sabato 16 aprile 2016

Perché votiamo e perché votiamo Si

Il prossimo 22 aprile capi di Stato e di governo convocati dal Segretario Generale dell’ONU, Ban Ki-moon, firmeranno, per rendere definitivamente operativo, l’Accordo di Parigi, risultato dell’ultima Conferenza delle Parti (COP 21) della Convenzione Quadro ONU sui Cambiamenti Climatici tenutasi a Parigi lo scorso dicembre.
L’accordo è stato raggiunto all’unanimità da 195 paesi più l’Unione Europea e rappresenta l’avvio definitivo del passaggio dai combustibili fossili (petrolio, carbone, gas responsabili principali del cambiamento climatico oggi in atto) alle energie rinnovabili, all’efficienza e al risparmio energetico e a tutte le straordinarie innovazioni presenti in questo campo nonché allo stimolo scientifico e tecnologico per produrne di nuove.
Tutta la comunità scientifica internazionale è consapevole che non si può continuare sulla strada della dipendenza dalle fonti fossili e che l’inazione costituisce il rischio peggiore che non fa che aggravare la situazione attuale.
Tutto il mondo deve investire in un nuovo modello energetico e tutti, istituzioni, settore privato e società civile, devono essere attori del cambiamento.

In questo quadro non ha alcun senso per un paese come l’Italia insistere con investimenti per continuare con l’estrazione di petrolio e gas, anzi riteniamo che questa azione rappresenti ormai un danno.
Innanzitutto perché l’utilizzo delle fonti fossili provoca inevitabilmente l’aggravarsi dei cambiamenti climatici con effetti nefasti sui territori, sulla salute, sulla sicurezza delle popolazioni, e una crescita costante dei costi per riparare ai danni conseguenti. Ma ci sono anche precise ragioni energetiche, economiche, occupazionali, ambientali, etiche e culturali che ci obbligano a sottolineare che è interesse di tutti muoversi con lungimiranza e determinazione verso una società sempre più libera dall’utilizzo dei combustibili fossili.


Le ragioni energetiche.
Il quantitativo di petrolio e di gas naturale fornito al nostro Paese dalle piattaforme entro le 12 miglia non supera rispettivamente lo 0,9% ed il 3% dei consumi nazionali.
Una quantità irrisoria, anche perché il consumo dei combustibili fossili è in continuo calo
che hanno già contribuito a cambiare il sistema energetico italiano ed oggi coprono il 40% della domanda elettrica. Questa è la vera risorsa del paese sulla quale investire concretamente e che ci permetterà di ridurre sempre più la dipendenza energetica
dall’estero e di fornire un contributo alla lotta ai cambiamenti climatici.
La sfida oggi è certamente rappresentata dalla transizione energetica. Per avviarsi su questa strada serve però conoscere i problemi nella loro complessità, conoscere le potenzialità della ricerca e delle nuove tecnologie. Serve ad esempio sapere che già oggi si produce elettricità in Italia con impianti a biogas che garantiscono il 7% dei consumi e che il potenziale per il biometano, che può essere immesso in rete, è in Italia di oltre 8 miliardi di metri cubi: il 13% del fabbisogno nazionale e oltre quattro volte la quantità di gas estratta nelle piattaforme oggetto del referendum.


Le ragioni economiche.
Il successo delle rinnovabili in Italia ha ridotto drasticamente il prezzo dell'energia elettrica, ben prima che i prezzi del petrolio crollassero, portando concorrenza nel mercato, riduzione delle bollette (dove, per sfatare un altro mito, ovvero che le rinnovabili sarebbero pagate care in bolletta, va detto che gli incentivi alle rinnovabili pesano solo per lo 0,3% nel bilancio di una famiglia media italiana), miglioramento della bilancia energetica e aprendo una nuova importantissima filiera industriale. Oggi tutto sta cambiando: le rinnovabili costituiscono il presente ed il futuro dello sviluppo e rappresentano la prima voce di investimento nel mondo, mentre le fonti fossili rappresentano il passato e gli investimenti in questo settore sono crollati e il 35% delle compagnie petrolifere, secondo l’ultimo rapporto della società di consulenza Deloitte, è ad alto rischio di fallimento già a partire dal 2016, con un debito accumulato complessivamente di 150 miliardi di dollari.
Inoltre, al contrario di quanto si dice, le estrazioni petrolifere non rappresentano una risorsa significativa per le casse dello Stato, anche perché le società godono di royalties tra le più basse al mondo e franchigie molto vantaggiose.

Le ragioni occupazionali.
Il tema occupazionale è un tema delicato e importante, ma va affrontato senza intenti propagandistici, sapendo che la transizione energetica porterà inevitabilmente a una grande ristrutturazione industriale.
Al di là del balletto delle cifre, a cui abbiamo assistito in queste settimane, le stime ufficiali (fonte Isfol) riguardanti l’intero settore di estrazione di petrolio e gas in Italia parlano di 9mila impiegati in tutta Italia e 3mila nelle piattaforme oggetto del referendum. Parliamo di un settore già in crisi da
tempo, indipendentemente dal referendum, per la riduzione dei consumi nazionali di gas e petrolio e la mancanza di una seria politica energetica nazionale. Se vince il Sì, le piattaforme non chiuderanno il 18 aprile ma saranno ripristinate le scadenze delle concessioni rilasciate, esattamente come previsto prima della Legge di Stabilità 2016.
Lo smantellamento obbligatorio delle piattaforme, inoltre, potrà creare nuova occupazione. Piuttosto, per le politiche volute dagli ultimi governi ed aggravate dal governo Renzi, nel 2015 si sono persi circa 4 mila posti nel solo settore dell’eolico e 10mila in tutto il comparto. L'unico modo per garantire un futuro occupazionale duraturo è quello di investire in innovazione industriale e in una nuova politica energetica. Tutte le previsioni parlano di un settore delle rinnovabili in espansione, che in Italia potrebbe generare almeno 100mila posti di lavoro al 2030, cioè circa il triplo di quanto occupa oggi Fiat Auto in Italia.

Le ragioni ambientali.
Le attività di ricerca e di estrazione di idrocarburi possono avere un impatto rilevante sull’ecosistema marino e costiero. L’attività stessa delle piattaforme può rilasciare sostanze chimiche inquinanti e pericolose, come olii, greggio (nel caso di estrazione di petrolio), metalli pesanti o altre sostanze contaminanti (anche nel caso di estrazione di gas), con gravi conseguenze sull’ambiente circostante. V a poi considerato che i mari italiani sono mari “chiusi” e un eventuale incidente sarebbe fonte di danni incalcolabili.
Inoltre la ricerca di gas e petrolio, che utilizza la tecnica dell’airgun, può incidere in particolar modo sulla fauna marina e su attività produttive come la pesca. Infine da non sottovalutare è il fenomeno della subsidenza nell’Alto Adriatico, per il quale l’estrazione di gas sotto costa resta il principale contributo antropico che causa la perdita di volume del sedimento nel sottosuolo generando un abbassamento della superficie topografica, che accresce l’impatto delle mareggiate e delle piene fluviali e l’erosione costiera, con perdita di spiaggia ed effetto negativo sulle attività turistiche rivierasche.

Le ragioni etiche e culturali
Invitare all’astensione in una consultazione democratica è sempre un atto di irresponsabilità civile e politica, che non può che aggravare la grande malattia delle democrazie contemporanee: l’astensione dilagante. Inoltre questo referendum, al di là del significato letterale del quesito, e del rapporto con i ricorrenti fenomeni di corruzione, che sono emersi di nuovo in questi giorni, chiede di assumerci una personale responsabilità per il futuro del nostro paese sul fronte dei cambiamenti climatici e del futuro di noi tutti : la produzione di idrocarburi ci fa rimanere legati a un sistema energetico ormai obsoleto che causa l’alterazione delle dinamiche del sistema climatico . Un problema su cui il nostro governo ha un atteggiamento schizofrenico, perché da un lato sottoscrive accordi internazionali e si impegna a perseguire le politiche Europee sulla transizione energetica, dall’altro, però, continua a sostenere, sul fronte interno, le lobby delle società petrolifere boicottando le rinnovabili e favorendo le trivellazioni.

Per tutte queste ragioni il voto del 17 aprile ha un significato importantissimo: siamo chiamati a dire se vogliamo continuare una politica energetica basata sugli idrocarburi e legata al passato o se vogliamo che l’Italia si incammini senza incertezze lungo la strada della transizione energetica alle rinnovabili.

Votiamo sì perché vogliamo che il governo intraprenda con decisione la strada della transizione energetica per favorire la ricerca e la diffusione di tecnologie e fonti energetiche che ci liberino dalla dipendenza dai combustibili fossili.

Gianni Silvestrini, Direttore scientifico Kyoto Club
Luca Mercalli, Presidente Società Italiana di Meteorologia 

Flavia Marzano, Professore Metodologie e tecniche della ricerca sociale alla Link
Campus University

Giorgio Parisi, Professore ordinario di teorie quantistiche all’Università Sapienza di Roma
Vincenzo Balzani, Professore emerito dell’Università di Bologna e Accademico dei Lincei
Mario Tozzi, geologo, Primo ricercatore CNR
Enzo Boschi, già Presidente Istituto Nazionale Geofisica e Vulcanologia (INGV) e professore Geofisica della Terra Università di Bologna

Marcello Buiatti, già Professore di Genetica Università di Firenze
Stefano Caserini, Professore mitigazione del cambiamento climatico, Politecnico di Milano, Coordinatore
Climalteranti.it
Nicola Armaroli, Chimico, Dirigente di Ricerca del Consiglio Nazionale delle Ricerche

Giuseppe Barbera, Professore ordinario di Colture Arboree all’Università degli Studi di Palermo
Massimo Bastiani, Coordinatore Tavolo Nazionale Contratti di Fiume 
Alberto Bellini, Professore associato presso Università degli studi di Bologna
Giorgio Bignami, già Direttore Laboratorio Fisiopatologia di organo e di sistema, Istituto Superiore Sanità
Ferdinando Boero, Professore ordinario di Zoologia e Biologia Marina all'Università del Salento
Raffaele Boni, DVM PhD Department of Sciences Università della Basilicata
Federico Butera, Professore ordinario di Fisica presso il Politecnico di Milano
Gemma Calamandrei, Biologa, Primo ricercatore, Istituto Superiore di Sanità
Donatella Caserta Professore ordinario di Ginecologia e Ostetricia Università di Roma Sapienza
Sergio Castellari, Ricercatore, Risk Assessment and Adaptation Strategies, Centro EuroMediterraneo per i Cambiamenti Climatici (CMCC)
Mauro Ceruti, Professore ordinario di Filosofia della scienza, IULM 
Carmela Cornacchia, Ricercatore CNR
Annalisa Corrado, Ingegnere energetico

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Pier Luigi Cristinziano, Ricercatore, Università degli studi della Basilicata 
Mariateresa Crosta, INAF - Osservatorio Astrofisico di Torino
Mario Cucinella, Architetto e designer
Antonio Di Natale, Segretario Fondazione Acquario di Genova

Paolo Fanti, Professore Associato, Dipartimento di Scienze - Università della Basilicata
Marco Frey, Professore ordinario di economia e gestione delle imprese presso la Scuola Superiore di studi universitari e di perfezionamento S. Anna di Pisa
Mario Gamberale, Ingegnere energetico
Beppe Gamba, Esperto sviluppo sostenibile
Marino Gatto, Professore ordinario di Ecologia al Politecnico di Milano Gianvito Graziano, Geologo
Maurizio Lazzari, Ricercatore CNR

Mario Malinconico, Ricercatore CNR, Istituto Polimeri compositi e Biomateriali, Chair XXI Conferenza Internazionale sulla gestione dei rifiuti solidi urbani (Roma, 2016)
Eleonora Barbieri Masini, Professore emerito Facoltà di Scienze Sociali Università Gregoriana
Andrea Masullo, Direttore Scientifico di Greenaccord Gianni Mattioli, Fisico
Massimo Moscarini, già Direttore Dipartimento Materno e Infantile Università La Sapienza Roma
Beniamino Murgante, Professore associato Università degli studi Basilicata 
Gabriele Nolè, Ricercatore TD, Imaa CNR
Angela Ostuni, Ricercatrice, Università degli Studi della Basilicata
Franco Pedrotti,
Professore emerito dell'Università di Camerino

Valentino Piana, Direttore dell'Economics Web Institute.
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Sandro Polci, Sociologo
Francesco Ripullone, Prof associato, Scuola di Scienze Agrarie, Forestali Alimentari ed Ambientali, Università degli Studi della Basilicata
Gianluca Ruggieri, Ricercatore Università dell'Insubria
Valerio Sbordoni, Professore ordinario di Zoologia Università Tor Vergata Roma Massimo Scalia, Fisico
Angelo Tartaglia, Professore Fisica generale Politecnico di Torino

Valerio Tramutoli, Professore associato di Fisica del Sistema Terra e del Mezzo Circumterrestre presso la Scuola di Ingegneria della Università della Basilicata Potenza
Sergio Ulgiati, Professore Analisi ciclo di vita Università degli Studi Parthenope di Napoli
Boris Zobel, Psicopedagogista 

6 commenti:

  1. Va bene, votiamo. Ma si farà il quorum?
    s.

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    1. Mi ripeto. Ci hanno servito un frullato di prodotti avariati e o.g.m. di difficile digestione.
      Ma ora siamo in campo. Occorre giocare la partita. Al meglio.
      Presto verrà il tempo delle valutazioni.
      Gianni

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  2. Tra quelli che non vanno c'è chi teme per l'occupazione e chi dice che non è un argomento per tutti. A differenza di divorzio, aborto, nucleare, finanziamento pubblico dei partiti, acqua bene comune.
    Insomma, se lo risolvessero loro: parlamentari, politici, esperti.
    Anna

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    1. Argomenti a cui si può rispondere con argomenti.
      Uno sviluppo diverso e sostenibile propone sicuramente di governare processi di conversione del lavoro. Nel tempo e programmando. Nessuna delle concessioni scade nel 2016. Le prime sono nel 2017. Le ultime nel decennio 2030.
      Comunque, meno addetti agli impianti estrattivi e di lavorazione degli idrocarburi possono essere facilmente compensati da nuove attività necessarie per alimentare e manutenere fonti energetiche rinnovabili.
      Il quesito ed il tema del referendum?
      Rimando alle riflessioni di Gaetano Azzariti, post di martedì 12.
      Gianni

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  3. Perché NON votiamo.
    Che ne dite?
    m.m.

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  4. Da il CorrieredellaSera.it. Per conoscenza.
    M.

    Il referendum sulle trivellazioni in mare non è andato a segno: solo il 32,18% degli elettori italiani si è recato ai seggi e la consultazione non avrà dunque alcun effetto. Il quorum del 50% più uno dei votanti, previsto per la convalida del risultato, è stato raggiunto solo in Basilicata (e in particolare nella provincia di Matera, dove ha votato il 52,69% degli aventi diritto). In nessuna delle altre regioni che si affacciano sull’Adriatico, quelle più direttamente interessate dal tema trivelle, ci si è avvicinati all’obiettivo: la Puglia, il cui governatore Michele Emiliano è stato uno dei principali sostenitori del sì, si è fermata al 41,64%; Marche ed Emilia Romagna non sono andate rispettivamente oltre il 34,75 e il 34,29%; il Veneto si è fermato al 37,88%; il Friuli Venezia Giulia al 32,16%.
    Il risultato è stato accolto con favore dal presidente del Consiglio, Matteo Renzi, che più volte nei giorni scorsi si era espresso a favore dell’astensione, con l’obiettivo di far fallire la consultazione. «La demagogia non paga - ha detto nel corso di una conferenza stampa, pochi minuti dopo la chiusura dei seggi -. Brindo con gli 11mila lavoratori delle piattaforme che non perderanno il loro posto di lavoro». Il risultato alla fine non avrà alcun effetto pratico, ma la vittoria dei sì è stata netta. Con circa i due terzi delle sezioni scrutinate, i sì prevalgono con l’84,78% contro il 15,22% dei no.

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