sabato 8 agosto 2020

Beirut

La prima pagina del Corriere della Sera (giovedì 6 agosto 2020)

















Probabilmente ci sarà un'inchiesta. Forse sarà "indipendente". Presumibilmente scarterà cause e privilegerà ipotesi. Difficilmente arriverà alla verità e farà giustizia.
Intanto si contano a centinaia i morti, a migliaia i feriti, a decine di migliaia le vittime, a centinaia di migliaia i profughi. Ed è difficile prevedere gli sviluppi di questa terribile esplosione.
Eppure alcune certezze ci sono. E parlano a tutti noi.
Primo.
Si continuano a sottovalutare le produzioni, i traffici e lo stoccaggio di materiali nocivi e pericolosi. Una nave ha attraversato il Mediterraneo e portato nella capitale libanese una parte del materiale che ha contribuito al disastro e che è stato custodito, per anni, senza adeguate misure di sicurezza. Pare che, nel tempo, più volte siano state fatte denunce cadute regolarmente nel vuoto.
Un bel problema per la fragile democrazia del Libano. Che mette in ulteriore crisi la credibilità del solo Stato arabo che nell'area mantiene istituzioni plurali e governi di coalizione, frutto di equilibri di potere determinati da mediazioni internazionali ed elezioni popolari.
Ma, oltre il Paese dei Cedri, quanti altri depositi, impianti o siti "a rischio" sono presenti nel Mediterraneo?
Cosa si pensa e si fa per disinnescarli e per adottare le misure necessarie ad impedire il ripetersi di simili eventi catastrofici e di danni ambientali incalcolabili?

Secondo.
Si continuano a produrre, a commerciare, a vendere armi a regimi autoritari, militari o fazioni in lotta senza alcun principio o cautela. Ci si basa sulla logica di mercato e del PIL, che deve crescere sempre e comunque, a prescindere: in nome di presunte "opportunità", "occupazione" e "ricchezza" che determinerebbero. Una contabilità fredda e bugiarda; distaccata dalle conseguenze, che mai include i costi sociali e quelli ecologici per le comunità locali ed internazionali. Sappiamo che così si alimentano inevitabilmente i conflitti, le guerre, la povertà, la fame. E, insieme, gli affari di breve e medio termine per industrie pubbliche e private di diversi paesi, nonché la concorrenza tra nazioni considerate "amiche" ed "alleate". Pensiamo a quelle del Patto Atlantico, della NATO e della Unione Europea.
Non è allora il tempo per porre un freno ad ogni approccio produttivistico e nazionalista?
Non sono, queste, le ideologie che portano rapidamente alla impossibilità di governare i conflitti e ad avvitarli in una spirale destinata a distruggere gli ecosistemi e la vita sul Pianeta Terra?
Possiamo disinteressarci ad esempio delle politiche di riarmo? E del rinnovo degli arsenali nucleari americani di stanza ad Aviano, in Italia?
O di programmi ed investimenti di Governi ed Enti locali che rinviano di fatto gli impegni al contenimento dei mutamenti climatici concordati a livello internazionale per il 2030 e il 2050?

Terzo.
Il futuro è comune e dobbiamo costruirlo insieme agli altri. La "sicurezza" è reciproca o non c'è. Beirut è una città del mondo globalizzato. Dove interagiscono tanti soggetti politici, interessi economici, poteri legali ed illegali. Ci vivono ed operano cittadini di tanti paesi. Ci sono forze armate di interposizione volute dalla comunità internazionale e concordate con israeliani e paesi arabi dopo decenni di scontri e massacri. Tra questi da oltre dieci anni più di mille militari italiani.
Nessuno può illudersi di mantenere ulteriormente status quo, fragile e motivo di tensioni crescenti, in parte oggettive e in parte alimentate.
Non è questo il tempo per avviare una iniziativa politica forte, lungimirante per la cooperazione, la conversione pacifica ed ecologica dello sviluppo, il riconoscimento pieno dei diritti e dei doveri universali delle persone e dei popoli?

Se non ora, quando?

5 commenti:

  1. Che disastro. Eppure nessuno fiata.
    s.

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    1. Ma come?
      Macron. Il Papa.
      E la rivolta in atto.
      Non interessano o non vogliamo vedere?

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    2. No, no. Vediamo e commentiamo pure.
      Gli interessi geo-politici della Francia sul Libano hanno una lunga tradizione. Resta l'ovvia considerazione che il Presidente si è mosso per il suo Paese e non ha mobilitato l'Unione Europea.
      Il Papa è certamente la principale Autorità mondiale ad essere intervenuta. Con quali conseguenze politiche, istituzionali, operative?
      La mobilitazione giovanile e popolare è una risorsa che merita grande rispetto ed attenzione. Cosa verrà dopo la crisi di Governo in corso?
      Quali sviluppi per la democrazia, la pace, il disarmo, la cooperazione internazionale e nel Medio Oriente?
      Insisto. La voce e l'iniziativa dell'Italia e dell'Europa sarebbero importanti ed utili se orientate ad una visione lungimirante.
      Gianni

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  2. Occuparsi di disinnescare bombe ecologiche e preoccuparsi di ridurre gli arsenali militari o la produzione di armi non è di queste classi politiche ed imprenditoriali. Ce n'è evidenza in ogni angolo della Terra. Purtroppo anche chi si è affermato in base a sani principi eco-pacifisti, una volta entrato nei Palazzi del potere ha ridotto la capacità critica e la determinazione al cambiamento.
    Auspicando di essere smentiti, attendiamo iniziative?!
    Nel frattempo, in Libano sull'onda del malcontento e delle rivolte popolari partite dai quartieri cristiano-maroniti siamo alle dimissioni del governo di coalizione cristiano - mussulmano con la partecipazione sciita. Esperienza unica nel contesto medio orientale.
    Non credo all'incidente. Privilegio una strategia di destabilizzazione.
    Ciao!

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    1. Possibile in quel contesto. Forse probabile.
      I conflitti si protraggono da troppo tempo senza adeguate iniziative delle forze che credono nei diritti e nei doveri di ogni persona, popolo e Stato.
      Gianni

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