Il Ministro del Governo Draghi, Roberto Cingolani, deve fronteggiare critiche argomentate ... |
Prima o poi dovremo tutti fare i conti con quanto prodotto o mancato dal Governo Draghi e da un personaggio a suo tempo risultato decisivo (o come tale presentato da molti) per la nascita e la vita della amplissima maggioranza che ancora lo sostiene: Roberto Cingolani, proposto con grande enfasi a capo del nuovo Ministero alla Transizione Ecologica. A distanza di 6 mesi dal suo insediamento molte aspettative sono andate deluse e le critiche appaiono sempre più argomentate e di merito, per contenuti e per soggetti che le propongono e che vengono chiamati in causa.
Eccone alcuni tra i tanti emersi in questi primi giorni di settembre.
Finzione ecologica. La transizione di Cingolani ... Hic sunt leones.
Diversamente dall’uso antico che indicava regioni sconosciute, presumibilmente abitate da leoni, la frase hic sunt leones viene oggi adoperata per alludere ad un pericolo certo ma di natura non precisata, come rischia di presentarsi la questione della transizione ecologica dopo le ultime affermazioni del Ministro Cingolani. Rischio duplice perché mette in discussione sia la credibilità di un ministro (e questo in Italia non sarebbe una novità) che vanta un profilo da “scienziato”, sia la consistenza della posta che è in gioco in questa fase.
La genericità delle allusioni fatte dal ministro alle nuove tecnologie è imperdonabile (almeno per un fisico quale lui è): dei 72 progetti di SMR (piccoli reattori modulari) censiti dall’IAEA nello yearbook del 2020, molti sono in fase di progettazione concettuale, mentre gli altri non hanno mai superato la fase del prototipo.
Di mio posso aggiungere che 7-8 di questi progetti li esaminammo in Enel 40 anni fa, tanto è il tempo trascorso dalle promesse iniziali di certe innovazioni che lo stesso ministro non può che annoverare, pudicamente, come opzioni “non ancora mature”.
Del resto, e una volta per tutte, delle tecnologie emerse nel secolo scorso, quella nucleare mostra di non aver progredito affatto in termini di rendimento: dopo 70 anni dall’avvio dell’atomo di pace i rendimenti di una centrale elettro-nucleare sono passati dal 31% al 33%, mentre la generazione elettrica da fonti convenzionali è passata dal 33 % ad oltre il 55%; perfino l’odiato motore a combustione interna ha fatto passi da gigante se appena si confrontano i consumi specifici di un’automobile odierna con quelle di 50-60 anni fa.
Sentire poi un ministro che dice “se a un certo momento si verifica che i chili di rifiuto radioattivo sono pochissimi, la sicurezza elevata e il costo basso, è da folli non considerare questa tecnologia” è veramente imbarazzante.
Quale momento, ministro? Quanto è da considerare “elevata” la sicurezza e quanto basso il costo e quanto, soprattutto, valgono i “pochissimi” chili di rifiuti radioattivi, domanda chiave che la stessa IAEA, nel citato rapporto, rivolge ai progettisti in questi termini: “Fino a che punto i progetti SMR possono ridurre sostanzialmente i rifiuti radioattivi durante tutto il ciclo di vita dell’impianto?”.
Ma poi c’è dell’altro; c’è che Cingolani sfida gli ambientalisti (oltranzisti e ideologici) a misurarsi sui numeri.
E qui si paventa l’altro tipo di rischio perché, anche se le repliche rivolte a Cingolani (difende le lobby del petrolio, nemico delle rinnovabili) ci stanno tutte in quanto espressioni di interessi diversi, queste non rispondono in toto alla provocazione di Cingolani perché dietro i “numeri” (che hanno il loro peso) si cela lo scontro sulla reale posta in gioco.
Nell’interpretazione della transizione ci sono aspetti concettualmente indiscutibili (azzeramento del carbone) ed altri meno, se non ricompresi dentro un approccio olistico.
La mobilità elettrica è uno di questi: batterie e connessi problemi di estrazione e smaltimento, cablaggio delle città e delle strade di comunicazione con rilevanti picchi di potenza richiesta nei rifornimenti. La produzione richiederebbe un nuovo e considerevole apporto di potenza se, a parità di merci prodotte (o peggio aumentate), si desse corso alla robotizzazione ed ulteriore automazione dei processi (industria 4.0).
Quanto ai consumi domestici, la questione è ancora più controversa: nel bilancio energetico italiano la voce consumi residenziali di gas (domestici, ristoranti e negozi) ammonta a 31 miliardi di metri cubi pari al 65% del totale. In caso di “fuoriuscita dai fossili” (quindi anche dal metano) come cucineranno e si riscalderanno 23 milioni di famiglie italiane?
Se la risposta è con l’elettricità, serviranno dai 30 ai 40 Gw di nuova potenza rispetto ai 120 Gw attualmente installati, obiettivo non perseguibile con le sole rinnovabili, a meno di abbandonare il concetto di sviluppo sostenibile a cui si rifà anche il ministro Cingolani con i suoi “numeri” che pur essendo parte ineludibile del problema, non troveranno soluzione se non fuori dalle regole di questo sistema-mondo.
Giorgio Ferrari, il manifesto, 4 settembre 2021
Scrive nella rubrica L'amaca su la Repubblica Michele Serra: "Cingolani faccia lo scienziato, è stato assunto per questo non per rubare le battute al Salvini". (4 settembre 2021) |
Transizione ecologica dal basso, di Cingolani facciamone a meno
Quando sentiamo dire dai nostri ministri, per di più da uno addetto alla transizione ecologica, che questa finirà in «un bagno di sangue», la prima cosa da chiedersi – che lui a quanto pare non si chiede – è che cosa succederà invece se non la si porta a termine nel tempo più breve possibile.
Soprattutto ora che rilancia il «nucleare ragionevole» contro i «radical chic» che sarebbero folli, dimentico di ben due referendum popolari inequivocabili che hanno messo all’indice la follia dell’energia nucleare.
Abbiamo cominciato ad averne qualche assaggio già ora: oltre al virus – indubbio portato di un
ambiente sconvolto dall’intervento umano – incendi di intere regioni e foreste, uragani, alluvioni e siccità sempre più frequenti; desertificazione e sterilità dei suoli; crisi idriche; scomparsa sempre più rapida di ghiacciai e calotte polari con conseguente aumento del livello dei mari che non si può più fermare; riduzione insostenibile della biodiversità e con essa anche dei rendimenti agricoli (pensiamo all’eccidio delle api).
E poi, visto che il ministro ha gli occhi puntati solo sull’industria, rottura delle catene di approvvigionamento (per esempio, di microchip che bloccano l’industria dell’auto, degli elettrodomestici e dell’elettronica in tutto il mondo), crisi dei mercati di sbocco, aumento delle materie prime, competizione selvaggia per quelle rare, indispensabili alla transizione all’elettrico.
Ora moltiplichiamo per tre, cinque, dieci quello che abbiamo solo cominciato a vedere e abbiamo un quadro di quello che aspetta la next generation – i nostri figli e nipoti – se lasciamo in mano a gente come Cingolani la transizione – anzi, conversione – ecologica di cui dovremmo farci carico tutti. Quel ministro ha anche proposto di esentare dalla transizione all’elettrico le auto di lusso – quelle prodotte nelle motorvalley a lui così care – perché, se perdono potenza, i ricchi non le comprano più.
Più ancora che legato ai «poteri forti», come Eni ed Enel, a cui ha delegato il compito di incassare e usare come vogliono i denari del recovery fund, Cingolani esprime l’idea che la transizione ecologica non deve toccare nessuno dei privilegi – neppure i più banali come, le automobili da corsa; figurarsi gli yacht – di cui godono i ricchi. Il «bagno di sangue» spetta solo ai poveri.
Oltre a uno sforzo di immaginazione collettiva per rappresentarci lo stato del mondo di qui a qualche anno, o a pochi decenni, dobbiamo dunque fare uno sforzo analogo anche per rappresentarci obiettivi, forme e percorsi di una vera conversione ecologica.
Non ci aiutano in questo le istanze dell’Ue o quelle dell’Unfccc delineate a Parigi, che a Glasgow non sembrano destinate a molti passi avanti. Non solo perché l’obiettivo di +1,5°C è ormai dietro le spalle e i +2°C sono sempre più problematici, ma perché l’immagine del futuro che sottende quei documenti è insensata: dietro l’ossimoro dello sviluppo sostenibile si prospettano stili di vita esenti da sostanziali cambiamenti.
La «cartina al tornasole» di questi approcci è l’automobile.
Si punta alla sua elettrificazione pur sapendo che mancheranno le materie prime per portarla avanti; che su di esse si scatenerà una competizione senza quartiere; che comunque, se usate per l’auto sottrarranno risorse urgenti a impianti ben più importanti; e soprattutto che l’uso e il possesso di un’auto privata (una ciascuno o una per famiglia) continuerebbe a riguardare una ristretta gamma di paesi (ancorché allargata alle classi medie di Cina e India) mentre il resto degli esseri umani dovrebbe continuare ad andare a piedi, perché su questa Terra non c’è posto né per cinque miliardi di auto; né, in fin dei conti, per molti di loro…
Ma soprattutto si legifera come se a farsi carico della transizione debbano essere solo i governi e ministri come Cingolani (ogni Paese ha il suo) e non una mobilitazione che parta dai lavoratori – soprattutto delle aziende in crisi – e dai territori, mettendo nelle mani di chi ci vive e lavora, e per questo li conosce benissimo, mezzi e strumenti per imporre ai governi la strada da percorrere.
Per ora bisogna cominciare a dire alcune cose di cui si parla poco.
Che la conversione non può essere fatta di progetti concepiti e promossi azienda per azienda e gestiti solo dalle rispettive maestranze, ma deve coinvolgere per lo meno un’intera filiera, dalle forniture agli sbocchi, riportandone nei territori la maggior parte possibile.
Che il processo non può essere il frutto di elucubrazioni personali, né tanto meno ministeriali, ma va messo a punto in forme collettive: per esempio convocando delle conferenze di produzione che coinvolgano, insieme ai lavoratori delle aziende interessate, tutto il loro territorio, le sue associazioni, le sue risorse sia umane che «naturali», soprattutto quelle non valorizzate.
Che tutto va concepito in una prospettiva ineludibile di sobrietà, di equità e di riconciliazione con la vita vegetale e animale rimasta.
E che un processo del genere non può che svilupparsi «a macchia di leopardo»; andando avanti, con conflitti sempre più ampi, là dove le forze attive che lo promuovono sono più organizzate, per fare poi da battistrada a tutte le altre: sia a livello regionale che nazionale, continentale e planetario.
Se questo si verificherà – e «non c’è alternativa» – i governi dovranno adeguarsi. L’Intendance suivra.
Guido Viale, il manifesto, 7 settembre 2021
Vincenzo Balzani, professore emerito dell'Università di Bologna, intervistato su l'Extraterrestre denuncia "le trivellazioni di Cingolani fanno a pugni con Next Generation EU"
(9 settembre 2021)
Finzione ecologica. Cingolani, per la sua transizione, s'allarga sul deposito di scorie nucleari
Cingolani ha rilanciato il nucleare civile. Il Ministro suppone che le centrali per produrre energia elettrica di 4° generazione siano sicure e in grado di contribuire alla chiusura dell’uso del fossile. Dimentica che due referendum popolari, nel 1987 e nel 2011, hanno deciso che l’Italia rinuncia a questa pericolosa e costosissima produzione di energia. Il Ministro ha affermato che questo “nuovo” nucleare civile potrebbe servire alla transizione ecologica dal fossile alle energie rinnovabili, trascurando che l’entrata in funzione del precedente nucleare di 3° generazione plus – lo stesso che Sarkozy ha tentato di rifilare al governo Berlusconi nel 2009 – viene rinviata di anno in anno – ora al 2022 – mentre i costi sono lievitati di almeno 3 volte. La transizione ecologica in Italia non può contare sul nucleare perché non ci sarebbe neppure il tempo per avviare le centrali.
Martedì scorso è iniziato il seminario della Sogin, società pubblica incaricata di trovare una soluzione per stoccare le scorie nucleari italiane. L’avvio risente dell’atteggiamento del Ministro. Come ha chiarito il dott. Torres, di Andra, la Francia crea depositi per un paese che continuerà con il nucleare. Esce con evidenza la dipendenza culturale e scientifica italiana dall’esperienza francese. Sogin sembra non rendersi conto che in Italia il nucleare ha chiuso e la volontà popolare viene prima del Ministro.
La Francia ha sviluppato al massimo le centrali elettriche nucleari anche per il rapporto stretto che esiste tra settore civile e militare. La Force de frappe. Altrimenti perché si cerca di controllare lo sviluppo del nucleare civile in Iran? La Francia che pure è promotore dell’accordo di Parigi vuole ridurre il suo impegno ad una drastica riduzione della CO2 puntando al riconoscimento europeo che il nucleare civile sarebbe un’energia rinnovabile, senza altri impegni.
La definizione della tassonomia delle rinnovabili ha creato una divisione in Europa dove buona parte dei paesi non è d’accordo di cambiare l’etichetta al nucleare come chiede la Francia, che guida la lobby europea ma per ora non ha raggiunto l’obiettivo, che vale miliardi di euro. Cingolani sembra prepararsi l’alibi per saltare il fosso ed appoggiare la posizione della Francia.
Sogin dovrebbe capire la differenza radicale tra l’Italia e chi affronta il problema delle scorie radioattive perché vuole continuare con il nucleare civile. Infatti il deposito francese di superficie per le scorie a medio-bassa radioattività – ha detto il direttore Torres – è progettato per 1 milione di metri cubi, mentre quello di cui si parla in Italia è un decimo. In realtà lo stoccaggio delle scorie è visto come occasione per riabilitare il nucleare, visto che il loro smaltimento è il grande ostacolo, insieme ai rischi e ai costi.
L’Italia che è uscita dal nucleare civile per decisione popolare dovrebbe affrontare il deposito nazionale come un male necessario, per smaltire l’eredità delle centrali italiane. Meno della Francia e con una vita limitata, a cui vanno aggiunte le scorie della sanità, della ricerca, di alcune industrie, in tutto 95.000 metri cubi, di cui 17.000 ad alta radioattività, che rientreranno entro il 2025.
La Francia tuttavia è consapevole che le scorie più pericolose (cederanno radiazioni per migliaia di anni) debbono essere custodite separatamente e progetta un deposito a 500 metri di profondità. Mentre la Sogin vuole collocare queste scorie molto pericolose e di lunga durata (vanno continuamente raffreddate) nella stessa area del deposito delle scorie a medio-bassa emissione, che già presentano serie controindicazioni per il territorio di insediamento.
L’Europa aveva minacciato un’infrazione all’Italia perché non ha previsto dove collocare le scorie più pericolose e questo è esattamente il punto non risolto dal piano della Sogin che propone un parcheggio provvisorio (100 anni) senza avere la minima idea di dove collocarle in via definitiva, con aggravio di costi e rischi.
I costi dovrebbero essere a carico di chi ha generato le scorie, come ha ricordato Garribba funzionario dell’Unione, mentre in Italia sono pagati con le bollette elettriche, a cui si aggiungeranno i costi del deposito nazionale e degli allettamenti che Sogin lascia balenare per chi accetterà di prendersele. Saranno costi ingenti a carico di tutti.
Il Governo Draghi deve dire al paese e alle popolazioni locali coinvolte la verità. Le scorie rappresentano un serio problema da risolvere e un potenziale pericolo per l’area prescelta. Un onere pesante e un potenziale danno. Di questo il paese intero deve farsi carico, confermando che l’Italia ha chiuso con il nucleare.
Mario Agostinelli, Alfiero Grandi, il manifesto, 9 settembre 2021
Ministro,nuove trivellazioni, nuove autostrade, nucleare, grandi opere,motor a scoppio valley... Lei, Lei davvero, non si ritiene parte del problema?
RispondiEliminaQualcuno l'ha raccontata come una "Cingolaneide".
Scusate, non riesco a scrivere di più, c'è un tale affollamento di ambientalisti qui che non riesco a muovere un mouse-uscolo =(
Finzione. Con topica clamorosa per chi lo ha sponsorizzato, il Cingolani.
RispondiEliminas.
Come no, il Grillo parlante è perdente.
EliminaSic
Spiace che così tante voci critiche non trovino sponde politiche significative in parlamento e nelle regioni.
RispondiEliminaCosì per le imminenti amministrative non resta che disertare le urne.
Zorro
Mi convincono gli argomenti del prof. Balzani. Meno i giochi di parole e di politica dello scrittore Serra.
RispondiEliminaL.