lunedì 11 febbraio 2019

Abruzzo, Italia

E' naturale l'interesse nazionale per le elezioni in Abruzzo. Le prime del 2019. Molte altre ne seguiranno di forte rilevanza politica.
Cosa è successo?
Il primo dato è che hanno partecipato il 53% degli aventi diritto. Poco più di un elettore su due.
Pochi lo sottolineano e lo considerano un problema. Non è una novità (il Emilia Romagna si era raggiunto il 62% di non voto).
Eppure ne va della autorevolezza e della capacità delle Istituzioni di rappresentare adeguatamente le Comunità di riferimento.

Sarebbe interessante studiare e capire a quali classi sociali appartengono gli astenuti e quale legame unisce liste, eletti ed elettori.
Sicuramente potremo ragionare meglio sullo stato della democrazia italiana e sui rimedi necessari per fronteggiare la progressiva sfiducia dei cittadini nelle Istituzioni pubbliche e praticare nel mondo di oggi i principi fondamentali della Costituzione.

Il secondo dato è che un Presidente PD eletto in rappresentanza di una Coalizione di Centrosinistra (senatore dal 4 marzo 2018) è stato sostituito da un parlamentare (romano) di Fratelli d'Italia eletto a Capo di una Coalizione di Centrodestra.
Il Consiglio Regionale ha ora una maggioranza di consiglieri di Lega (10), Forza Italia (3), FdI (3), UdC (1) e Azione Politica (1). Erano 7, precedentemente. Mentre in minoranza sono 7 del M5S (erano 6) e 6 tra PD e coalizione (erano 18).

Il cambio di Presidente e maggioranza è l'effetto di un voto che ancora una volta ha confermato una peculiare alternanza tra esponenti di Centrodestra e di Centrosinistra, evidentemente indice di intreccio tra un diffuso "voto d'opinione", pratiche bipartisan di malgoverno che accomuna i tradizionali contendenti (a volte sfociate anche in indagini giudiziarie, processi e condanne) ed una costante insoddisfazione politica verso il governo regionale.
Nel 2000 Giovanni Pace, di Alleanza Nazionale, aveva vinto con una Coalizione di Centrodestra ottenendo 382 mila voti (il 49%) sul candidato del Centrosinistra 379 mila voti (49%).
Nel 2005 Ottaviano Del Turco, socialista, era stato eletto con 446 mila voti (il 58%) contro il candidato di Centrodestra che si era fermato a 311 mila voti (40%).
Nel 2008 Giovanni Chiodi di Forza Italia aveva ottenuto 295 mila voti (49%) superando il candidato di Centrosinistra fermatosi a 258 mila (43%). Con un terzo candidato di Centro al 5%.
Nel 2014 Luciano D'Alfonso del PD aveva prevalso con 319 mila voti (46%) su Chiodi (202 mila, 29%), Marcozzi del M5S (148 mila, 21%) e Acerbo di Rifondazione Comunista (21 mila, 3%).
Domenica Marco Marsilio ha vinto con 300 mila voti (48%) battendo Giovanni Legnini del PD (195 mila, il 31%), Sara Marcozzi del M5S (126 mila, 20%) e un rappresentante di CasaPound (3 mila, 0.5%).
Con due novità politiche da considerare: lo stabilizzarsi, per la prima volta, a distanza di cinque anni di un terzo soggetto dotato di un significativo radicamento (il M5S, pure in calo di quasi 20 mila voti sulle regionali del 2014, conferma oltre i 120 mila elettori) e l'affermarsi nella Coalizione di Centrodestra di un Partito, la Lega (già Nord e "per l'indipendenza della Padania") che mai aveva eletto un consigliere in queste terre e che subentra al crollo verticale del Partito di Berlusconi, ridotto sotto quota 10%.
Si impone qui un necessario approfondimento per cogliere anche le transumanze di personale politico locale, i collegamenti tra vecchio sistema di potere regionale e i nuovi equilibri politici - istituzionali, i possibili condizionamenti nazionali.

Il terzo inevitabile elemento è il nesso tra voto regionale e fatti politici nazionali, segnati dalla novità del Governo Conte - Salvini - Di Maio.
Perché è naturale pensare che l'esperienza avviata ed il confronto aperto sulle grandi questioni sociali, ambientali, dei migranti e dell'Europa abbiano influito e non poco nelle dinamiche locali.
Con tutte le cautele del caso (e nella consapevolezza che le liste dei candidati locali all'Assemblea abruzzese sono ben diverse e di più di quelle impegnate il 4 marzo 2018) è bene considerare che il voto regionale indica tendenze, percezioni e problematiche riconducibili direttamente ai vari soggetti in competizione.
Il M5S rispetto al voto politico del 2018 perde oltre la metà dei consensi raccolti (177 mila su 303 mila).
Il Candidato di Centrodestra ottiene quasi 30 mila voti in più, con un ribaltamento netto dei rapporti.
Il Partito di Salvini aumenta di 60 mila voti (da 105 mila a 165 mila) mentre Forza Italia ne perde 55 mila (da 110 mila a 54 mila). FdI è stabile a 38 mila voti. E fuori Coalizione, il candidato della destra di CasaPound perde 5 mila voti (da 8 a 3 mila).
Il PD perde ancora voti (domenica, 67 mila più 33 mila della Lista Legnini contro i 105 mila del 4 marzo) mentre l'insieme della Coalizione che include due liste di Sinistra ne recupera 25-30 mila (alle ultime politiche LeU ne raccolse 20 mila, PaP 10 mila ed i Comunisti Italiani 5 mila).
Complessivamente ieri si sono contati 140 mila voti validi in meno rispetto al 4 marzo 2018.

Pare dunque di capire che se ci sono vincitori (Marsilio) e sconfitti (Legnini e Marcozzi), se si può parlare correttamente di avanzamento (Lega) e di arretramenti (PD e soprattutto M5S) è tuttavia prudente per ogni forza politica approfondire la ricerca critica e capire la lezione e le conseguenze nazionali da trarre dopo il voto d'Abruzzo.
Almeno per chi vuole rappresentare parti importanti del Paese, nel presente e nel futuro.
Solo gli stolti possono essere soddisfatti, cullarsi in valutazioni consolatorie e non avviare serie riflessioni capaci di correggere la direzione di marcia ed affrontare con grande determinazione le pesanti contraddizioni che gravano sul Paese.

4 commenti:

  1. Se Salvini becca il 27% in Abruzzo quanto farà alle prossime Europee?
    E se gli Abruzzesi votano la Lega Nord per l'indipendenza della Padania quali disastri hanno combinato gli altri partiti?
    Possibile?

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  2. Eppure il centrosinistra questa volta mi pare abbia recuperato voti e percentuali.
    Probabilmente superando la tesi dell'auto sufficienza e concordando su una alleanza ampia ed aperta.
    Dopo la piazza di Roma, il voto in Abruzzo può essere una iniezione di riscossa per il mondo del lavoro e per una sinistra che parli plurale.
    Antonio

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  3. Ma siete sicuri che l'Abruzzo sia tanto rappresentativo?
    Non vi pare che accostare questa regione all'Italia intera sia fuori luogo?
    Ore ed ore di commenti mi sembrano un vero eccesso.
    Buona notte, Italia!
    TorN

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  4. Abruzzo è Italia? Bene.
    Vi propongo un gioco. Nulla più, forse.
    Chi è risolutamente contro i Fratelli d'Italia (per visione culturale o politica naturalmente, nulla di personale) e detesta i sovranisti/populisti/affaristi perché non si impegna a verificare (prima o dopo le prossime elezioni a seconda del sistema elettorale: comuni, regioni, camera e senato, europa) gli eventuali e possibili possibili punti di convergenza per un programma di governo diverso?
    È vero o no che sulla carta anche in Abruzzo il 31% dello schieramento PD-centro-sinistra più il 20% del M5s fanno 51%?
    Così è sul piano nazionale almeno dal 2013. Centrosinistra di Bersani e Movimento di Grillo avevano la maggioranza dei parlamentari dopo il voto del 23-24 febbraio. Nel 2018 gli eletti di Di Maio più quelli di PD/+Europa/Casini e LeU sono maggioranza.
    Si è rifiutata qualsiasi intesa. Allora come ora.
    Su entrambi i fronti.
    Poi però un governo si doveva trovare ed è nato il Contratto tra M5s e Lega, che era e resta un obbrobrio. Per molti, almeno.
    Come si vede anche in Abruzzo e altrove.
    Ora arriverà l'Europa.
    Ci sono i nazionalisti (Meloni e Salvini/Orban/i governanti polacchi/Le Pen) e poi ci sono gli europeisti, quelli che vorrebbero conservare e quelli che vorrebbero innovare. Tra questi ultimi molti esponenti post ideologici, di sinistra e di centro.
    Certo, nulla è scontato in politica.
    Non è detto che mettere insieme Legnini e Marcozzi, Bersani e Grillo, Di Maio e Renzi o Zingaretti o Martina sarebbe meglio per gli italiani, si raggiungerebbe la maggioranza e ci sarebbero meno contrasti di governo.
    Ma allora.
    Discutiamo sui problemi abbandonando i reciproci pregiudizi e gli insulti per partito preso ("con quelli mai" o "quelli sono fascisti"' oppure ".... comunisti")
    Se non ora, quando?
    Sapendo che se la preferenza è costruire una comunità di persone oneste e un ambiente più sano, al governo è meglio escludere Berlusconi e soci e includere gli inesperti e ignoranti ragazzi seguaci di Grillo/Casaleggio.
    Se, invece, la priorità sono TAV/Autostrade/PIL/grandi imprese e occupazione senza garanzie e sicurezza vanno sicuramente esclusi Quelli del NO e uniti Quelli del SI.
    Se vogliamo uno sviluppo sostenibile l'accordo possiamo trovarlo più in Europa occidentale che orientale, più con i governanti cinesi che con quelli americani, più con Quelli del NO che con Quelli del SI.
    Se ci vergogniamo per i respingimenti e per le vittime dei trafficanti in Mediterraneo o in Libia dobbiamo escludere prossime intese con i vari Sarkosy, Juncker, Minniti e Salvini e sostenere/eleggere i Gino Strada, le Ada Colau, i De Magistris o gli Orlando.
    Se ......
    Non so se mi sono spiegato.
    Voglio dire che è il momento di chiarire tutti chi siamo e cosa vogliamo essere e fare.
    Assumendoci più responsabilità diretta verso il 2030-2040.
    Ciao!


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