giovedì 19 dicembre 2013

Più bici, si può e si deve! Ma perché sui viali?

Bici è salute, ambiente, economia.
Ne parla con competenza l'amico Bibi Bellini, storico redattore di Radio Città del Capo, sull'ultimo numero di Consumatori, il mensile delle Coop di consumo (di seguito l'articolo integrale).
Bologna sconta un ritardo storico. Come l'Italia.
Nonostante le proposte e le iniziative che, negli anni, ciclisti quotidiani ed associazioni ambientaliste hanno messo in campo: strade riservate, percorsi ciclabile protetti a rete, posteggi custoditi e noleggio ...

Se si fosse tenuto conto per tempo nella progettazione urbanistica, nelle politiche amministrative e nei bilanci di Regione ed Enti Locali di queste richieste e si fosse avviata una conversione ecologica del sistema della mobilità, la tendenza attuale al "ritorno" alla bici (oggi anche in Italia si vendono più bici che auto) avrebbe avuto un successo ed uno sviluppo più ordinato, armonico e sicuro.
Invece, troppi sono ancora gli incidenti, spesso gravi e gravissimi, per chi usa le due ruote in ambito urbano.
Quasi sempre, bici, moto, auto, bus, furgoni, camion girano sulle stesse strade. Molte delle ancora poche piste ciclabili costruite (con parsimonia e lentamente) negli ultimi decenni finiscono in arterie di traffico impraticabili o su rotonde pericolose. I materiali con cui vengono realizzate sono spesso modesti. Le manutenzioni nulle o scarse (vedi post del 15 settembre scorso).
Non è un problema di risorse. Ma di scelte.
Riflettiamo. Da un lato, per aumentare i (chilo)metri di piste ciclabili, si tracciano strisce bianche su marciapiedi ad alta frequenza di pedoni e di incroci. Dall'altro si costruiscono importanti e costose infrastrutture per nuovi mezzi di mobilità collettiva che non saranno mai realizzati (Civis) o si progettano originali e costosi sistemi di trasporto che non costituiscono la soluzione migliore (il People Mover anziché un più semplice collegamento del Servizio Ferroviario Matropolitano tra Bologna Centrale e Aereoporto Marconi).
Ma non si tratta solo di riequilibrare i capitoli di spesa, che è sicuramente l'obiettivo prioritario per chi vuole un ambiente urbano migliore e meno inquinato.
Occorrerebbe anche rivedere le priorità di programmazione e di spesa all'interno dei vari capitoli.
Un esempio. Ora si destinano diverse centinaia di migliaia di euro (europei) per realizzare una pista ciclabile all'interno dei viali di circonvallazione tra le Porte San Felice, Sant'Isaia e Saragozza. Un'altra piccola striscia di verde verrà asfaltata, a ridosso di alberi già in sofferenza. E, quel che è peggio, i ciclisti pedaleranno respirando gli scarichi delle auto che percorreranno, più o meno incolonnate, le due direzioni di marcia dei viali Vicini e Pepoli e dovranno prestare attenzione a diversi attraversamenti (in corrispondenza di via Roncati, vicino a via Galletti ...).
Una scelta lungimirante per i bolognesi, per l'ambiente e per la sicurezza?
Diciamo che si può fare molto di più e di meglio!


L’ECONOMIA CHE GIRA SU DUE RUOTE

Si chiama bikenomics: è la dimostrazione che l’aumento delle persone che pedalano, oltre a far bene alla salute e combattere l’inquinamento, è un volano prezioso per il paese. Da due anni si vendono più bici che auto, poi c’è il turismo...
pubblicato da: REDAZIONE
Bicicletta.jpgQuando nel 1885 l’industriale inglese John Kemp Starley realizza la prima bicicletta moderna, sicuramente non immagina che negli stessi giorni due signori tedeschi, Gottlieb Daimler e Carl Benz stanno perfezionando il motore a scoppio e, di fatto, inventando la prima automobile.
Inizia così, in modo del tutto inconsapevole, la competizione tra bicicletta e automobile. Nel secolo scorso è stata l’auto a stravincere la sfida. Oggi, complice la crisi economica, questo modello di sviluppo che ha contribuito a ridisegnare le nostre città, a modificare le nostre abitudini e relazioni sociali inciampa, sui propri stessi limiti: la saturazione del mercato dell’automobile, l’aumento dei prezzi dei carburanti, l’incidentalità e la congestione stradale, gli impatti ambientali.
Si comincia a riflettere sulle conseguenze delle nostre azioni e sui “costi nascosti” del cosiddetto sviluppo economico e la bicicletta, riemersa dall’angolo buio in cui era stata sospinta, si riprende la platea dei media e la soddisfazione di superare l’auto nelle vendite. Accade in mezza Europa da diversi anni e negli ultimi due anni il sorpasso è avvenuto anche in Italia.
Ecco allora che la bicicletta, dopo essere stata ignorata, irrisa e sottovalutata oggi sembra puntare al bersaglio grosso e comincia a chiedere spazio non solo nelle città, ma anche in economia.
Al di là dell’Atlantico la chiamano bikenomics. È un concetto nuovo che mette assieme le parole Bike e Economics. In mezzo mondo ne parlano da almeno un paio d’anni, non solo attivisti della bicicletta, ma anche prestigiose università e organizzazioni internazionali. Obiettivo: calcolare gli effetti ma soprattutto il ritorno d’investimento della ciclabilità.
E in Italia? Per Giulietta Pagliaccio presidente della Federazione Italiana Amici della Bicicletta (Fiab) i segnali cominciano a vedersi anche qui. “Se rotocalchi di economia invitano Fiab a parlare di crisi dell’auto, se riviste di finanza come Valori mettono in copertina l’opportunità economica e culturale della bicicletta significa che il mondo sta cambiando velocemente e che la bicicletta avrà un ruolo da protagonista”.
Le fa eco Paolo Pinzuti di Bike-italia.it il magazine on line dedicato al ciclismo urbano e al cicloturismo: “La bikenomics l’abbiamo portata anche in Italia e con relatori di grande spessore, nel corso di Citytech a fine ottobre”. Pinzuti non ha dubbi. “La bicicletta è un’opportunità economica e culturale strategica per il nostro Paese, infatti ogni euro investito in ciclabilità produce un ritorno economico che si moltiplica per 70 volte. Lo dimostra un recente studio di ECF la Federazione dei ciclisti europei”.
I conti fatti da ECF sono impressionanti: il valore economico generato dall’uso della bicicletta nei paesi dell’EU-27 supera i 200 miliardi euro, una cifra analoga al PIL della Danimarca.
La voce più corposa è quella riconducibile ai risparmi in termini sanitari. Qui vi rientrano i costi dell’incidentalità stradale e quelli non meno preoccupanti dell’inquinamento atmosferico.
Altro dato diseconomico è quello della congestione stradale. Stando alle cifre riportate nel “Libro bianco sui trasporti” di Confcommercio redatto lo scorso anno, il nostro Paese spreca ogni anno a causa del traffico, risorse per 50 miliardi di euro: i costi di una manovra finanziaria importante. Soldi buttati per via di un primato scellerato: siamo primi in Europa se escludiamo il Lussemburgo, nel rapporto abitanti/numero di auto: 61 ogni 100 abitanti contro le 51 della Germania e una media europea di 47.
Udo Becker, docente di Ecologia dei trasporti all’Università di Dresda ha recentemente stimato che in Europa ogni automobile in circolazione ha un costo sociale di 1.600 euro. Basterebbe qualche politica disincentivante sulla seconda auto per dirottare risorse importanti in mobilità sostenibile che oltre a non avere sostanziali impatti ambientali, favorisce anche la salute e il benessere psico-fisico.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) si occupa da molto tempo del rapporto tra bicicletta e salute ma solo negli ultimi anni ha perfezionato la sua azione grazie a HEAT una sorta di calcolatore gratuito che misura l’aspettativa di riduzione della mortalità generale esprimendola in termini monetari (vedi il box  qui sotto).
“L’inattività fisica è un fattore di rischio primario per la salute in Europa, tanto da causare un milione di morti l’anno - ricorda Francesca Racioppi dell’OMS - e la bicicletta è uno strumento formidabile per favorire la mobilità attiva visto che consente, se utilizzata ogni giorno, di integrare l’attività fisica nella vita di tutti i giorni”.
Ma la bikenomics non misura solo i risparmi. Bicicletta vuol dire anche produzione di ricchezza.
“Il fatturato industriale del settore cicli in Italia è di circa un miliardo di euro. Conta circa 650 aziende, 12.000 persone impiegate, ma soprattutto una tradizione che ci vede primeggiare in Europa, assieme alla Germania, sia come produttori che come assemblatori di bici” dice il direttore del settore ciclo di Confindustria Ancma, Piero Nigrelli.
Quella italiana è un’industria di altissimo livello con una scuola telaistica che il mondo ci invidia: Bianchi, Colnago, Cinelli, Olmo, Bottecchia e Pinarello sono solo alcuni dei nomi più famosi e blasonati.
E anche con gli accessori il primato italiano in Europa è altrettanto evidente. Qui i nomi non sono certo da meno: le Selle Royal, le ruote Ambrosio, i raggi di Alpina e i cambi Campagnolo.
Il nostro problema è che vendiamo solo 2,8 bici ogni 100 abitanti contro le 8 della Germania e le 11 di Olanda e Danimarca e con un prezzo medio di 260 euro a bicicletta che è meno della metà di quello dei Paesi ciclisticamente più evoluti del nord Europa. Ma qualcosa sta cambiando.
“Mai come oggi dice Nigrelli la bicicletta è ovunque sui media e c’è bisogno di vendere non più all’esperto ma a colui che cerca consigli".
C’è poi il cicloturismo, la vera miniera d’oro dell’Italia. Siamo il Paese dei tanti piccoli borghi e delle città d’arte colme di bellezze e punti di interesse culturali, naturali, gastronomici. Dovremmo mettere a sistema questo vantaggio e invece osserviamo con riverenza il giro d’affari dei tedeschi che si aggira attorno ai 12 miliardi di euro all’anno.
A far meglio in Italia è il Trentino Alto Adige, ovvero quella parte del nostro Paese che più ha investito in infrastrutture e che oggi si gode i meritati dividendi. Stando a uno studio della provincia di Trento sarebbero 80 milioni di euro l’anno le ricadute da cicloturismo nella regione.
“Se solo ci fosse un po’ di lungimiranza politica, incalza Giulietta Pagliaccio, si potrebbero raggiungere analoghi traguardi anche nel resto d’Italia: basterebbe realizzare, una rete di piste ciclabili in grado di collegare le maggiori città del Belpaese. La rete sulla carta c’è, si chiama Bicitalia e Fiab ci lavora da anni in coordinamento con Eurovelo, la rete sovranazionale di percorsi ciclabili.”
Ma il cicloturismo non è solo incoming di turisti stranieri. È anche servizi in grado di garantire fatturati annui in crescita del 20%. È il caso di Girolibero tour operator specializzato in viaggi in bicicletta che in 10 anni è passato da 2 a 42 dipendenti e che nel 2012 ha organizzato viaggi in bicicletta per 15.000 persone.
Ripartire dalla bicicletta significa mettere in movimento l’economia dei territori. Ad esempio realizzando infrastrutture ciclabili che sono a più alta intensità di manodopera delle cosiddette grandi opere. Un recente studio della University of Massachusetts è giunto infatti alla conclusione che progetti di infrastrutture ciclabili e pedonali creano il 46% di posti di lavoro in più  rispetto a progetti realizzati esclusivamente per le auto.
Altro esempio di green jobs sono gli Urban Bike Messengers, i corrieri in bicicletta che si stanno diffondendo da qualche anno anche nel nostro Paese. Roberto Peia presidente di Ubm Milano è un fiume in piena: “Siamo partiti in 3 e adesso ci sono 25 ragazzi che pedalano per UBM, abbiamo oltre 300 clienti: sono negozianti, notai commercialisti, produttori del biologico ma anche grandi imprese con le quali abbiamo concluso di recente un accordo per garantire  nella Zona a traffico limitato di Milano la logistica dell’ultimo miglio, che effettuiamo con le nostre cargo bike”.
“Presto potremo dire anche in Italia che la bicicletta è l’anima del commercio” dice Gianni Stefanati bicycle manager del comune di Ferrara una delle sei città europee impegnate con CycleLogistics il progetto Europeo nato per incentivare la spesa in bicicletta ma anche per convincere i commercianti, intimoriti dalle limitazioni al traffico automobilistico, che la bici è un ottimo affare anche per loro.
Lo prova una recente ricerca svolta da Kelly Clifton dell’Università di Portland in Oregon. Lo studio ha stabilito infatti che chi si reca negli esercizi commerciali in bici spende, al mese, il 25% in più rispetto a chi ci va in auto.
La spiegazione? I ciclisti proprio perché fanno meno acquisti in ogni singola visita tornano più spesso al negozio e in questo modo, hanno più occasioni di fare acquisti d’impulso o non programmati finendo alla fine del mese per spendere di più.
- See more at: http://www.consumatori.e-coop.it/index.php/articoli-mese-corrente/leconomia-che-gira-su-due-ruote/#sthash.3VFMhkOH.dpuf

5 commenti:

  1. E' bello che Consumatori e Coop dedichino una così forte attenzione alla bici e ad una cultura alternativa. Complimenti!
    Su Bologna penso anche io che prima di piste ciclabili sui viali di circonvallazione ci siano molte altre priorità.
    Ma in materia di trasporti non è la prima scivolata del comune di Bologna.
    E ora anche il sindaco Merola propone di privatizzare l'Azienda Regionale di Trasporti pubblici. No. Non ci siamo.
    Questo sindaco e questi amministratori non rappresentano più la storia nobile di Bologna!
    Anna

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  2. Bologna in bici è un pericolo costante, un respiro continuo di veleni, un furto dietro l'angolo.
    Ci vuole grande coraggio, altruismo, disprezzo per la propria vita.
    Sui viali?
    Propongo l'inaugurazione con Sindaco, Assessori, Consiglieri e Tecnici in sella per un giorno intero. Chi ne esce vivo è pronto per le prossime primarie.
    Amici Col-nago

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  3. Se si vuole usare i viali per dare spazio alle bici la soluzione potrebbe essere altra. Una sola direzione di marcia. Per tre delle quattro corsie auto, bus, moto, ecc. Una corsia riservata alle bici, nelle due direzioni.
    Carlo

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  4. Bici è bello, ma sui viali è orrendo.
    A Porta San Donato vi è anche un monumento monito.
    Evitiamo di doverne erigere altri.
    Betta

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  5. Ho letto un commento online di una giornalista di Califonia che rivela come trova un fidanzato (Mr.Right) 2 mesi dopo la rottura del suo ex fidanzato.
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