lunedì 4 agosto 2014

Cambiare Verso. Un Ministero a Stella

L'ennesimo dramma che ha colpito una ricca provincia del nord est, provocando altri lutti e vittime tra cittadini in festa, ha cause profonde e lontane, nelle politiche nazionali e locali del territorio e in un uso dissennato del suolo, ma propone anche le necessarie priorità di Governo del presente.
Proprio venerdì scorso, il Presidente del Consiglio ha annunciato lo "Sblocca Italia": 10 progetti (Cantieri, Comuni, Reti, Porti, Dissesto, Burocrazia, Edilizia, Export, Bagnoli, Energia) per "fare ripartire il Paese".
Le parole più usate sono state "accelerare", "semplificare", "agevolare", "concedere", "rimuovere veti" (di comitati e/o Sovraintendenze).
"Più spazio ai privati" titola, sintetizza e interpreta Il Sole 24 Ore, quotidiano di Confindustria, presentando la conferenza stampa del Premier e dei suoi Ministri, Padoan, Lupi e Guidi.
Ecco sentendo loro o pensando al loro collega all'Ambiente, Galletti, viene da pensare che con queste politiche e questa classe dirigente Non si Cambierà Verso.
Per farlo ci vorrebbero Altre personalità e soprattutto Altre idee, pensieri, progetti, coerenze.
Un esempio?
Gian Antonio Stella, su il Corriere della Sera di oggi, scrive un interessante articolo.
L'Italia e l'Europa hanno bisogno di cultura, di coraggio e di onestà, innanzitutto intellettuale!


Genesi di una strage.
Palazzo Chigi: 1,1 miliardi per la sicurezza. Ma denunce sono state fatte da geologi, ambientalisti e giornali. E ora un'inchiesta sul peso degli errori umani.

Solo fatalità? No: era già tutto scritto, annunciato, provato da altre frane. Se non fosse caduta la «bomba d’acqua», ovvio, il tendone della sagra non sarebbe stato spazzato via. Ma la strage di Refrontolo è figlia anche (anche) degli assalti al territorio. Come l’abbattimento dei boschi per fare spazio alle vigne del «Prosecco-shire».(Nella foto, il torrente Lierza in piena al Molinetto della Croda di Refrontolo, dove sono morte 4 persone l’altra notte). Davanti alla spianata di fango, il governatore Luca Zaia ha tracciato un parallelo con il Vajont. Giusto. Ma non solo nel senso emotivo che intendeva lui. Anche allora, cantò Alberto D’Amico («Xe sta na note che ‘l Signor / ga vudo un palpito de cuor / el monte Toc se ga spacà / el lago in cielo xe rivà...») la sorte ci mise del suo. La catastrofe, però, fu ingigantita dagli errori umani.
L’inchiesta della magistratura trevisana dirà se e quanto abbiano pesato, stavolta, superficialità, sciatterie e distrazioni nella tutela di un territorio esposto al rischio idrogeologico. Ma se è vero che «del senno di poi sono piene le fosse», stavolta decine e decine di denunce sono state fatte da geologi, ambientalisti e giornali «prima». In tempi non sospetti. 
Basti leggere queste righe tratte da un articolo di Daniele Ferrazza su La tribuna di Treviso di un anno e mezzo fa: «Ad ogni inverno, con le prime piogge, in queste colline della Pedemontana si registrano smottamenti e movimenti franosi di ogni tipo. Solo nell’inverno del 2010, quando in tre giorni sono caduti 300 millimetri di pioggia, tra Borso del Grappa e Vittorio Veneto si sono aperte un centinaio di frane. In tutta la provincia di Treviso le frane censite dal progetto Iffi sono 523, ma l’elenco si allunga ogni giorno». Non è il quadro di un territorio normale. Ma fragile. 
Quale sia la situazione generale è noto. Dice lo studio «Societal landslide and flood risk in Italy» pubblicato sul «Natural Hazard and Earth System Sciences» che nel periodo 1950-2008 l’Italia ha subito 967 eventi franosi e 613 eventi alluvionali con 3.868 morti per le frane e 1226 per le alluvioni. In questo contesto, la pedemontana veneta è particolarmente esposta. E ogni intervento invasivo sull’ambiente modellato dalla natura nei millenni dovrebbe essere pensato e ripensato settanta volte sette: guai a sbagliare. Guai. 
Eppure, nel marzo 2013 il consigliere regionale leghista Andrea Bassi annunciava trionfante un «ritocco» alle norme (già insufficienti) che tutelavano i boschi: «Con l’emendamento al Bilancio regionale andremo a recuperare ad area agricola tutte quelle zone finora considerate boschive da una vetusta («vetusta»!, ndr ) legge regionale, ma che semplicemente recependo un decreto Monti possono essere piantumate e rivalutate dal punto di vista produttivo». Obiettivo: moltiplicare le «aree terrazzate vitivinicole». Di più: fino a un tetto di 10 ettari, un bosco poteva ora essere abbattuto e rimpiazzato da un vigneto senza neppure la Via, la valutazione di impatto ambientale.
Inutilmente si levò un coro: «Fermi, è rischioso!» Niente da fare. Poche settimane dopo il giornale on-line Trevisotoday titolava: «Bosco tra Refrontolo, Tarzo e Cison raso al suolo per i vigneti». E spiegava che il Corpo forestale di Valdobbiadene aveva «effettuato un’ispezione dopo aver ricevuto la segnalazione di un escursionista e albergatore di Refrontolo, che per primo ha documentato quanto stava avvenendo sulle colline del Molinetto della Croda».
Prendete nota: la zona del disastro di sabato sera. E proseguiva ricordando come l’anno prima «quaranta ettari del bosco intercomunale» fossero stati «venduti all’asta dalla Comunità Montana delle Prealpi Trevigiane ad una cantina vinicola di Valdobbiadene per 225mila euro». 
Totale: 56 centesimi al metro. Spiccioli, in confronto a quanto costano, sostiene Ferrazza, i terreni vinicoli che possono esserne ricavati: «Da queste parti il prosecchista conta più di un banchiere. Qui un metro di terra vale dagli 80 ai 120 euro (180 se nel colle di Cartizze): tre volte un terreno industriale». Va da sé, accusa l’eurodeputato pd Andrea Zanoni, deciso a presentarsi oggi in Procura con un malloppo di documenti, che «le colline della Marca non solo vedono i loro boschi rasi al suolo ma vengono rimodellate in base alle esigenze della coltivazione con degli interventi massicci di potentissime ruspe» con lo stravolgimento dei loro profili «formati da madre natura in centinaia di migliaia di anni». 
Risultato? «Il risultato di queste liberalizzazioni sono vaste aree di collina coltivate con nuovi vigneti incapaci di assorbire le quantità d’acqua che un bosco con le sue piante centenarie riesce ad assorbire; in un vigneto l’acqua assorbita, specie se si tratta delle coltivazioni di nuovo impianto, è pressoché nulla. Tutta quest’acqua non più assorbita dai boschi delle colline va pertanto a confluire nei corsi d’acqua naturali che madre natura, con milioni di anni, aveva dimensionato per quantità d’acqua di gran lunga inferiori».
Una tesi che ieri mattina pareva convincere anche la Forestale: «La particolarità del territorio caratterizzato da colline coltivate a vigneti, si tratta infatti della zona del Prosecco, è quella di non offrire grande resistenza in caso di piogge incessanti». Al pomeriggio, retromarcia: «Tutto lascia supporre che proprio la inusuale e smodata quantità di precipitazioni estremamente concentrata nel tempo e nello spazio...» Insomma, le terrazze di vigneti, peraltro bellissime, non c’entrano... 
La tesi dei «prosecchisti»: «La presenza dei vigneti è una garanzia di sicurezza in più, perché le acque sono regimentate e la manutenzione è rigorosa e costante», ha detto al Corriere del Veneto Innocente Nardi, presidente del consorzio dei produttori, «Un bosco non gestito non ha una capacità idraulica paragonabile». Ha ragione? Ha torto? Battaglie di periti in vista. 
Il paradosso, accusano gli ambientalisti, è che «l’industrializzazione del Prosecco» ha costretto due anni fa il Consorzio del Doc ordinare alle cantine di stoccare il 10% del prodotto così da ridurre l’offerta «in modo che il prezzo della bottiglia non calasse troppo»... 
«Prevedere un fenomeno così violento e improvviso era impossibile», ha spiegato ieri Luca Zaia. Vero. Non c’è meteorologo al mondo, per ora, che possa lanciare l’allarme su una «bomba d’acqua» in arrivo. Se capita, capita. Il rispetto per la natura «prima», però, è obbligatorio. Tanto più là dove le frane hanno già colpito spesso. E duramente. 

5 commenti:

  1. Per porre rimedio al dissesto idrogeologico le somme stanziate dal Governo Renzi sono nulla.
    Ricordiamo gli interventi per la messa in sicurezza delle scuole. A metà percorso quanti cantieri sono stati aperti? Quanti plessi sono interessati?
    Per Cambiare verso allo sviluppo ci vuole ben altro.
    Anna

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  2. Si, si, si.
    Tutto vero e noto.
    Ma prevenire significherebbe togliere business ad imprese o commercianti delle emergenze e delle catastrofi ...
    Si ridurrebbe la spesa pubblica e il PIL ... l'occupazione delle imprese sul mercato.
    Investire sulle manutenzioni, sulla messa in sicurezza del territorio e della salute pubblica, sul risanamento dei siti (industriali e no) a rischio, comporterebbe un diverso sviluppo con forti investimenti pubblici ... Tutto un altro film. Diverse priorità, diversa formazione, diversa ricerca, diverse industrie ...
    Si può.
    Si vuole?
    Bisogna cambiare la cultura del 90% delle classi dirigenti politiche ed imprenditoriali.
    Ma il PD ha scelto alleanze e personale dirigente.
    Gli ambientalisti che avevano scommesso su un nuovo corso, una contaminazione hanno perso. Della Seta e Ferrante fuori. Realacci a Presiedere una commissione parlamentare ... Con i Galletti a occuparsi di Ambiente e i Lupi di Infrastrutture!
    Questo è Renzi.
    Mario C.

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    Risposte
    1. E le Stelle stanno a guardare!
      Una o Cinque per Lui pari sono.
      Gufo Gian Antonio, e gufi i grillini.
      È la notte della Repubblica.
      Con Re Giorgio. L'ex Cavalier Silvio e il Principe Matteo. Più le ancelle Maria Elena, Marianna, Federica, ...
      Silvia Elisa Laura

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    2. ... Gufi anche Vendola, Fratoianni e De Petris.
      Non dimenticatelo.
      Fiorella

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  3. 2009 Messina e Gianpilieri.
    2011 Genova e Cinque Terre.
    2012 Grosseto e Orbetello.
    2013 Olbia ...
    Se si vuole prevenire e risparmiare, occorre investire in manutenzione e difesa del suolo!
    Ciao!

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