giovedì 19 gennaio 2017

Non è colpa del destino

«Oltre a ciò l’inverno fu rigidissimo e seguirono grande carestia, mortalità di uomini, pestilenza di animali...», scrive fra Jacopo Filippo Foresti del sisma pauroso del gennaio 1117. E ancora gelo e nevicate si accanirono sugli scampati al grappolo di terremoti del gennaio 1703 in Abruzzo. E poi su quelli del gennaio 1915 nella Marsica. La neve, scrisse il Corriere, «ha come voluto collaborare con il terremoto schiacciando tetti già indeboliti...».
Non bastasse, calarono i lupi aggirandosi «con particolare insistenza intorno alle macerie». Solo questi racconti riemersi dal passato danno la dimensione epocale di quanto è successo e sta succedendo sul nostro Appennino. Strade bloccate, sfollati con il morale a pezzi e le lacrime gelate sulle guance, soccorsi nel caos, allarmi in un’area sempre più vasta, sfoghi di rabbia contro i ritardi, animali sgomenti che vagano nel nulla... Non ci sono più i lupi. Ma il senso d’impotenza e di un destino ineluttabile che prendeva alla gola i nostri antenati è rimasto intatto. È vero, bufere di neve così violente sono una fatalità. Lanciata una maledizione a Chione, la dea della neve, però, c’è tutto il resto. E lì tirare in ballo il Fato non ha senso. 

A Pieve Torina in provincia di Macerata la neve ha tirato giù una tensostruttura provvisoria adibita ad asilo. Non c’erano bambini, per fortuna. Ma prima di montarla per metterci la scuola d’infanzia si erano presi la briga di controllare, ad esempio in un saggio di Vincenzo Romeo di Meteomont, il Servizio nazionale di previsione neve e valanghe, le serie storiche dove si spiega che sull’Appennino centro-meridionale nevica, e tanto, per una media di 25 giorni e mezzo a inverno? Fino alle otto di sera sono state registrate, oltre alle quattro scosse di magnitudo 5 o superiore che hanno risvegliato i peggiori incubi, altre 257 botte più o meno violente superiori a 3. E migliaia di minori. E lì neppure, sull’immediato, è possibile far niente: la natura decide, la natura fa. Ma se non si può prevedere «quando» arriveranno nuovi terremoti, gli studi sul nostro passato e le strumentazioni di oggi sono però in grado di ipotizzare «dove» arriveranno. Il sismologo dell’Ingv Gianluca Valensise, per dire, aveva sottolineato due mesi fa: «A sud-est di Amatrice e fino all’Aquila c’è un bel pezzo di crosta terrestre che non ha rilasciato eventi significativi». Insomma, presto o tardi… Qualcuno, allora, avrà toccato ferro. Così come sono ancora troppi quelli che preferiscono evitare certi temi: «Hiiiii! Non portiamo iella». «Non ne possiamo più della cultura della “sfiga”. Basta. È indegna di noi. Della nostra intelligenza. Della nostra storia», è sbottato recentemente Renzo Piano, chiamato a coordinare il progetto Casa Italia, «La natura non è buona o cattiva: se ne infischia di noi. Inutile chiamarla in causa. I terremoti ci sono sempre stati e sempre ci saranno. Ed è stupido fingere che non sia così». 


Parole sante. Che dovrebbero spingere un popolo serio a farsi carico del problema. Giorno dopo giorno. Per anni. Anche nei giorni di fiacca. Senza farsi distrarre via via dai guai di Virginia Raggi, dal voto referendario, dall’elezione di Trump… Tutte cose serie, per carità. Anche in Giappone seguono i fatti del giorno. Ma non perdono mai di vista il tema vitale: la fragilità davanti al rischio sismico. Esattamente due mesi fa c’è stato un terremoto di magnitudo 7,4. Titoli sui giornali: «Solo feriti leggeri». Grazie a decenni di prevenzione. Cosa sarebbe successo, da noi? Sull’emergenza siamo bravissimi. E anche stavolta, grazie agli sforzi e alla generosità della protezione civile, dei militari, dei volontari, stiamo dimostrando come il Paese sappia reagire. È il passo lungo che ci manca. E ci mancherà finché, ad ogni emergenza, ci assolveremo: «Mai successo prima!» Non è vero. Il grappolo di terremoti di tre secoli fa nella stessa area di oggi, come dimostra uno studio di Emanuela Guidoboni e lo stesso Valensise, cominciò nel settembre 1702 e si esaurì, dopo 23 scosse superiori a 6,5 gradi della scala Mercalli (di cui una dell’undicesimo grado!), solo a novembre del 1703. «In questo loco si sta in un inferno aperto sentendosi duecento e trecento volte tra giorno e notte botte come artiglierie», dice una lettera inviata dall’Aquila a Rieti, «e in appresso sono de terremoti grossissimi che ci fan arricciare li capelli». Meglio saperlo per sfidare il problema o meglio toccare il cornetto di corallo?


Gian Antonio Stella, Corriere della Sera, giovedì 19 gennaio

8 commenti:

  1. Condizioni estreme. Ma era davvero tutto imprevedibile?
    s.

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    1. Purtroppo no.
      Molto era prevedibile.
      In quasi tutta Italia la terra può tremare. Oggi, domani o dopodomani.
      In Appennino d'inverno nevica. Anche molto. Nevicherà di nuovo.
      Quasi mai uccidono gli eventi, quasi sempre uccide l'imprevidenza e l'impreparazione degli uomini.
      Il problema non è tanto quello di qualificare la protezione civile.
      L'urgenza è investire nella prevenzione!
      Gianni

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  2. È chiaro che non è colpa del destino.
    Se è difficile prevedere i terremoti, si possono però costruire fabbriche, case ed alberghi più sicuri ...
    Ma non si dica che sorprendono le nevicate copiose in Appennino. In Abruzzo, in Umbria, in Emilia ... Oppure le valanghe e le frane.
    E allora dipende dalle attenzioni nostre e di chi governa o amministra.
    C'è chi ha fatto scelte sbagliate.
    Sono mancati spazzaneve, turbine, pale ...
    Dirlo non significa volere polemizzare, ma cambiare le scelte quotidiane dei bilanci degli Enti, per evitare che si ripetano catastrofi come quelle che ancora una volta dobbiamo vivere.
    Ciao!

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  3. Polemiche?
    Mancano le ruspe e il carburante!
    Nik

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    1. ... e ancora, oggi, l'energia elettrica (gestita da grandi e potenti multinazionali).
      Gianni

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  4. "Fantastico", "un bagno in piscina sotto la neve" ...
    Sono i commenti che si possono ancora leggere su Tripadvaisor dell'albergo spazzato via dalla slavina sotto il Gran sasso.
    C'è da chiedersi perché una struttura a **** non fosse attrezzata per le emergenze.
    Povera Italia!

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    1. ... chi l'ha autorizzato, perché in quella posizione, con quali eventuali prescrizioni per la sicurezza.
      Ma, al di là delle responsabilità passate, concentriamoci sulla prevenzione. Su questo occorre investire, subito e per i prossimi 20 anni.
      Gianni

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