martedì 15 giugno 2021

Il PNRR è per "ripresa" e "normalità", serve un piano per il cambiamento

 

Sulle pagine di Repubblica attivisti di XR travestiti da leader del G7 nel mare di Cornovaglia










Nel presentare il suo Piano, Mario Draghi aveva detto che è il momento di essere «radicali». Doveva, allora, esserlo già nel titolo: perché Piano nazionale «di ripresa e resilienza»? Se è chiaro per molti di noi che «non vogliamo tornare alla normalità perché era la normalità il problema» e che se ci siamo infilati in questo tunnel è perché quella era la nostra «normalità», ebbene, non dovremmo parlare di «ripresa» ma di «cambiamento»: un piano nazionale di cambiamento e resilienza, di questo avremmo bisogno, questo sarebbe «radicale». E invece no: stiamo proprio parlando di «riprendere» (le vecchie abitudini), come se non avessero nulla a che fare con lo stato in cui ci troviamo.

Il documentone è stato presentato al Parlamento, discusso (per così dire) enunciando princìpi, poi inviato a Bruxelles con le sue migliaia di pagine. Mancano i decreti attuativi, si discute di «cabina di regia», di grandi linee. Quale disegno di paese, di economia, di società soggiace a quel Piano?

L’idea generale che emerge dalla defatigante lettura e dalle vulgate circolate sui «media mainstream» è che non si è dato vita ad un’idea (nuova) del mondo – una «visione», come si usa dire oggi – ma si è soltanto insistito su un concetto: «tenete duro». Il mondo è ingiusto, lo abbiamo guastato, ma forse potremo farcela (mantenendolo ineguale).

L’orizzonte del Piano (quinquennale!) è il 2026 ma qui non si tratta di socialismo. Tutt’altro. Si basa su quell’altro piano – il «Next Generation Eu» – che ne fornisce le risorse. Ma se c’è una cosa che la« next generation» dovrà fare, da subito, è tirare le orecchie ai governanti e tenere gli occhi ben aperti.

Il Piano pare non sapere cos’è la biodiversità, che il consumo di suolo è dannoso, che per adottare nuove tecnologie bisognerà gettarne via altre ex imperio, non perché lo decide il mercato. 

Greenwashing è il termine che gli ecologisti usano per deridere l’ipocrisia con la quale governi e imprese stanno affrontando, spesso, il tema della «transizione ecologica».

Non basta affibbiare un 4.0 per cambiare strada: in Italia non abbiamo bisogno di nuove autostrade, di nuovi treni ad alta velocità, di allargare aree metropolitane e periferie fagocitando terreni agricoli e naturali. C’è forse qualcosa di «ecologico» in una linea Tav, definita «sostenibile»? E nella sua costruzione, con le devastazioni che i cantieri si portano? (visitate la Val di Setta tra Bologna e Firenze per credere).

Dobbiamo recuperare le aree interne (la «Missione 5» vi destina appena 600 milioni di euro), ripopolare le vaste zone di suolo erose, disboscate, abbandonate, perché non succeda che ad ogni acquazzone un paese frani.

Abbiamo bisogno di più lentezza, non di velocità, di treni e trasporti locali collettivi, di meno automobili private, di centomila piccole opere, non di sei grandi opere.

Il Piano ha alcuni vizi di fondo su cui bisognerà tornare e insistere, visto il mutismo dei partiti di governo, dei loro parlamentari e dei loro apparati.

In primis, il Piano si affida ai privati, al mercato. Lo Stato imprenditore, lo Stato innovatore, lo Stato promotore non c’è, forse perché ritenuto incapace. E gli investimenti pubblici? Sono anni che l’Italia è retrocessa, su questo, nelle graduatorie europee. Più degli altri, il nostro Stato ha rinunciato a investire in istruzione, ricerca, innovazione, opere pubbliche, assetto del territorio.

La valutazione d’impatto dei progetti viene considerata un fastidio (oltre alla scandalosa intenzione, che è stata stigmatizzata, di aggirare il codice degli appalti, tanto «la mafia non esiste»).

Il dottor Draghi, che pure è stato allievo di Federico Caffè, sa che una maggiore produttività non è solo ottenibile risparmiando sui costi.

Sono venticinque anni, ormai, che la produttività in Italia non cresce: non quella del lavoro, che continua anche se lentamente a migliorare (ma forse, anche lì, si è raschiato il fondo del barile); non quella del capitale, che comunque importiamo dall’estero, ma quella dei fattori, totale.

Certo, si dice, il Piano stabilisce le coordinate: saranno poi le spese correnti ad aggiungere (e allora vedremo la prossima legge di bilancio). Ma le riforme auspicate – tutte essenziali e giustissime – come quelle della Pubblica amministrazione e della Giustizia lasciano pensare che si ha in mente la vecchia ricetta: più flessibilità, più incentivi al profitto.

Ma il mercato, se lo seguiamo fino in fondo, ci porterà alla catastrofe. Fino a che non considereremo il capitale naturale nei nostri conti (e in quelli delle imprese), l’ideologia della crescita (anche se «sostenibile») produrrà solo danni.

Forse dovremmo essere apertamente anti-capitalisti. Per il momento, basterebbe obbligare imprese e capitalisti a metter in conto, nei loro piani, il concetto che la natura non è a nostra disposizione per essere sfruttata ad libitum. Perché ci sta già presentando il conto che, come sempre, saranno i meno attrezzati, i più disuguali, a pagare. Come i maiali di Orwell.

Pier Giorgio Ardeni, il manifesto, 15 giugno


"L'orizzonte" del Segretario del PD,  Enrico Letta, è sintetizzato con efficacia nel titolo di domenica del primo quotidiano nazionale: "stare al Governo ci fa bene e i risultati arrivano. Con Draghi asse positivo: è casa nostra. Il PD è in salute, da anni non ci davano prima forza". 
(il Corriere della Sera, 13 giugno 2021)
Per Lui non "serve un piano per il cambiamento"!


3 commenti:

  1. E quello di Letta sarebbe un partito di sinistra?
    Se lo scopo dei Dem è un +0,8% alle prossime elezioni realizzato attraverso il pieno sostegno a Mario Draghi vuole dire che io non ho capito nulla della politica.
    E forse anche lei, prof Ardeni, è fuori dal tempo.
    L'altra ipotesi è che siano invece il segretario del PD e i suoi promessi alleati incapaci di uscire dalle coordinate di questa folle e ingiusta crescita. E purtroppo, se è così, anche loro finiranno col trovarsi presto con l'acqua alla gola, come i leader del G7 rappresentati dagli ambientalisti di Extinction rebellion in Cornovaglia.....
    DG

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  2. Concordo. Se il cambiamento non riusciamo a produrlo con il centrosinistra e con i 5 stelle o con un governo di unità nazionale ci penseranno le destre sovraniste. A auguri a tutte noi.
    Anna

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