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In Marcia da Marzabotto a Monte Sole per Salvare Gaza e fermare Israele! Ed ora, Roma ... |
Chi ha autorizzato Israele di Bibi Netanyahu e gli USA di Donald Trump a minacciare, aggredire, decidere sulla vita e sulla morte di persone, popoli e stati del Medio Oriente? Quasi fossero loro i Giudici ed i Poliziotti del Pianeta. Bombardare città, uccidere vittime innocenti, compiere stragi non è un crimine solo se a compierlo è Putin e l'esercito russo. I Diritti ed i Doveri sono universali. L'Italia e l'Europa debbono abbandonare ogni sudditanza e dipendenza ed operare con metri e misure analoghi, con idee chiare e politiche coerenti, con determinazione e rapidità.
Nessuna alleanza politica e/o militare giustifica la violazione della Carta delle Nazioni Unite, i Principi generali dell'Unione Europea e della Costituzione italiana.
Ora più che mai i cittadini del mondo debbono mobilitarsi per fare rispettare regole c beni comuni condivisi, messi in discussione da uomini e donne, classi dirigenti o dominanti irresponsabili.
La soluzione delle controversie internazionali non si risolve con la legge del più forte, con il riarmo e l'arroganza, con le guerre e i genocidi. Questo è il tempo di investire sul disarmo, sul dialogo e sulla cooperazione per risolvere ingiustizie sociali profondissime, contraddizioni esplosive tra paesi e continenti, sfruttamento insostenibile di risorse naturali collettive e intergenerazionali.
Ancora una volta debbono saldarsi pensiero globale, coerenze ed azioni locali.
Ecco alcuni contributi utili proposti da Elena Basile, Linda Maggiori, Alberto Negri e Francesco Vignarca. Con testimonianze e scadenze nazionali proposte da persone e da soggetti protagoniste/i di questo difficile momento.
Allarme SIPRI. Diplomazia debole, cresce la minaccia nucleare
di Francesco Vignarca
«L’era della riduzione del numero di armi nucleari nel mondo, che durava dalla fine della guerra fredda, sta volgendo al termine» ha dichiarato amaramente Hans Kristensen, massimo esperto mondiale di arsenali nucleari globali per la Federation of American Scientists i cui dati (elaborati nella prima parte del 2025) sono appena stati ripubblicati per l’Annuario del Sipri (International Peace Research Institute).
La stima è di 12.241 testate nucleari totali, 9.614 delle quali si trovano in hangar per un uso solo potenziale mentre 3.912 sono dispiegate con missili e aerei e dunque pronte all’uso (2.100 in particolare si trovano in stato di massima allerta operativa su missili balistici). Quasi tutte appartenenti a Russia o Stati Uniti, anche se ormai pure la Cina ha la capacità di mantenere testate su missili in tempo di pace: «Vediamo ormai una chiara tendenza alla crescita degli arsenali nucleari, all’inasprimento della retorica nucleare e all’abbandono degli accordi sul controllo degli armamenti» ribadisce Kristensen.
Russia e Usa possiedono circa il 90% del totale con un numero di testate utilizzabili rimasto relativamente stabile anche se entrambi stanno attuando ampi programmi di modernizzazione che potrebbero aumentare dimensioni e differenziazione dei loro arsenali in futuro. Soprattutto se non verrà rinnovato l’accordo per la limitazione sui missili strategici (il New Start) in scadenza nel febbraio 2026. La Cina dispone di almeno 600 testate nucleari, con la più rapida crescita del lotto (circa 100 nuove testate all’anno dal 2023) mentre la Francia (290) ha proseguito i suoi programmi per lo sviluppo di nuovi lanciatori e l’aggiornamento dei sistemi esistenti.
Il Regno Unito per ora ha numeri stabili, ma le dichiarazioni sia politiche che militari fanno pensare a un prossimo aumento rispetto alle 225 testate attuali. L’India (170 testate circa) dovrebbe avere ampliato con nuovi sistemi di lancio il suo arsenale nucleare, così come il Pakistan (170) che inoltre accumula ulteriore materiale fissile. Infine, la Corea del Nord (50 bombe) continua a dare priorità al suo programma nucleare militare come elemento centrale della sua strategia di sicurezza nazionale. La tendenza alla modernizzazione è confermata da un recente Report della International Campaign to Abolish Nuclear Weapons (Ican, premio Nobel per la Pace 2017) che evidenza una crescita dell’11% in un anno del costo totale degli arsenali nucleari globali. Tra i quali anche quello di Israele, che non ammette pubblicamente di possedere circa 90 testate ma nel 2024 ha condotto un test di un sistema di propulsione missilistica che potrebbe essere collegato alla famiglia di missili balistici a capacità nucleare Jericho potenziando nel contempo il reattore per la produzione di plutonio a Dimona.
Ma se questa è la stima della situazione reale per gli arsenali, perché invece l’attenzione del mondo si concentra su una ipotetica (in verità molto lontana) capacità nucleare dell’Iran? Esperti internazionali e la stessa Ican hanno sottolineato come la recente pericolosa escalation da parte di uno Stato dotato di armi nucleari abbia minato le prospettive di successo dei colloqui sulla limitazione del programma iraniano rischiando di scatenare una guerra più ampia che minaccerà ulteriormente la stabilità della regione, del mondo e le vite di troppi civili. Al momento sia la Aiea che gli stessi Stati uniti non ritengono che l’Iran abbia in corso un programma di armamento nucleare.
Contrariamente agli obiettivi dichiarati da Israele, cioè la prevenzione di un arsenale in mano a Tehran, i bombardamenti degli ultimi giorni potrebbero quindi rafforzare le voci che in Iran sostengono la necessità di un tale passo. Arrivati a questo livello di tensione, anche se le azioni di Israele e Stati uniti sembrano proprio voler portare in un’altra direzione, ripristinare l’accordo sul nucleare del 2015 (il Jcpoa) o negoziarne uno simile per ridurre il rischio che l’Iran sviluppi armi nucleari potrebbe configurare un passo positivo, così come la creazione in Medio Oriente di una zona libera da armi di distruzione di massa che includa lo smantellamento verificabile e permanente delle capacità nucleari di tutti i Paesi di quella regione.
Ma la vera soluzione del problema si avrà solo quando tutti i Paesi riconosceranno che mettere sistemi d’arma in grado di distruggere l’Umanità alla base delle proprie dottrine di sicurezza non fa altro che rendere il mondo meno sicuro. Perciò occorre mettere in prospettiva una totale eliminazione, come prevede il Trattato sulla proibizione delle armi nucleari (Tpnw) del 2017 che offre un percorso concreto per cancellare queste armi disumane una volta per tutte, in modo multilaterale e verificato.
(il manifesto, 17 giugno 2025)
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Il fumo si alza su Teheran dopo un bombardamento israeliano (foto Ansa) |
Attacco israeliano all'Iran, il mito del cambio di regime di Alberto Negri
Sulla guerra Iran-Israele (e Stati Uniti) cominciano a circolare le notizie più disparate, ma forse anche fondate, tra queste – come sostengono settori dell’intelligence americana – che l’Iran è lontano anni da una bomba nucleare. Ma ci sono anche mitologie ricorrenti come quella del cambio di regime come vorrebbe il premier israeliano Netanyahu.
Il quale per altro non è chiaro se abbia i mezzi per farlo.
Appare complicato rovesciare un regime solo con attacchi aerei, diciamo che Israele può scatenare il caos in un Paese che è cinque volte l’Italia con 90 milioni di abitanti, confina con altri sette Paesi tra cui un membro Nato (Turchia), un altro a enorme instabilità (Afghanistan). Si affaccia su Caspio e Golfo, dispone delle seconde riserve al mondo di gas e le quarte di petrolio. Un bel boccone, forse un po’ troppo per il governo estremista e messianico di Israele. Come sostiene e scrive da tempo Alastair Crooke, diplomatico e agente dell’MI-6 britannico, il vero e forse unico obiettivo strategico di Usa e Israele è quello di portare il caos in Medio Oriente in modo che lo stato ebraico rimanga l’incontrastata superpotenza regionale.
I precedenti sono chiari. Negli ultimi trent’anni i cambi di regime imposti dall’esterno hanno prodotto disastri clamorosi. Basti pensare all’Afghanistan nel 2001 con la fuga da Kabul venti anni dopo e il ritorno dei talebani; all’Iraq nel 2003 sprofondato nella guerra civile e nel jihadismo; alla Libia di Gheddafi nel 2011, fuori controllo e sempre divisa. Per contrasto in Siria, a dicembre, sono state le forze locali a far cadere Bashar Assad, per quanto sostenute dall’estero.
Possiamo detestare quanto vogliamo il regime degli ayatollah ma pensare, come scrive Pierre Haski su Internazionale, che la caduta di quello di Teheran possa creare progresso e libertà significa essere ingenui e confondere i desideri con la realtà. Un crollo del regime sotto i colpi dell’esercito israeliano non farebbe altro che alimentare un caos da cui potrebbero emergere forze oppressive e antidemocratiche.
MA GLI OCCIDENTALI ancora un volta sono pronti ad accettare la narrativa di un premier israeliano che scatena guerre per tenersi in sella e distrarre i media da Gaza dove l’esercito di Tel Aviv continua uccidere centinaia di palestinesi. Ieri al G7 il cancelliere tedesco Friedrich Merz ha detto: «Israele sta facendo il lavoro sporco per tutti noi in Iran». Come a Gaza, verrebbe da aggiungere.
Tutto questo non può indurci a ignorare i fattori interni di destabilizzazione dell’Iran e il sempre maggiore scollamento tra il regime e la popolazione, testimoniato dalle manifestazioni di piazza cominciate in maniera diffusa con il movimento “Donne, vita, libertà” nato nel 2022 dopo la morte della giovane Mahsa Amini, avvenuta mentre si trovava nelle mani della polizia per non aver indossato il velo nella maniera corretta.
E proprio nel tentativo di riprendere almeno una parte del consenso che il regime, dopo la misteriosa morte del presidente Raisi in un incidente di elicottero, ha fatto eleggere l’anno scorso il riformista Pezeshkian al posto di un fondamentalista ultra-conservatore. Ma anche questo non è bastato a riconciliare popolazione e regime. Ancora un volta si è registrato un calo della partecipazione con circa il 40% dei votanti: la legittimità della repubblica islamica fondata nel 1979 con la rivoluzione di Khomeini è in discussione per le pesanti disillusioni sul sistema.
PROPRIO PER QUESTO il regime aveva serrato i ranghi. Trovare un successore dell’attuale Guida Suprema Khamenei era già apparsa prima di questa guerra una questione di vitale importanza per la sopravvivenza della repubblica islamica. Per questo l’ala religiosa del potere si poteva appoggiare soltanto sugli onnipresenti Pasdaran, le Guardie della rivoluzione da anni impegnati sui fronti di guerra, dall’Iraq alla Siria, dal Libano allo Yemen. Nati dal movimento di massa della rivoluzione del ’79 e dalla necessita di sostenere l’attacco del 1980 portato dall’Iraq di Saddam Hussein, sono diventati negli ultimi decenni i veri padroni del Paese e controllano oltre all’apparato militare anche le leve economiche. Ma non basta la loro potenza a tenere in piedi la repubblica islamica e soprattutto a garantirne la legittimità popolare.
L’alone dell’utopia rivoluzionaria con cui il turbante dei mullah si era sostituito alla corona imperiale è svanito da un pezzo. Il sistema – così almeno avrebbe voluto Khomeini – doveva andare a beneficio dei mostazafin, letteralmente i senza scarpe, i diseredati e gli oppressi in nome dei quali era stata fatta la rivoluzione. In realtà religiosi, ex rivoluzionari, Pasdaran e uomini d’affari, si sono impadroniti del business e dell’economia di un Paese con enormi riserve di gas e petrolio.
NON SOLO I POVERI oggi sono sempre più poveri ma anche la classe media è in crisi. E poi ci sono le incognite sulla generazione X iraniana che abbiamo visto scendere in piazza, giovani che non hanno partecipato ovviamente né alla rivoluzione khomeinista del ‘79 né alla guerra Iran-Iraq (1980-1988). Gli iraniani sono più di 90 milioni, di questi oltre 40 milioni sono nati dopo la rivoluzione e la metà (fonte Undp) sono tra i 10 e i 24 anni. Eppure finora il sistema statuale ha retto perché elargisce la metà degli stipendi mentre il welfare iraniano, che insieme ai prezzi sussidiati valeva la metà del Pil, nonostante i tagli è ancora in piedi. C’è un Iran che teme il regime ma forse teme ancora di più l’anarchia e il caos che ha investito il confinante Iraq. Mai trarre facili conclusioni sull’Iran, erede di un impero, di una cultura antica e di una delle grandi rivoluzioni della storia.
(il manifesto, 18 giugno 2025)
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"Perché l'attacco di Israele all'Iran conferma la violazione delle norme più evidenti del diritto internazionale e lo slittamento verso forme di governo oligarchiche" ... Elena Basile, diplomatica e ambasciatrice dell'Italia, su il Fatto Quotidiano (15 giugno 2025) |
Gli affari delle agenzie di spionaggio israeliane in Italia. Il caso di Cgi Group e di Olidata di Linda Maggiori
Mentre continua il feroce massacro dei civili a Gaza, violando ogni diritto umanitario e internazionale, gli affari delle aziende di cyber security israeliane vanno a gonfie vele e mettono radici in Italia. Non solo la Tekapp, azienda modenese con esperti a Tel Aviv, recentemente contestata dagli attivisti per i suoi legami (fino a pochi giorni fa ben evidenti nel sito) con la divisione 8200 dell’esercito israeliano, la divisione che si occupa di sorveglianza, controllo e targeting degli obiettivi e che tra le varie cose è stata accusata (insieme al Mossad) dell’esplosione dei cerca persone in Libano.
Un altro esempio piuttosto inquietante è l’azienda israeliana Cgi Group che a inizio 2025 ha aperto una nuova sede a Roma, dopo la principale a Tel Aviv.
Per capire chi è Cgi Group, basta guardare il suo sito web: opera dal 1989 nei settori della consulenza, cyber security, raccolta di informazioni e intelligence a livello globale, impiegando ex alti funzionari delle unità d’élite dell’Idf (Israel Defence Force), dei servizi di sicurezza e del Mossad (servizio segreto israeliano). Sempre secondo le biografie riportate nel sito, l’amministratore delegato dell’azienda, Zvika Nave, ha ricoperto numerosi incarichi riservati nell’esercito israeliano, mentre il presidente, Yacov Perry, è stato direttore dello Shin Bet tra il 1988 e il 1995. Lo Shin Bet per chi non lo conoscesse, è il servizio di sicurezza interna israeliano, accusato di svariati crimini contro i palestinesi, tra cui torture dei prigionieri, arresti e uccisioni arbitrarie. Perry è stato anche presidente della compagnia telefonica Cellcom e del Consiglio di amministrazione della Banca Mizrahi Tefahot, nonché ministro della Tecnologia nel governo di Benjamin Netanyahu, da sempre molto vicino al premier. Sono famose le sue parole dopo il 7 ottobre 2023, ad una TV italiana: “elimineremo definitivamente la striscia di Gaza”.
La filiale italiana di Cgi Group è guidata da Oren Ziv che ha lavorato presso le ambasciate israeliane a Roma e Nuova Delhi e per fondi d’investimento multinazionali.
Cgi Group si vanta di avere tra i propri clienti in Israele la Teva, nota azienda farmaceutica attualmente oggetto di una campagna di boicottaggio da parte del movimento BDS, perché i suoi profitti sfruttano la discriminazione e il regime di apartheid nei territori palestinesi occupati.
Altro importante cliente di Cgi Group è proprio Netanyahu, primo ministro israeliano e su cui pende un mandato di cattura da parte della Corte penale internazionale per crimini contro l’umanità. Secondo il quotidiano israeliano Haaretz, già durante la campagna elettorale del 2020 Netanyahu avrebbe ingaggiato Cgi Group per cercare materiale compromettente sul rivale politico Benny Gantz. Altro caso, riportato da Globes, quotidiano economico israeliano, ha visto collaborare il capo della Cgi Group Yacov Perry con l’ex capo del Mossad, Danny Yatom, nell’organizzare un traffico di armi (poi fallito) tra Bulgaria e Congo, per conto di un ricco cliente israeliano, Gad Zeevi.
In Italia, la Cgi Group annovera tra i suoi primi clienti Cristiano Rufini, attualmente presidente di Olidata Spa. L’azienda, fondata a Cesena e con sede a Roma, opera da tempo nel mercato informatico e si è aggiudicata vari appalti pubblici nel campo della cyber security, gestione dati, intelligenza artificiale e sviluppo software. “Il mandato affidato da Rufini a Cgi Group è quello di rafforzare l’immagine pubblica dell’azienda e giocare la partita del rilancio senza esitazioni” si legge in un comunicato dell’agenzia israeliana.
Olidata e il suo presidente, lo scorso autunno, sono infatti finiti indagati nella maxi inchiesta della Procura di Roma su vari appalti di informatica e telecomunicazioni banditi da Sogei (società di informatica controllata al 100% dal Ministero dell’economia e delle finanze), dal ministero dell’Interno, dal ministero della Difesa e dallo Stato maggiore della difesa. A metà ottobre 2024 il direttore generale di Sogei è stato arrestato in flagranza di reato, mentre riceveva una mazzetta da un imprenditore, l’inchiesta si è poi ampliata coinvolgendo 18 persone fisiche e 14 società indagate, tra cui Cristiano Rufini e Olidata. Contestati i reati contro la pubblica amministrazione, corruzione e turbativa d’asta.
Quando l’azienda è stata perquisita, Cristiano Rufini si è dimesso “per tutelare la serenità aziendale”. Salvo poi tornare eletto nell’aprile 2025 sulla base di “positive verifiche” e misure di “selfcleaning” interne all’azienda, anche se l’inchiesta giudiziale è ancora in corso. Rufini è anche il maggior azionista dell’azienda (quotata in Borsa) e detiene direttamente il 4,63% del capitale sociale, e indirettamente (tramite Antarees S.r.l) il 62,2 %.
A febbraio 2025 Olidata si è aggiudicata una gara indetta da Consip (la centrale acquisti della pubblica amministrazione) per un valore di 20 milioni, per la fornitura di software alle pubbliche amministrazioni, su “una delle piattaforme di analisi più complete e innovative, corredata di moduli di intelligenza artificiale e analisi dati avanzata“. Tra gli altri bandi già vinti da Olidata, ci sono l’accordo quadro (2023-2026) con la Snam per la fornitura di prodotti software tramite la controllata Sferanet e la gara dal valore di 3,6 milioni di euro per la piattaforma di gestione dei dati di Cassa Depositi e Prestiti, aggiudicata nel 2023 e che durerà fino al 2026.
Oltre ai risvolti giudiziari della vicenda, ancora alle sue fasi iniziali, dovrebbe preoccupare (a livello etico e non solo) il fatto che il presidente di un’azienda che fornisce software e programmi di analisi dati alle pubbliche amministrazioni, sia il cliente di un’agenzia di spionaggio legata all’esercito e ai servizi segreti israeliani. Abbiamo chiesto da varie settimane a Olidata di commentare il legame con la Cgi Group, ma non ci hanno mai risposto.
Cgi Group non è certamente l’unica azienda di cyber security e di spionaggio che esporta la “competenza” made in Israel all’estero. Come spiega a Pressenza il giornalista Antony Loewenstein, autore del libro Laboratorio Palestina: “sfruttando il marchio Idf (Israel Defence Force, esercito israeliano), le aziende di sicurezza israeliane dominano a livello globale dopo aver testato metodi di sorveglianza e spionaggio in Palestina. L’Italia, come innumerevoli altri Paesi, è da tempo interessata all’acquisto di armi e strumenti di sorveglianza ritenuti efficaci contro i nemici percepiti. È anche un modo solido per mostrare solidarietà con lo Stato ebraico, un baluardo del colonialismo occidentale nel cuore del Medio Oriente”.
(Pressenza, 27 maggio 2025)
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Il manifesto della Marcia nazionale da Marzabotto a Monte Sole per la Palestina, per la pace del 15 giugno ... |
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Quel treno per ... Marzabotto
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Una ragazza con la bandiera della Palestina ...
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Due ragazze con kefiah e bandiera arcobaleno ...
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Al Parco Peppino Impastato le interviste alla Sindaca, Valentina Cuppi ...
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... a Maurizio Landini
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Sotto il sole un attivista con maglietta Cessate il fuoco, ora! |
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Una attivista con una imperdibile maglietta: simbolo palestinese e la scritta Sebben che siamo donne paura non abbiamo, l'otto tutto l'anno ... |
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Uno striscione: Si, è genocidio ...
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In Marcia, sotto il sole nel fondovalle del fiume Reno ...
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Ai lati, una vegetazione spontanea ...
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Avanti, mano nella mano ...
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In cammino Alessandro Bergonzoni e Paola Caridi ...
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Si procede, Pian di Venola e oltre ...
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Tra campi coltivati ...
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... e auto scatti
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Il lungo cammino sull'asfalto incandescente ...
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Attraverso il Ponte sul Reno intitolato allo storico Sindaco di Marzabotto Dante Cruicchi, "artigiano della pace" ... |
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Uno striscione appeso alla ringhiera del Ponte ...
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La strada inizia a salire ...
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Lungo i tornanti, tra case e tornanti ...
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Pluralismo ... anche sui salutari copricapo
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Partigiani di ogni età ... (ed una bandiera ANPI della sezione di Cinisello Balsamo)
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Si sale ... (in controtendenza)
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Con e senza bastoncini ...
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Un cappellino firmato ...
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Si continua a salire (e a sudare) ...
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Fanno compagnia strumenti musicali, suono e canto ... |
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Il cartello "Monte Sole" ...
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Il bandierone raccoglie i colori nazionali e della pace ...
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Verso il Centro visite il Poggiolo ...
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"Non c'è mai una ragione per fare la guerra"!
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Su un lenzuolo bianco con le impronte di mani insanguinate la scritta - denuncia "Basta armi" ...
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E in cima"Genocidio, complice chi non ferma Israele" ...
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Sul prato, sotto il sole infuocato, una donna con kefiah e bandiera palestinese, ad alcune decine di metri manifestanti si riparano ...
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Nonostante la temperatura torrida e l'umidità il prato davanti al palco si anima ... Ma tenti restano al riparo di alberi e boschetti
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Una grande bandiera con i colori palestinesi ...
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Tra sole ed ombra ...
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Tra alberi e tende, più o meno vestiti ...
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Tra coloro che hanno accettato la sfida climatica ...
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Ragazze palestinesi ed arabe alzano la grande bandiera ... |
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Bandiere al vento salutano i primi interventi dal palco dei Sindaci Cuppi e Lepore, di esponenti di Emergency e Comitato organizzatore della Perugia - Assisi, personalità della Cultura e rappresentanti di associazioni che hanno promosso la Marcia ...
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L'intervento di Tomaso Montanari, Rettore dell'Università per stranieri di Siena ...
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Partecipanti, foto e filmati ... (vedi qua) |
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Ripari occasionali ...
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... e abbronzature (militanti) |
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C'è chi fa di necessità virtù ...
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Donna con maglietta "Chi manda le armi ripudia la pace" ...
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Il lato B: "L'Italia ripudia la guerra"
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100% donne ...
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L'intervento di Giulio Marcon, portavoce di Sbilanciamoci!
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Il Presidente nazionale di ANPI, Gianfranco Pagliarulo ...
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Dialogo tra un frate e un attivista ...
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Interviene Paola Caridi ...
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"Ancora tuona il cannone, ancora non è contenta di sangue la belva umana" ...
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Interviene Suor Teresa della Comunità della Piccola Annunziata, fondata da Don Giuseppe Dossetti ...
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Due donne e un piccolo ...
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Riprende il cammino, verso Marzabotto ... e Roma (sabato 21 giugno)
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Un manifesto per la proiezione a Ozzano dell'Emilia di "Berlinguer a love story", un film scritto e diretto da Pierpaolo Farina. Lungimiranza ed attualità di valori e lotte del Segretario del PCI: questione palestinese e critica al capitalismo e all'imperialismo; questione democratica e cultura dell'austerità; pace, cooperazione e nuovo ordine economico internazionale ...
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Nel comune della Città Metropolitana bolognese una lezione di storia italiana del secolo scorso ed una occasione per riflettere sulle sfide del presente e del futuro: per oltre due ore e mezze persone in piedi e generazioni a confronto ...
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Pensiero ed azione, globale e locale, da Marzabotto a Bologna, a Roma: sabato 21 giugno NO guerra, No riarmo, fermiamo genocidio ed autoritarismo, Per Gaza ... |
G7, Europa? Mi sa che viviamo la fine di un'epoca.
RispondiEliminaAvverto un cambio di fase. Forse è il caso di prenderne atto.
DG
Per fermare le guerre non bastano i diecimila di Monte Sole, ne' i centomila di Roma..... solo un movimento di milioni di persone puo' incidere in America ed Europa!!!!!!
RispondiEliminaBiBi
Bene la Marzabotto - Monte Sole.
RispondiEliminaOra Roma.
“Siamo una marea di persone e organizzazioni che da sempre e ogni giorno lottano per disarmare il nostro Paese, l’Europa e il mondo, per fermare tutte le guerre e i conflitti, le occupazioni, le ingiustizie, lo sfruttamento, il patriarcato, la repressione, per la democrazia, il lavoro, i diritti, la giustizia sociale e climatica e la pace. Ciascuno a suo modo, ciascuno con i suoi strumenti. Ma questo è un momento troppo tragico e pericoloso: per impedire la guerra globale, abbiamo bisogno di unire le forze, mettere insieme ciò che ci unisce, riconoscerci gli uni con gli altri e lottare insieme”.
Lo scrivono i promotori della manifestazione romana del 21 giugno. Mi pare molto incoraggiante.
Proviamoci.
Anna
Per domani a Roma oltre a Porta San Paolo ci si concentra alle 14 anche a Piazza Vittorio. Due manifestazioni in un sol giorno. Se ho capito c'è di mezzo la NATO. Chi la considera priorità (l'uscita, intendo) e chi no. Mi pare incomprensibile in questo mondo. Ma tant'è.
RispondiEliminaL.
L'articolo di Linda Maggiori suggerisce spunti per il "che fare". Almeno a chi si propone un mondo migliore: meno affari con / per gli imprenditori di armi e conversione delle industrie belliche e del suo ramificato "indotto".
RispondiEliminaPer questo decisiva è l'iniziativa dei lavoratori e dei sindacati metalmeccanici, che ancora non sono della partita. Salvo rarissime eccezioni.
E a proposito dei quali voglio esprimere un plauso per l'azione che ieri ha portato diecimila tute blu a manifestare sulla tangenziale di Bologna in occasione della lotta per il rinnovo del contratto.
Una occasione per costruire una alleanza per cambiare la qualità dello sviluppo? Sarebbe un passo importante per la pace, per l'ambiente, per la giustizia sociale.
Ciao!