto è stato ribattezzato «Agenda Draghi» dall’entusiasta Partito democratico in giù. Critici invece l’Alleanza Verdi Sinistra e Cinque Stelle.

Con un'Europa politicamente a pezzi, dilaniata dallo scontro tra il mercantilismo e il nazionalismo, è remota la possibilità di realizzare interamente il piano Marshall intestato a Draghi, più che doppio in termini di investimenti rispetto al Prodotto Interno Lordo: 5% annuo contro l’1-2% degli anni Quaranta del XX secolo). Del resto, tentativi non così ambiziosi, ma comunque significativi quanto quello di Draghi, sono stati già fatti nella storia dell’Unione Europea. Nel 2019 ci provò Jean-Claude Juncker. Passò quasi del tutto inosservato. Altra pasta d’uomo si direbbe. Poco aduso alle magie linguistiche, e all’autorevolezza, di Draghi. Ma le difficoltà restano, sono tante. Al punto che Draghi potrebbe mantenere il suo status di profeta inascoltato mentre l’Europa nei prossimi cinque anni andrà in tutt’altra direzione rispetto a quella da lui auspicata.L’EX PRESIDENTE DEL CONSIGLIO è un funambolo del realismo capitalista. Lui è pragmatico. Per questo non ha indicato una tabella di marcia, ha messo solo in fila raccomandazioni. È consapevole che può fare irritare i governi importanti. Ad esempio il ministro tedesco delle finanze Christian Lindner che non intende sentire parlare di debito comune europeo.

Von Der Leyen, nelle acque agitate che si intravvedono, potrebbe presto trovarsi in difficoltà. Starà a lei trovare i compromessi per realizzare la visione di Draghi. Ieri non ha voluto rovinare la magia del momento: «Saranno necessari fondi comuni per alcuni progetti europei comuni. Il compito è ora definire questo progetto – ha detto – Poi definiremo se li finanzieremo con nuovi contributi nazionali o con nuove risorse proprie».

Un altro punto politico rilevante del rapporto Draghi è la riforma del voto all’unanimità senza ricorrere a impegnative revisioni dei trattati europei. Ciò potrebbe portare a un’Europa delle «cooperazioni rafforzate». Draghi suggerisce di adottare un «nuovo quadro di coordinamento della competitività». Se l’Ue è bloccata dai veti incrociati, allora bisogna creare una «coalizione di volenterosi». L’ex banchiere si è reso conto di avere citato il tragico Bush figlio. E ha precisato: l’hanno fatto in un «altro contesto». La possibilità di creare una simile «coalizione» è da verificare nell’attuale congiuntura. Con Marine Le Pen che etero-dirige il governo macronista in Francia e con l’Afd che sta con il fiato sul collo del pallido Olaf Scholz. La creazione di un debito comune presuppone una maggiore concentrazione politica ed economica. Difficile come prospettiva.

Draghi ha dato una forma politica a un’altra trasformazione osservata negli anni della guerra russa in Ucraina e dell’allineamento dell’Ue alla Nato. La sua idea è di cambiare il paradigma della politica estera continentale in una «politica della sicurezza economica». In un mondo in cui la guerra si fa sia con le armi che con il protezionismo economico la politica estera deve coordinare quella industriale, la concorrenza e il commercio.

Lo scopo è raggiungere una «capacità industriale di difesa indipendente». Questo significa che invece di «produrre dodici diversi tipi di carri armati» bisogna produrne uno solo «come negli Stati Uniti». La raccomandazione di Draghi è modificare le norme sulla concorrenza. Ciò allude all’esenzione degli investimenti in armi dai calcoli del «patto di stabilità». Richiesta avanzata dal governo italiano nell’interesse delle industrie della guerra.

Il documento restituisce la cifra autoritaria e tecnocratica della politica. A tale proposito è interessante rileggere oggi una lettera inviata a Draghi e Von Der Leyen l’otto maggio scorso. È stato firmato da organizzazioni della «società civile» che hanno denunciato la «mancanza di trasparenza» e il «rischio di cattura da parte del big business». «La filosofia complessiva di Draghi – si legge – permetterà alla concentrazione del mercato di aumentare ulteriormente in Europa, danneggiando i consumatori, i lavoratori e le piccole imprese europee e minando di fatto la nostra competitività». «Porterà a una situazione in cui i grandi cosiddetti “Campioni d’Europa” vengono sovvenzionati in modo improduttivo con denaro pubblico, mentre importanti obiettivi sociali, economici e ambientali vengono sacrificati a vantaggio degli azionisti di queste imprese dominanti».

Su questa "filosofia" è stato costruito il Next Generation Eu e il Pnrr in Italia al quale si pensa più per il metodo di finanziamento che per il coinvolgimento delle cittadinanze, che non c’è stato. Se uno Stato sociale ci dev’essere, esso sarà la conseguenza di una «crescita» del mercato dei capitali e della capacità di produrre microchip, pale eoliche e cannoni.

Roberto Ceccarelli, il manifesto, 10 settembre


Il PD s'illumina per Supermario. Gelo di sinistra e M5S.

Il rapporto di Draghi sull’Ue dissotterra vecchie nostalgie in casa Pd. E mostra come la costruzione del programma della cosiddetta alternativa a Meloni sia ancora molto indietro. «Prepariamoci a governare», ha detto Schlein domenica chiudendo la festa dell’Unità a Reggio Emilia e indicando 5 titoli: sanità pubblica, istruzione e ricerca, lavoro e salari, politiche industriali e diritti sociali e civili. Titoli appunto, dietro cui ancora non si intravedono proposte concrete in grado di ribaltare l’attuale assetto della società della società italiana e le crescenti diseguaglianze.

Il ritorno in scena di Draghi riattizza vecchie passioni: l’agenda dell’ex presidente della Bce, al centro della rovinosa divisione del 2022 che consegnò l’Italia alla destra di Meloni, non è stata dimenticata dei dem: «Indica la via corretta per il futuro dell’Europa ed è una sana frustata sulle pigrizie degli Stati nazionali», dice Nicola Zingaretti. «Ora tutte le istituzioni governi, commissione, parlamento siano all’altezza della sfida. Noi, in parlamento europeo, faremo la nostra parte». Così anche Matteo Ricci: «Ci indica un percorso chiaro di riforme per rafforzare competitività e inclusione sociale, realizzare la transizione green e giungere a un’Europa democratica, più forte e unita, libera dai veti dei singoli stati e davvero capace di guardare al futuro».

«Il suo rapporto è una strigliata agli Stati membri perché non è più tempo di timidezza politica», dice Camilla Laureti, eurodeputata: «La sfida climatica può e deve essere una grande occasione anche di sviluppo, fondata sulla coesione sociale e sui diritti del lavoro». «Il suo è un messaggio fortissimo, serve uno sforzo più che doppio rispetto al piano Marshall, 800 miliardi di investimenti comuni all’anno», rilancia il responsabile economico Antonio Misiani. «Il Next Generation Eu non può essere una finestra che si chiude sotto la spinta delle destre nazionaliste. Deve essere il primo passo di un piano industriale europeo che serve anzitutto all’Italia».

Gli esponenti del PD trascurano l’importante parte del rapporto Draghi dedicata alla crescita delle spese militari, nonostante Schlein abbia detto a più ripresa che «l’Europa è nata come progetto di pace e non può diventare un’economia di guerra». Solitaria si leva la voce di Arturo Scotto, che loda l’idea di fare nuovo debito comune europeo per investimenti pubblici, ma avverte: «Non dobbiamo partecipare alla corsa al riarmo sulla scia della grandi potenze mondiali». «Il futuro del nostro continente non può essere costruito sulla guerra e sull’aumento delle spese militari», avvertono Bonelli e Fratoianni di AVS. Che ricordano come «l’attuale impalcatura europea è incompatibile con la necessità di maggiori investimenti per innovazione e transizione green e coesione sociale». «Serve una rottura con queste logiche, non il loro rafforzamento», insistono i leader di AVS.

«Noi siamo molto determinati nella costruzione di un fronte di alternativa», spiega Fratoianni al manifesto. «Ad oggi siamo lontani dalla scrittura di un programma, noi abbiamo idee chiare su guerra, lavoro, fisco, energia, e siamo pronti a metterle a disposizione di una discussione collettiva. Ma non sarà Draghi a scrivere il programma del centrosinistra, con la sua agenda abbiamo già dato nel 2022…».

«Sull’UE Draghi si ravvede in ritardo», attacca il vicepresidente del M5S Mario Turco. «Peccato che abbia nel recente passato ricoperto ruoli, prima alla Bce, poi in Italia, che avrebbero dovuto spingerlo a innescare quei cambiamenti che oggi sottolinea con tanta urgenza». Duro anche Pasquale Tridico, capodelegazione dei 5S a Bruxelles: «Da Draghi un lucido atto di accusa contro le politiche neoliberiste sulle quali poggia l’attuale impalcatura europea. Ma lui dov’era fino ad oggi? Per difendere i valori fondamentali europei – la prosperità, l’equità, la libertà, la pace e la democrazia – servono nuove ricette e nuove personalità in grado di portarle avanti senza compromessi al ribasso e con meno ipocrisie».

Calenda, ospite della festa Pd a Milano, ribadisce di non volersi «arruolare» nel campo largo: «Puoi convergere quando hai un’agenda di governo. Ho l’impressione che la politica italiana pensi che continuerà tutto come gli ultimi 30 anni, dove si può dire “stiamo insieme contro Tizio e Caio”, ma è molto più dura di così. Con Schlein ci sono differenze programmatiche molto pronunciate, dall’Ucraina alla transizione green che, così come è fatta, rischia di essere un disastro sociale». L’idea di una contromanovra delle opposizioni, fortemente voluta dai dem, per ora resta un miraggio.

Andrea Carugati, il manifesto, 10 settembre 


La lettura critica de il Fatto Quotidiano: "Draghi fa la Storia (ma solo sui giornali)". Occhiello: "Supermario. L'Unione boccia il Report, applaudissimo da Corriere & C: una rivoluzione" (11 settembre 2024)







"Draghi, il vero obiettivo: dal lavoro alla rendita" di Stefano Fassina e "Mario ri-salva l'Europa, ma che farà contro il vampiro USA?" di Alessandro Robecchi ... (il Fatto Quotidiano, 11 settembre 2024)
 









La prima pagina del Corriere della Sera titola "Il Piano Draghi, scossa all'Europa" e pubblica un editoriale di Lucrezia Reichlin: "Le scelte inevitabili", uno scritto con assenso e interrogativi ... (10 settembre 2024)






















La pagina interna del Corriere con la prosecuzione di analisi e commenti dalla prima e il corsivo del giorno: "la Francia resuscita Chirac (e De Gaulle)" di Massimo Nava ... (10 settembre 2024)
 



















Su il manifesto "Crisi europea, ricostruire dal basso la democrazia", un articolo di Luciana Castellina con considerazioni e proposte dopo la conferenza organizzata da Sbilanciamoci a Como, dall'altro ramo del lago rispetto al Forum di Cernobbio ... (10 settembre 2024)
Un confronto politico e culturale serrato e stimolante con la figlia Letizia Reichlin.


1 commento:

  1. Il primo passo per la sicurezza è la ricerca di soluzioni pacifiche alle controversie tra stati e comunità. Poi, la scelta di cooperare e dotarsi di politiche ed eserciti sovranazionali. Non di fondi comuni UE per potenziare forze armare dei singoli paesi.
    M.

    RispondiElimina