giovedì 25 febbraio 2016

Vietato contestare il prof

Un gruppo, nemmeno tanto numeroso, di un centro sociale bolognese contesta la lezione del professor Angelo Panebianco, intellettuale di idee conservatrici, firma all’occhiello del Corriere della Sera. Una protesta rumorosa perché i contestatori, come in un flash mob, fanno ascoltare le registrazioni dei rumori di guerra al professore, il quale è convinto che prima o poi le armi in Libia bisogna prenderle. E siccome al prof non piace essere interrotto, abbandona l’aula.

Niente di drammatico, dunque. E invece come una sola penna, il tribunale dei giornali insorge e condanna — senza appello — l’oltraggioso comportamento dei “pericolosi estremisti”.
Moraleggiando sull’atto violento, sulla lesa maestà, sul diritto inalienabile del prof a tenere la lezione.
Ma chi esprime giudizi così tranchant su questa marginalissima vicenda, ha memoria corta.
Perché negli anni Settanta dello scorso secolo, gli interventi rumorosi alle lezioni dei “baroni” universitari erano prassi quotidiana, quasi un dovere politico. Certo, a volte si trattava di interventi molto forti — qualcuno ricorda quando ai professori Renzo De Felice e Rosario Romeo, alla facoltà di Lettere e Filosofia della Sapienza, veniva impedito più volte di fare lezione. Succedeva anche a Economia e Commercio dove insegnava Amintore Fanfani, e a Scienze Politiche, con Aldo Moro.
Eppure a volte queste irruzioni erano anche occasione di discussione e di confronto, al quale i professori più aperti non si sottraevano.
Come Alberto Asor Rosa, con intelligente partecipazione, come Lucio Colletti, con distacco e ironia, come il professor Guido Calogero, che aveva un martelletto di legno con cui richiamava al silenzio gli studenti più turbolenti e che poi regalò proprio a loro per svolgere le assemblee con minor confusione.
Non si può negare che in quella lunga fase di rivolta studentesca post-sessantotto lo scontro fosse nell’ordine delle cose. E perfino una forte contestazione contro un “barone” poteva trasformarsi in una situazione spiacevole, in alcuni casi drammatica. Tuttavia proprio il paragone con quanto accadeva allora dovrebbe far riflettere sugli eccessi del passato e sulla grande differenza con l’episodio bolognese.
Forse la società di oggi, sotto certi aspetti, è meno disposta a tollerare la trasgressione, la critica all’ordine costituito. E di fatto la protesta verso professor Panebianco diventa un insopportabile sfregio alla democrazia. Ma se non si può neppure contestare una lezione all’università, la nostra democrazia se la passa davvero maluccio. Dimenticando che chi se la passa peggio sono quei ragazzi e quelle ragazze che frequentano l’università, si laureano quando ce la fanno e sono fortunati se trovano un lavoro precario.
Naturalmente se l’episodio dovesse ripetersi, sarebbe un accanimento, non accettabile, verso Panebianco. Tuttavia ci permettiamo di dare un suggerimento al professore: la prossima volta — se ci sarà — chieda ai contestatori cosa vogliono, e li ascolti. Forse sarà un vantaggio per tutti.

Norma Rangeri, il manifesto, 25 febbraio

6 commenti:

  1. Non si possono impedire le lezioni.
    Si devono ascoltare le diverse opinioni.
    È così difficile?
    Antonio

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    1. L'Università dovrebbe essere il luogo istituzionale dello studio e dell'approfondimento delle conoscenze reciproche.
      Dovrebbe proporre tesi, antitesi e ricercare sintesi sempre più avanzate.
      Dovrebbe formare persone più consapevoli e capaci di analisi, di critica e di proposta.
      O no?
      Se siamo d'accordo, è quanto avviene?
      Gianni



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  2. Cara Norma, siamo già a due episodi.
    E impedire a qualcuno di parlare è odioso.

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    1. Impedire ad un prof di parlare non è solo odioso, è inaccettabile.
      Ieri, oggi e domani.
      Così come è inaccettabile pretendere che gli studenti si limitino ad ascoltare e ripetere le lezioni come fossero macchinette.
      O no?
      Gianni

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  3. Capisco certe preoccupazioni.
    Troppe volte alla contestazione segue l'aggressione.
    Vorrei tuttavia si alzasse altrettanta attenzione su chi parla di guerre senza cognizione di causa.
    Sarà un caso che tutti coloro che l'hanno fatta o la fanno sono più prudenti rispetto a certi giornalisti e prof che ne parlano con assurda disinvoltura?
    Anna

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    1. Due osservazioni.
      1. Contestare non è aggredire. Non deve esserlo. Mai.
      Il diritto di parola e di lezione va sempre difeso.
      2. Stiamo sicuramente sottovalutando gli effetti e le conseguenze della produzione di armi, degli interventi e delle azioni militari, dei bombardamenti unilaterali ...
      Debbono essere riconosciuti e rispettati i diritti universali dei popoli e delle persone ... Nell'interesse comune.
      O no?
      Gianni


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