giovedì 28 febbraio 2019

Sardegna, Italia. Per chi suona la campana?

Dopo l'Abruzzo il voto di domenica è una lezione su cui è bene che tutti riflettano. Tutti.
Se possibile, con analisi serie e con valutazioni politiche. Ben oltre le semplificazioni di molti commentatori interessati e le giustificazioni auto assolutorie di diversi esponenti di vari partiti.
Anche in Sardegna (come in Abruzzo) la partecipazione al voto è del 53%.
Cioè (quasi) un elettore su due non esercita il diritto - dovere di scegliere chi lo può rappresentare in una Istituzione.
Un fatto particolarmente significativo se si considerano due dati: il primo è costituito dalla marcata caratterizzazione della comunità sarda; il secondo dalla presenza di un altissimo numero di liste, partiti e movimenti (24).

Anche in Sardegna (come in Abruzzo) chi si è recato ai seggi ha espresso sfiducia per la maggioranza politica che ha governato negli ultimi anni.
Ora, il candidato della coalizione di Centrodestra subentra a un Presidente di Centrosinistra (Francesco Pigliaru) che nel 2014 aveva sconfitto il precedente Presidente di Centrodestra, Ugo Cappellacci che, nel 2009, aveva battuto il Presidente uscente, Renato Soru di Centrosinistra. Insomma, da quando si elegge direttamente il Presidente della Regione, mai nessuno è stato eletto per un secondo mandato. Logica alternanza tra coalizioni o insoddisfazione generale verso le classi dirigenti al Governo e rispetto ad una democrazia sempre più povera?

Domenica Christian Salinas ha vinto con oltre 360 mila voti. 70 mila in più di quelli conquistati dal Centrodestra (sconfitto) 5 anni fa, ma ben 140 mila voti in meno di quanto Ugo Cappellacci aveva conquistato nel 2009. Un dato che dovrebbe suggerire prudenza nel considerare il "successo" del Centrodestra.
Massimo Zedda, Sindaco di Cagliari ed esponente della Sinistra, ha perso con 250 mila voti. 60 mila in meno di quanto conquistò il (vincente) candidato di Centrosinistra nel 2014 e 160 mila in meno di Renato Soru (sconfitto) nel 2009.
Il candidato del M5S, che mai si era presentato in precedenti elezioni regionali, si è fermato a 85 mila voti. 10 mila in più di Michela Murgia candidata autonomista e terza forza nel 2014.
Mauro Pili, di Sardi Liberi e già deputato di Forza Italia e PdL, rispetto a 5 anni fa ha perso 25 mila voti restando sotto quota 20 mila.

Il Consiglio Regionale ha cambiato composizione.
Entra la Lega di Salvini con 8 consiglieri (non ne aveva nessuno), 6 seggi (oltre a Salinas) vanno al Partito Sardo d'Azione (ne aveva 3), 6 a Forza Italia (erano 10), 3 a UDC (4), 3 a Fratelli d'Italia (1), 3 a Sardegna 20Venti, 3 a Riformatori, 1 ciascuno a Uds, Sardegna Civica e Fortza Paris (precedentemente altre di Centrodestra ne avevano 5).
Come minoranze: entra il M5S con 7 consiglieri; il PD ha 8 seggi (ne aveva 18), LeU ne ha 2, Campo Progressista (di Pisapia e Zedda) 2, altre tre liste civiche di sinistra 1 ciascuno (nella Assemblea uscente SEL ne aveva 4, Rifondazione Comunista 2 ed altri gruppi civici o di centro complessivamente 10).

Un dato che merita considerazione è dunque il progressivo indebolimento dei due partiti che a lungo sono stati architrave della vita politica regionale, locale e nazionale: il PD conta oggi sotto i 100 mila voti, contro i 150 mila del 2014 e gli oltre 200 mila del 2009; Forza Italia non raggiunge i 60 mila voti, ne aveva più del doppio (125 mila) 5 anni fa e quattro volte tanti (250 mila) 10 anni fa.
Una conferma che nessuna iniezione di propaganda di parte può occultare.

Questo processo decennale di erosione è solo parzialmente compensato dalla entrata in campo dei due nuovi soggetti politici che si sono affermati sul piano nazionale nel 2018 e che poi hanno sottoscritto il Contratto per il Governo del Paese: La Lega di Salvini conquista 80 mila voti e il M5S consolida 85 mila voti, solo una piccola parte dei consensi raccolti tra i sardi alle politiche di un anno fa.
Su quest'ultimo dato (il "flop" del M5S) si è concentrata l'attenzione dalla maggioranza dei commenti.
Con evidenti obiettivi politici del tradizionale e ancora solido sistema di potere economico, finanziario e mediatico che controlla tanta parte della vita sociale ed istituzionale del Paese e che nel M5S vede ancora il soggetto politico meno controllabile.
Ma anche per l'interesse obiettivo che molte persone hanno riposto nella maggiore novità politica nazionale degli ultimi decenni.
Dunque, è opportuno abbozzare qualche considerazione.
Al risultato negativo del M5S hanno probabilmente concorso più elementi.
Tra questi, la specificità territoriale del voto, dove pesa lo scarso radicamento locale e regionale del MoVimento. Un problema aperto da tempo ed irrisolto per una forza che si propone di cambiare importanti pilastri del sistema politico e sociale del Paese.
Non dimeno, un giudizio critico sulla esperienza avviata da Di Maio e dagli eletti in Parlamento lo scorso anno e nei grandi Comuni dove "Quelli del Vaffa" si sono imposti come nuovi Amministratori (da Roma, a Torino, da Parma a Livorno).
Sono due grandi questioni politiche. Che non pare davvero possibile risolvere con misure rapide, organizzative o, peggio, con qualche deroga a principi costitutivi (e per molte persone apprezzabili) che hanno caratterizzato e dato forza ai Cinque Stelle nella loro fase ascendente.
Due esempi concreti contraddicono le valutazioni espresse nelle ultime ore da Luigi Di Maio.
Il primo, attiene alla qualità del rapporto con la Lega: si conferma essere una "esperienza transitoria" e condizionata da un accettabile principio di realtà (altre maggioranze e Governi non erano possibili dopo il voto del 4 marzo 2018) o di una "alleanza di prospettiva" che in una situazione di crisi profonda dell'Italia, dell'Europa e della democrazia a livello globale può produrre progressive contaminazioni, sintesi nuove e un Progetto comune di società futura?
Il dubbio è lecito considerando le evoluzioni di pensiero e posizioni assunte con l'abbandono da parte di Di Maio e del gruppo dirigente che lo affianca di alcuni punti programmatici e di princìpi che emergevano dalle origini "grilline" e negli anni di opposizione politica e parlamentare ai Governi Monti - PD - PdL e all'establishment.
Basti pensare alla considerazione per il valore della persona ed il rispetto dei diritti umani fondamentali (simbolica l'indicazione on - line di candidare alla Presidenza della Repubblica personalità come Stefano Rodotà e Gino Strada) oggi dimenticata o accantonata dal Governo Conte, che con il Ministro degli Interni sostiene il "blocco dei porti alle navi coi migranti" e vota il Decreto sicurezza (con la fiducia!), oppure il rifiuto di lasciare ai giudici il diritto di valutare la sussistenza del reato di sequestro di persona sul caso Diciotti. O, ancora, l'assenza di significative politiche ed investimenti per sviluppo sostenibile e per la conversione ecologica dello sviluppo (con il via libera al progetto TAP o al MUOS, con un accordo controverso sull'ILVA, con troppi Si a nuove autostrade padane anziché al potenziamento delle reti e dei mezzi delle FS per pendolari e per merci, con la promessa di trovare prossime soluzioni concordate sulla linea TAV Torino - Lione o sul Passantino di Bologna).
Il secondo, è relativo alla strutturazione del MoVimento: sicuri che rimuovere il "vincolo dei due mandati" o nominare responsabili di settori e capi politici regionali sia preferibile al "superamento dei doppi incarichi" che accentrano in una sola persona ruoli politici ed istituzionali (come nel caso del Capo politico - Vice Presidente del Consiglio dei Ministri))? Ed anche ad un radicamento sociale e territoriale più strutturato e capace di coinvolgere, attivare, responsabilizzare risorse umane critiche e creative, che non riducano tutta l'iniziativa del M5S alla pura e semplice attività istituzionale degli eletti?
Sono solo alcune prime questioni da annotare per una discussione utile al confronto politico.

Ma la campana non suona solo per il M5S.

A destra i successi nazionali di Salvini hanno modificato significativamente i rapporti di forza ed aprono una fase nuova. Non a caso Matteo Salvini ha dichiarato, dopo il voto in Sardegna, l'accantonamento definitivo del "vecchio Centrodestra", che può essere ridefinito solo per le coalizioni locali e regionali.
Una scelta probabilmente necessaria per rimanere sulla cresta dell'onda dei consensi e per proporsi come principale "protettore" di un aggregato sociale composito e contraddittorio che accomuna soggetti, culture, ceti e popolazioni al Nord e al Sud assai diverse e anche in conflitto.
Ma fin quando potrà riuscire questa operazione e costruzione complessa di fronte a scelte di Governo da stabilizzare nel tempo? Fin quando sarà possibile giocare efficacemente su più tavoli: procedendo con la "Riforma pensionistica" alla Monti - Fornero e praticando la Flat Tax?
Da un lato, partito del Nord produttivo ed autonomista che si propone di trattenere maggiori risorse nelle Regioni più ricche (con l'autonomia rafforzata di Lombardia e Veneto) e dall'altro partito nazionale che si radica nel Sud e offre risposte di sviluppo o assistenza alle aree più povere, sfruttate e dissestate?
Da un lato forza nazionalista e dall'altro leadership della Destra europea?
Da un lato Partito forte al Governo con un M5S che non può progressivamente rinunciare ad essere soggetto critico del "sistema" liberista pena un rapido declino e dall'altro alleato dei vecchi e nuovi sodali di Silvio Berlusconi interessati essenzialmente a difendere potere, affari e privilegi consolidati?

A sinistra le sconfitte e le divisioni non sono rimarginate e le scelte da fare sono impegnative, difficili, strategiche.
Perché la crisi politica è solo parzialmente contenuta dalla candidatura di uno dei sindaci considerati più bravi e popolari, come Massimo Zedda, e dalla presenza di una vasta coalizione di Sinistra-Centro. E nonostante il modesto risultato del M5S.
Si può dunque ritenere che la presenza di uomini e donne sperimentati e radicati nel tessuto sociale ed istituzionale dei territori premia e produce risultati (come le 8 liste e i tanti candidati) ma non è sufficiente per competere con possibilità di vittoria (e solo i sondaggi o gli exit pool illudevano di un testa a testa che è stato smentito dai fatti).
Pare dunque necessario dismettere ogni tentazione di "rivincita", di "autosufficienza" e di "vocazione maggioritaria". Almeno per il momento.
E anziché alzare i toni contro le incapacità e i limiti altrui (che sicuramente hanno buone ragioni) ci si concentri sulle inadeguatezze progettuali e pratiche della propria parte e dei propri compagni o amici di governo e di schieramento.
Troppe contraddizioni hanno caratterizzato la storia degli ultimi decenni del Centrosinistra e del PD a livello nazionale, locale e delle Regioni. E lo scenario Europeo dei Partiti Socialisti o quello mondiale della sinistra non è migliore. Le politiche seguite hanno aumentato le disuguaglianze sociali e non hanno affrontato le mutazioni climatiche, le produzioni nocive ed una crescita economica puramente quantitativa ed insostenibile.
Questi sono i veri nodi politici dirimenti che dividono e ricollocano ovunque vecchi, recenti e nuovi protagonisti.
Su cosa si ricerca e si qualifica una nuova alleanza plurale Democratica e/o di Sinistra?
Quali Progetti sociali, programmi politici ed elettorali, pratiche concrete possono unire partiti, movimenti, associazioni, un "Campo vasto", un "Fronte repubblicano", una "Lista Democratica e Civica"?
Su questo Massimo Zedda, Nicola Zingaretti e compagni, come Maurizio Martina, Roberto Giachetti, Carlo Calenda, Matteo Renzi ed amici, dovranno misurarsi.
Mostrando, si pure tutti loro, capacità di governo e competenze che pochi gli hanno riconosciuto.
Una sfida ardua, peggio arrogante ed infruttuosa, se ci si arrocca a strenua difesa del passato, "non capito" da elettori "già pentiti".
Il fatto è: che in Basilicata (prossima scadenza elettorale) chi ha votato le alternative politiche possibili non apprezzava le scelte dei fratelli Pittella, della crescita delle trivelle e delle estrazioni nocive dal sottosuolo; che in Piemonte la "rivolta elettorale" è diretta alla subalternità di Fassino, Chiamparino e compagni agli imprenditori ed ai manager dell'auto (incapaci di innovazioni all'avanguardia) e delle costruzioni (che insistono sul tunnel del TAV Torino - Lione e non sulle reti ferroviarie per pendolari e merci); che in Emilia Romagna la critica è verso Bonaccini (Delrio e Merola) per i ritardi in grandi opere essenziali quali la messa in sicurezza del territorio dal dissesto idrogeologico e dai rischi sismici o per investimenti destinati a promuovere una mobilità sostenibile (di fronte al perdurante inquinamento atmosferico e acustico).
E tutte queste fratture sociali, culturali e politiche profonde con le nuove periferie urbane non si recuperano certo organizzando "Quelli del Si", manifestando per avere ulteriori autostrade, Passanti e bretelle di asfalto, indicendo referendum solo là dove si presuppone di vincerli.
I riferimenti concreti potrebbero continuare.
Questi sono nodi da sciogliere per rendere i vecchi e i nuovi politici di questo "fronte" più apprezzati e credibili dei concorrenti inesperti (a volte impresentabili) del M5S.
Non bastano i corteggiamenti e le promesse.
La questione è che per motivare una Sinistra occorre contrapporla innanzitutto alla Destra (politica, economica e culturale) non con discorsi vuoti e vacui ma con scelte chiare e conseguenti a precisi interessi di liberazione di intere comunità dallo sfruttamento dell'ambiente e delle persone.
Tutt'altra cosa rispetto ad una alleanza che si vorrebbe opporre al "populismo".

Parliamone.

6 commenti:

  1. Interessante. Privilegiare i numeri assoluti rispetto alle percentuali fa capire molto meglio.
    Ad esempio evita di parlare di sfondamento leghista o di recupero PD che i numeri non confermano se non parzialmente.
    Nel senso che in Sardegna la Lega conquista sostanzialmente nell'area tradizionale di centrodestra e che il recupero del sinistra-centro (più Zedda-Pisapia che Zingaretti-Martina-Giachetti) sul non voto ai 5 Stelle è assai marginale.
    Quanto alla lezione politica da trarre, mi pare che la tesi sia: si conferma la decadenza di Berlusconi e del PD (gli architrave del recente passato), i 5Stelle sono in crisi (politica non solo organizzativa), la Lega è sull'onda alta (ma non è detto regga).
    Dunque, "la campana suona per tutti" in una situazione di grande movimento (vedi crisi politiche in Gran Bretagna, in Francia e in Spagna).
    Mi pare credibile e confermato da alcuni fatti di giornata:
    - la "terza componente" del governo (Mattarella, Conte e Tria) che prende voce ed iniziativa
    - i vecchi leader spodestati della politica (Renzi e Maroni) che si agitano in parlamento e sui giornali
    - la confindustria e i sindacati che muovono pedine e fanti dal Piemonte all'Emilia.
    Quindi gli equilibri dati sono alquanto instabili e gli attori assai più numerosi di quelli che vengono pubblicizzati.
    In questo contesto interveniamo insistendo sui contenuti e sui progetti per il cambiamento di cui avvertiamo il bisogno: uno sviluppo di investimenti di qualità che né il governo Conte-Di Maio-Salvini, né le opposizioni PD-LeU o FI-FdI sostengono.
    Apprezzo l'analisi, avverto le difficoltà a intravvedere uno sbocco politico per noi e per l'Europa.
    pl

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    1. Sul voto sardo incidono sicuramente peculiarità regionali e politica nazionale.
      Con un dato sempre più marcato: si riduce moltissimo il voto "di appartenenza" e prevale un voto di opinione che di volta in volta sceglie premia e penalizza forze politiche sempre meno radicate e riconoscibili per cultura e rappresentanza sociale.
      Anche per questo tutto è in movimento ed ancorarsi ai contenuti e al merito dei progetti è fondamentale.
      Gianni

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  2. Secondo me tra il PD di Renzi e l'M5S di Di Maio ci sono più punti in comune di quanto potessimo ritenere fino a qualche mese fa.
    Ne indico alcuni solo alcuni di metodo e di merito.
    Entrambi crescono in un ambiente familiare e imprenditoriale ai confini della legalità.
    Entrambi sono più Capi che democratici e mettono in conto di perdere parlamentari del loro stesso partito.
    Entrambi fanno ricorso ai Decreti del Governo e forzano i dibattiti parlamentari con voti di fiducia.
    Entrambi elargiscono sussidi a persone in difficoltà a pochi mesi dalle elezioni europee: 8-10 miliardi attraverso 80 euro ai redditi da lavoro più bassi e 7-8 miliardi ai poveri con il reddito di cittadinanza.
    Entrambi si intendono bene e firmano contratti costituzionali o di governo con leader della destra: Silvio Berlusconi in un caso e Matteo Salvini nell'altro.
    Se vogliamo un presente più vivibile e un futuro migliore non è il caso di rimuovere questi personaggi?
    Possibile?

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    1. Volendo, si potrebbero individuare anche altri elementi che accomunano i due. In parte è forse un segno dei tempi e della fase politica che viviamo.
      Tuttavia non mancano le diversità.
      In ogni caso preferisco considerare le forze collettive in campo, i progetti di medio e lungo termine che sostengono, le iniziative che assumono e le alleanze che praticano.
      Gianni

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  3. Aspettavo un commento sui 3 candidati alle primarie per eleggere il nuovo segretario del PD. Questo può incidere parecchio sul futuro della Sinistra italiana ed europea o se si preferisce del Centro-sinistra e del Sinistra-centro.
    Qui in qualche modo si affrontano argomenti contigui e sicuramente rilevanti, vedi la difficoltà di misurarsi con la questione ambientale o con la vita grama nelle periferie urbane, le subalternità con i principali gruppi imprenditoriali o le sempre troppe inchieste giudiziarie di esponenti politici.
    Secondo me però non si coglie una occasione (le primarie) utile per ricercare e produrre una svolta. Se oggi milioni di cittadini si facessero sentire e indirizzassero il PD verso un cambiamento di leader e di politiche si potrebbe aprire una pagina nuova .... e ne usufruirebbero tutti coloro che auspicano una società più giusta.
    Anche tenendo conto che i consensi ai partiti che hanno dato vita al Governo Conte stanno dimostrando che l'alleanza giallo-verde non reggerà a lungo.
    Antonio

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    1. Rispetto le "primarie" ma non le sento parte della mia cultura politica.
      La vittoria netta di Nicola Zingaretti ha prodotto "una svolta"? Ha aperto "una pagina nuova" per "una società più giusta"? Incide positivamente sui rapporti di forza sociali, politici e culturali che viviamo?
      Occorre sicuramente verificare nel tempo.
      Tuttavia l'inizio non mi pare incoraggi all'ottimismo. Almeno chi è convinto che la sfida principale è quella di costruire - qui ed ora - una alleanza per una conversione pacifica ed ecologica delle produzioni e della organizzazione delle comunità. Se il tempo per agire e per cambiare le tendenze mondiali in atto (clima, migrazioni, accentramento del potere) è questo, la scelta di costruire un fronte del Si alle "grandi infrastrutture" dal Piemonte all'Emilia mi pare gravemente sbagliato e anti-storico.
      Gianni

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