martedì 18 dicembre 2018

Da Parigi a Katowice

Passi troppo piccoli, tempi troppo lenti, leadership globale in netto calo rispetto a Parigi. Il bilancio della Conferenza di Katowice non è entusiasmante. Soprattutto dopo il rapporto dell’Ipcc che aveva valutato la differenza degli impatti di un aumento da 1,5°ai 2°C. Oltre alla valutazione di una finestra di 12 anni per rispettare l’obiettivo di non superare i 1,5°C. Ci si aspettava un impulso alla revisione degli impegni nazionali. Non c’è stato e così questa 24ma Conferenza sui cambiamenti climatici è stata politicamente assai deludente.

Questa revisione – secondo la previsione dell’Accordo di Parigi – dovrà essere decisa nel 2020 mentre la COP24 doveva approvare le procedure tecniche per rendere misurabili e confrontabili in modo trasparente i diversi obiettivi nazionali. Se questo “obiettivo tecnico” è stato raggiunto – e meno male – la discussione politica ha fatto un passo indietro.
Questo arretramento lo si era visto da subito, quando Usa, Russia, Arabia Saudita e Kuwait – tutti grandi produttori di petrolio – avevano rifiutato di “accogliere” proprio l’ultimo rapporto dell’Ipcc. Per certi versi questa prima mossa – avvenuta nella discussione del Substa, un organo tecnico della Convenzione sui cambiamenti climatici – aveva comunque fatto chiarezza, come notava il sito climalteranti.it, fonte di ampia analisi e documentazione sulle varie fasi del negoziato. Se allo schieramento “fossile” sopra citato aggiungiamo il Brasile di Bolsonaro, il quadro è ancora più evidente.
Rispetto a Parigi si registra un netto calo di leadership, non sufficientemente controbilanciato da un’Europa il cui ruolo rispetto ad alcuni anni fa si è certamente appannato. Su questo versante qualche segnale positivo viene proprio dalla Polonia, uno dei Paesi più recalcitranti sul clima, in difesa del suo carbone cui attribuisce – a torto – un valore insostituibile di autonomia. In Polonia finalmente il dibattito – difficilissimo – sull’uscita dal carbone si è finalmente aperto: questa è stata la terza COP climatica in quel Paese, prima non era accaduto.
Molto importante è stata l’iniziativa della Pontificia Accademia delle Scienze che, assieme all’Accademia delle Scienze della Polonia, hanno siglato un ‘memorandum’ congiunto chiedendo «una transizione dal settore critico del carbone basata sul rispetto dell’uomo non più tardi del 2030» – mentre i sindacati polacchi si esprimevano contro l’ipotesi di phase-out. Ma la questione è stata sollevata e in modo mai così evidente come ora.
Le criticità non sono dunque legate solo alle politiche di Trump – gli Usa comunque non sono ancora tecnicamente usciti dall’accordo di Parigi – ma esiste un tema oggettivo di transizione e di equità. La questione cruciale è infatti quella di una “transizione giusta” verso il nuovo modello energetico: alcuni settori – a partire da quello del carbone e poi delle fossili – dovranno essere progressivamente chiusi, altri dovranno essere sviluppati e questo richiede politiche attente – riqualificazione dei lavoratori, compensazioni e altri ammortizzatori sociali – per mitigare gli effetti sociali di quella che sarà la grande trasformazione di questo secolo. Ambiente ed equità sociale devono andare insieme, altrimenti non si avrà né l’uno né l’altra.
Positiva la posizione italiana, schierata in campo internazionale dalla parte dei Paesi “ambiziosi” (ed era già successo in sede europea). Peccato però che poi non si vogliano fare i “compiti a casa” in modo coerente: il decreto sulle rinnovabili sul piano quantitativo non si discosta molto da quello di Calenda (che era migliorativo rispetto al passato, ma ancora insufficiente); il sottosegretario Crippa ha annunciato che l’Italia rivedrà al ribasso gli impegni europei al 2030 (dopo che lo stesso governo aveva contribuito ad alzarli un po’ in sede Ue). Una linea di continuità con i precedenti governo: ma una delle cinque stelle non era l’energia?
Questa posizione al ribasso coincide con quella espressa nel Libro Bianco di Confindustria: ipotesi risibili prevedono un calo della domanda elettrica (quando ci si aspetta invece di elettrificare servizi che oggi non lo sono, a partire dai trasporti individuali). In questo modo Confindustria presenta una quota delle rinnovabili elettriche in crescita ma senza muoversi in numeri assoluti, in continuità con l’obiettivo di mantenere le quote di gas naturale, vero punto centrale della strategia energetica nazionale di Calenda. Un “governo del cambiamento” che su questo tema si muove (o si agita) rimanendo invece fermo dov’erano i governi precedenti.
Tornando al quadro generale, se nel 2015 a Parigi la situazione era favorevole alla cooperazione internazionale e al multilateralismo, oggi siamo di fronte a una forte crisi per le politiche di Trump. Anche se va comunque sottolineato l’isolamento degli Usa al G20 (come nel 2017) e l’approvazione del documento tecnico – il rulebook – a Katowice che comunque tiene a galla il quadro negoziale multilaterale: gli strumenti tecnici per andare avanti sono stati approvati. Ma la sfida è totalmente inedita nella storia dell’umanità e per vincerla serve una cooperazione globale: anche per questo pace e clima sono collegati.
Per rispondere a questa sfida non mancano né le tecnologie né le risorse finanziarie. L’unica cosa che davvero scarseggia è proprio il tempo. E a Katowice siamo andati avanti adagio, troppo. Come si dice, il tempo stringe.

Giuseppe Onufrio, il manifesto, 18 dicembre

5 commenti:

  1. Per chi pensa di essere invaso e pretende di distinguere tra Migranti economici non .
    Si faccia un esamino di coscienza , migrano per responabilità primaria del Mondo Civile .

    Nella società globale le migrazioni degli esseri umani da un luogo all’altro rappresentano un evento straordinario perché portatrici di conoscenza, confronto e scambio di idee. Ma chi sono i migranti? Quanto sono? Da dove arrivano? Dove vanno? Perché si muovono? In questo articolo cercheremo di approfondire il binomio Cambiamenti climatici e migrazioni, ma al tempo stesso è formidabile osservare questa mappa generale interattiva, prodotta da Max Galka di Metrocosm che è stata costruita grazie alle statistiche sull’immigrazione della UN Population Division.
    Cambiamenti climatici e migrazioni: una storia umana

    Quando parliamo di cambiamenti climatici dobbiamo considerare tutti i cambiamenti climatici misurabili e percepibili grazie alle variazioni di uno o più parametri ambientali come per esempio la temperatura dell’aria, le precipitazioni, la nuvolosità, la temperatura degli oceani e la distribuzione e lo sviluppo di flora e fauna. I cambiamenti climatici vengono distinti dai mutamenti climatici; si parla dei secondi quando le variazioni sono prodotte dall’uomo. Questa distinzione risulta necessaria poiché, secondo l’ultimo rapporto delle Nazioni Unite, la comunità scientifica ha evidenziato come i cambiamenti climatici avvenuti nell’ultimo secolo e mezzo derivino dall’azione dell’uomo. I climatologi di tutto il mondo sono quindi ormai concordi nel dire che è stata l’attività umana ad aver influito sui cambiamenti climatici, che a loro volta sono la causa dell’aumento dei disastri naturali che spesso spingono alla migrazione.
    La continua ricerca del clima perfetto

    Da sempre, nella storia umana, le persone si sono spostate alla ricerca di un luogo più adatto alla vita, ma diversamente dal passato, gli effetti sul pianeta e sull’uomo del cambiamento climatico sono sempre più evidenti e stanno provocando danni a persone e cose mai avvenuti prima. Questa situazione genera i cosiddetti migranti ambientali. Il motore principale delle migrazioni rimane tuttavia il fattore economico ma ultimamente è possibile affermare che a ogni cambiamento climatico corrisponda un’influenza più o meno forte nelle migrazioni.
    Obligati a lasciare le proprie case

    L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni definisce i migranti ambientali “persone o gruppi di persone che, a causa di improvvisi o graduali cambiamenti nell’ambiente che influenzano negativamente le loro condizioni di vita, sono obbligati a lasciare le proprie case, o scelgono di farlo, temporaneamente o permanentemente, e che si muovono all’interno del proprio paese o oltrepassando i confini nazionali”.
    In un articolo del 2011, i ricercatori dell’Istituto universitario delle Nazioni Unite per l’Ambiente e Sicurezza umana (UNU-EHS) hanno classificato i migranti ambientali in tre categorie: Environmental emergency migrants, Environmentally forced migrants e Environmentally motivated migrants.
    Cambiamenti climatici e migrazioni: tre categorie.

    Gli Environmental emergency migrants sono persone che si sono spostate a causa di un evento climatico improvviso, per salvare la propria vita. Il fattore ambientale è quindi dominante. Gli Environmentally forced migrants devono lasciare il proprio luogo di vita a causa di mutamenti ambientali che ne hanno pregiudicato la qualità. La migrazione in questo caso non avviene in modo improvviso, ma spesso questi migranti non possono più ritornare a causa della perdita totale delle loro terre. Infine, gli Environmentally motivated migrants migrano poiché vivono in un contesto in costante deterioramento e decidono di prevenire gli effetti disastrosi che potrebbero avvenire. Migrare in questo caso non è l’ultima scelta ma una strategia per evitare l’ulteriore degrado dei mezzi di sussistenza.
    Segue
    Ciao
    G

    RispondiElimina
  2. Dal cambiamento climatico alla guerra

    I cambiamenti climatici possono essere alla base di violenti conflitti e sono destinati a peggiorare situazioni già vulnerabili e complesse come quelle dei paesi del Sud del mondo. Questi cambiamenti riducono le risorse primarie necessarie alla sussistenza umana come cibo e acqua. Coloro che subiscono la diminuzione di disponibilità delle risorse possono adottare strategie di resilienza e adattamento o restare coinvolti in conflitti per contendersi le scarse risorse e anchee essere costretti a lasciare le proprie case, andando spesso a confluire in altre zone fuori o dentro il proprio stato, che già soffrono per problemi ambientali e di scarsità di risorse. Di conseguenza, questi flussi migratori vanno ad esacerbare situazioni già difficili, che possono sfociare in ulteriori conflitti.
    Una questione da non sottovalutare

    Gli esperti dell’Università delle Nazioni Unite, mettono in guardia circa le conseguenze che può avere un errata percezione del rapporto tra cambiamenti climatici e migrazioni globali avvertendo che il problema dei profughi ambientali deve esser affrontato nel modo giusto e suggerisce di approcciarsi alle migrazioni dovute al clima non tanto come a singole crisi locali, quanto piuttosto a un fenomeno globale. Viene denunciata inoltre una mancanza di prospettiva a lungo termine da parte delle istituzioni locali, internazionali e delle associazioni umanitarie nella gestione dell’emergenza dei profughi ambientali. Non si pensa che spesso i profughi restano poi tali a causa di risposte insufficienti da parte della politica e delle autorità locali.
    Ciao
    G.

    RispondiElimina
  3. Paese leader della transizione alla sostenibilità pare sia la Cina ?!?!
    Con gli USA di Trump sull'uscio della porta e l'UE in crisi di leadership.....
    Vedo buio!!!
    Nik

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ma noi che facciamo, per uscire dal buio?
      Ognuno per conto suo non risolve certo i problemi. Dunque, + Europa è necessaria (1).
      Poi i bilanci nazionali, con + investimenti sostenibili (2). Questa manovra è adeguata? A me pare ampiamente insoddisfacente quanto a misure infrastrutturali. Ecco un punto debole su cui fare di più.
      Possibile?

      Elimina
  4. Strada impervia quella per rendere sostenibile il mondo.
    Come quella per la pace, in un mondo che produce sempre più armi.
    Raffa

    RispondiElimina