giovedì 11 luglio 2024

Francia e Gran Bretagna, quando voto e premier non bastano ad affrontare crisi sociale e di democrazia ...

La protesta di Extinction Rebellion a Bologna: "G7, la vostra tecnologia, il nostro collasso" ...












Ancora una volta una lettura superficiale di dati potrebbe trasformarsi in una catena di errori e di scelte che pregiudicano la democrazia. Diversi ci provano. Interessati, come sono, a difendere interessi consolidati e posizioni di potere, a eludere crisi e contraddizioni del presente, a rimuovere grandi sfide per il futuro. Il voto in in due importanti paesi d'Europa pare calzante.

La Francia ha votato in due domeniche consecutive il 30 giugno e il 7 luglio, per effetto di un sistema elettorale maggioritario su due turni. 

Dopo il primo, titola la Repubblica: "Vince Le Pen, Francia divisa". Nel sottotitolo: "l'estrema destra si impone con il 34%". Una settimana dopo il quotidiano della famiglia Agnelli - Elkann, diretto da Maurizio Molinari spara: "Rivoluzione francese". Con questo sottotitolo "i ballottaggi rovesciano le previsioni: si impone il Fronte delle sinistre, Macron arriva secondo e vince la sua scommessa. Le Pen grande sconfitta". Il Corriere della Sera, per parte sua, dopo avere sintetizzato "Francia, avanza la destra" titola "Francia a sinistra, battuta Le Pen". 
Che dire? La complessità non si addice al potere mediatico imprenditoriale che antepone all'informazione obiettiva ed alle notizie corrette (il voto dei francesi) il compito di condizionare e indirizzare politica e società.

Lorsignori che a lungo hanno presentato il sistema elettorale e politico francese come "una soluzione" possibile anche per l'Italia e i suoi problemi, faticano a riconoscere che crisi sociale ed istituzionale che interessano l'intero Continente ed il Pianeta vanno ben oltre i meccanismi di scelta delle rappresentanze dei singoli Stati. E che, anche in Francia, è diffuso un bisogno di cambiamento. Ovvero, esiste una estesa critica alle classi dirigenti che hanno accentrato su di esse funzioni e potere. Al Centro dove Emmanuel Macron e la sua En Marche hanno toccato minimi storici di consenso. Ma, appena si è paventato un possibile sbocco a Destra, la risposta è stata netta, la partecipazione al voto è andata oltre le percentuali delle ultime elezioni politiche e la scelta della "desistenza", ovvero di sostenere in ogni collegio i candidati alternativi al Fronte Nazionale meglio piazzati, è stata condivisa e ampiamente sostenuta. In Francia, la "cultura repubblicana" (non "nazionalista" e sostenitrice di "comunità di sangue") di una parte importante del Paese, prevale ed è pronta a unire le forze per salvaguardare spazi vitali di pluralismo e di protagonismo popolare. Questo non era scontato e voluto (da più parti). Ha sorpreso. Perché manifesta una disponibilità ed una domanda nuove: di ricerca comune e costruzione di sintesi più avanzate per affermare, in Francia e non solo, Diritti e Doveri fondamentali ed universali.
Ora, non saranno forzature di Governo a risolvere questa complessità. Nè una lettera di Emmanuel Macron che tenta di seppellire il voto dei francesi diretto in larga parte verso il Front National e il Nuovo Fronte Popolare delle Sinistre.
Solo una realistica presa d'atto della esigenza di intraprendere percorsi di pace e disarmo, di cooperazione tra popoli, culture e grandi bisogni sociali planetari, di conversione ecologica delle produzioni e dei consumi può produrre effetti duraturi di rilancio di Parigi e della Francia in Europa e nel mondo.


La Gran Bretagna si è recata alle urne il 4 luglio.
"Valanga laburista" ha titolato il Corriere della Sera. "Onda laburista" ha sintetizzato la Repubblica. I due principali quotidiani italiani hanno basato questi loro "spot" o "messaggi politici" sui rapporti di forza effettivamente prodotti dal sistema elettorale ed istituzionale della più longeva monarchia costituzionale: il Partito Laburista britannico giovedì scorso ha conquistato la maggioranza assoluta degli eletti, 412 su 650. 

Eppure sarebbe stato sufficiente proporre anche i voti attribuiti ai vari soggetti politici in campo per capire che la realtà sociale, culturale e politica è assai più complessa.

Il Partito del nuovo Premier, Keir Starmer, ha ottenuto poco più di 9 milioni e 712 mila voti e il 33,8% dei voti espressi. La vittoria è quindi dovuta in primo luogo al sistema elettorale maggioritario che premia i candidati che prevalgono nei singoli collegi. Quindi, in secondo luogo, al crollo verticale dei consensi ottenuti dal Partito Conservatore del Premier uscente, Rishi Sunak, che ha più che dimezzato i propri consensi: 6 milioni 814 mila la scorsa settimana rispetto ai quasi 14 milioni del 2019. 

Anche il Labour è arretrato di oltre 550 mila suffragi. Nel 2019 sotto la guida di Jeremy Corbin si erano contati oltre 10.269.000 voti, allora pari al 32,2% e nel 2017 (ancora Corbin leader) si era sfiorato quota 12 milioni 875 mila. 

Dunque è il caso di riflettere tutti, di più. In Inghilterra, Scozia, Galles è cresciuta di oltre 7 punti percentuali l'astensione. In che misura dipende dal fatto che candidato Premier e programma Labour "moderati" non siano stati vissuti come "minacce" di possibile rivoluzione? O, al contrario, sia presente, anche nella società britannica, una critica netta verso il Partito Conservatore e le sue politiche  neoliberiste, principalmente centrate su una visione del mondo votata alla strenua difesa del potere angloamericano acquisito. Nonché (e insieme) una critica alla classe dirigente laburista che anziché ricercare vie nuove di trasformazione della società e di governo multilaterale del mondo si limita a contenere le punte più odiose di discriminazione (verso migranti, minoranze e diritti civili dei singoli) accettando tuttavia profonde ingiustizie sociali di classe, economie di guerra e conflitti militari, crisi climatica ed ecologica.

Insomma anche questa tornata elettorale in Europa, come tutti i conflitti sociali e in armi aperti nel mondo ci inducono ad uscire dal "cortile di casa", a ragionare oltre la nostra piccola provincia, a intrecciare ancor più di quanto avviene oggi "pensiero globale" ed "azione locale".

Ce lo hanno ricordato in questi giorni studiosi e commentatori, registi storici e giovani che aspirano ad un futuro migliore.

A Bologna anche le importanti iniziative di Extinction Rebellion in occasione del G7 su tecnologie e "intelligenza artificiale". A spese loro, con fermi, violenze e denunce. Sta a tutte le energie libere e pensanti vedere, reagire con forza e determinazione.



Francia. Il Fronte Popolare, alternativa alla crisi di sistema

Non appena sono stati resi noti i risultati del secondo turno delle elezioni parlamentari francesi si è scatenata una ridda di opinioni e commenti che però non devono oscurare le due lezioni fondamentali da trarre da queste elezioni. La prima, preoccupante ma ricca di potenzialità, è che la Francia sta attraversando una crisi politica e istituzionale senza precedenti. La seconda, positiva ma fragile, è la conferma che la cultura repubblicana è ancora ben radicata nel cuore dei francesi.

La nuova Assemblea eletta dopo la «dissoluzione» decisa da Emmanuel Macron ha confermato la tripartizione delle forze politiche. Ognuna di queste forze ha registrato una vittoria e una sconfitta. La sinistra è la prima famiglia politica, ma ha solo una maggioranza relativa. Il centro macronista ha ottenuto un risultato inaspettatamente alto visti i risultati delle elezioni europee, ma ha perso un gran numero di deputati rispetto alla precedente legislatura. Infine, l’estrema destra non è mai stata così forte ma, contro tutte le previsioni, non è riuscita a conquistare né la maggioranza assoluta, né quella relativa. Il problema non è sottolineare l’incapacità dei francesi di dare vita a un governo tecnico, come avrebbero potuto fare gli italiani, o di creare un’ampia coalizione, come sarebbero in grado di fare solo i tedeschi. Queste analisi modeste essenzializzano i popoli e non reggono a un esame più serio. Dimenticano che sono le istituzioni a determinare le regole politiche. La Quinta Repubblica francese si basa su una diarchia del potere esecutivo e può funzionare correttamente solo con maggioranze chiare. Questo sembra impossibile, hic et nunc.

Il difficile funzionamento del sistema parlamentare e la crisi del principio di autorità – più che mai oggi il Re è nudo – sono avvenimenti che non hanno precedenti storici. Sono il culmine della crisi organica che la Francia sta attraversando da diversi anni. La crisi si è manifestata con l’irruzione nella storia di una grande massa di persone che fino a quel momento erano rimaste passive (i gilet gialli) e continua ad esprimersi nel declino della classe media che crede a torto o a ragione nelle virtù del sistema politico. Infine, c’è la crisi dell’egemonia della classe dirigente.

Mutatis mutandis, le analisi di Gramsci nel settimo Quaderno del carcere offrono una stimolante interpretazione di questa situazione. Emmanuel Macron sogna senza dubbio un’uscita dalla crisi attraverso un «cesarismo senza Cesare», cioè attraverso una riorganizzazione delle élite per mezzo di un’ampia coalizione il cui punto di equilibrio sarebbe la sua formazione politica e che escluderebbe l’estrema destra e la sinistra, stigmatizzata come «estrema sinistra». Il vecchio sogno dell’orleanismo politico!

Vista con le lenti della storia politica italiana l’attuale situazione francese ricorda i tempi di Cavour quando c’era una Camera eletta sulla base del suffragio censitario, la cui missione era quella di realizzare il connubio tra le famiglie politiche liberali favorevoli al Risorgimento ed escludeva i neri (le forze clericali) e i rossi (i mazziniani) dall’arena politica. Ma quel tempo è definitivamente passato. Nell’attuale situazione francese un’operazione del genere sarebbe puramente politicistica e, cosa più grave, metterebbe in discussione il secondo insegnamento di queste elezioni: la riaffermazione della cultura repubblicana.

Un’altra volta ancora la «disciplina repubblicana» è riuscita a bloccare l’estrema destra. Gli elettori di destra e di centro, ma soprattutto quelli di sinistra – gli unici ad avere ricevuto indicazioni chiare e inequivocabili – hanno espresso il loro voto per il candidato opposto a quello del Rassemblement National. Con questa scelta, la stragrande maggioranza dei francesi ha dimostrato il proprio attaccamento all’identità francese nella misura in cui essa deriva dai principi filosofici repubblicani: un francese è colui che rispetta il contratto sociale, cioè i valori della Repubblica. Allo stesso tempo, è stata rifiutata un’identità basata su un approccio naturalistico al concetto di «popolo». Questa teoria ritiene che un francese sia solo colui che fa parte della comunità di sangue. Oggi la cultura politica repubblicana resta quindi la cultura politica dominante. Conserva la forza nazional-popolare che ha avuto sin dalla metà del XIX secolo.

Ma fino a quando durerà? Questa è la grande domanda che tutti i cittadini devono porsi, in primo luogo quelli che occupano posizioni di responsabilità. Come ai tempi dell’affare Dreyfus, dobbiamo raccogliere la sfida della storia costruendo un governo di difesa repubblicana. Il Nuovo Fronte Popolare, riaffermando senza ambiguità la sua cultura repubblicana, ha colto questa profonda esigenza. Ora bisogna dargli i mezzi per rendere meno dolorosa la «questione sociale», consentendogli di applicare i punti essenziali del suo programma. Questo è l’unico modo per sanare una società francese fratturata. Agire diversamente porterebbe la Francia, come ha scritto Gramsci, in «interregno (dove) si verificano i fenomeni morbosi più svariati».

Jean Yves Frétigné*, il manifesto, 11 luglio

*Docente di storia contemporanea all’Università di Rouen, autore della biografia Antonio Gramsci: Vivre, c’est résister, Dunod.
(traduzione di Roberto Ciccarelli)

 

Gran Bretagna. Un leader ambiguo, lontano anche dalla terza via

Starmer vince, ma non convince. Una formula abusata, che in questo caso non è fuori luogo. La maggioranza numerica del Labour in parlamento è ampia, e la sconfitta dei Tories è schiacciante. L’analisi del voto, e i dati sull’affluenza, rivelano tuttavia una situazione diversa rispetto a quella in cui il Regno Unito si è trovato l’ultima volta in cui i Laburisti sono andati al governo, guidati da Tony Blair, in seguito a una landslide (valanga) di suffragi nel 1997.

Anche nel 1997 i Tories avevano perso la fiducia del paese (la crisi monetaria del Black Wednesday nel 1992, e diversi scandali, avevano lasciato il segno), ma l’economia dava chiari segni di ripresa, e Blair sapeva di poter contare su un certo margine per gli interventi di spesa sociale annunciati nel manifesto del partito. Oggi Starmer ha tratto vantaggio da un partito Conservatore la cui credibilità è distrutta, forse in modo irrimediabile, ma prende la guida del governo in una situazione, non solo economica, di gran lunga peggiore rispetto a quella della fine degli anni Novanta. Nelle elezioni che videro il trionfo del New Labour era già presente il tema del rapporto con l’Europa, ma i candidati del Referendum Party, presenti in molte circoscrizioni, non riuscirono a entrare in parlamento. A guidare i Tories erano figure come John Major (che dopo aver rassegnato le dimissioni andò ad assistere a una partita di Cricket) e Kenneth Clarke.

Uomini dell’ala moderata del Thatcherismo, che infatti si sono schierati in tempi recenti contro il loro partito sulla Brexit.

Nell’atmosfera di fiducia nel futuro seguita alla fine della guerra fredda, Tony Blair poteva credibilmente puntare a rappresentare una versione aggiornata del Laburismo di Harold Wilson, progressista sul piano dei costumi e inclusivo dal punto di vista sociale.

Questo era il senso del New Labour, che trovava in tendenze analoghe negli Stati Uniti e in Europa interlocutori simpatetici. Una manifestazione chiara della diversa atmosfera che accoglie Tony Blair quando si reca a Buckigham Palace a ricevere l’incarico dalla regina si vede nei filmati di allora. Con uno strappo al protocollo, Blair e la moglie entrarono nella residenza reale a piedi, attraversando una folla in festa, che li salutava con entusiasmo. All’ingresso di Downing Street Blair dice poche parole (pare che per scaramanzia non avesse preparato un discorso formale) con un messaggio tutto in positivo.

Molto diverso invece il discorso tenuto ieri da Starmer, davanti a una platea di militanti. Ripete ossessivamente la parola «cambiamento» e si riferisce molto spesso alla «nazione». Insiste sul fatto che il partito è cambiato, e poiché lo ripete di continuo in circa mezz’ora assume un tono apologetico, che era estraneo allo spirito del discorso di Blair nel 1997. Dice che il partito «cambiato» metterà al primo posto il paese, e che ne proteggerà i confini. Formule che riecheggiano temi centrali per la destra nazionalista, e la seconda non appare lusinghiera per quei quadri del partito che rappresentano la continuità rispetto agli anni di Corbyn e di Ed Miliband.

Solo negli ultimi dieci minuti c’è un accenno, brevissimo, a un tema classico della sinistra, quando rievoca il senso di sicurezza che la generazione dei suoi genitori aveva nel vivere in un paese in cui si poteva sperare in un futuro migliore per i propri figli. Su come si dovrebbe restaurare questo senso di sicurezza però non dice nulla.

La parola «fairness», centrale nel discorso del New Labour non viene mai pronunciata, e nemmeno parla di giustizia o eguaglianza.

Sullo sfondo ci sono seri dubbi, sollevati da molti osservatori, sulla solidità di una maggioranza che è ampia, ma che potrebbe rivelarsi fragile. Sul piano delle politiche sociali la sua preoccupazione principale in campagna elettorale è stata non spaventare gli investitori e le imprese.

L’impegno ribadito più volte per il rispetto della disciplina fiscale lo ha spinto a rinnegare misure popolari, su cui in passato aveva espresso un parere positivo, come quella che eliminerebbe i limiti imposti dai Tories ai benefici per le famiglie che hanno più di due figli. Questo, in un paese con un grave problema di povertà infantile, non è un segnale incoraggiante. Possibile che alcune di queste posizioni vengano riviste, ma sarebbe un nuovo cambio di direzione per un leader che ha già mostrato una certa disinvoltura nel rinnegare impegni presi in precedenza.

C’è poi il tema della Palestina, che ha provocato fratture che hanno avuto conseguenze importanti nel voto (anche nel suo collegio, dove Starmer ha perso molti voti a favore di Andrew Feinstein). Un dissenso che è stato soffocato, con metodi piuttosto sbrigativi, ma che potrebbe riesplodere trovando anche una sponda in parlamento (oltre a Jeremy Corbyn, sono stati eletti quattro parlamentari indipendenti su una piattaforma di difesa dei diritti dei palestinesi, e su questo tema i malumori ci sono anche nel partito).

Insomma, Starmer è per molti versi un’incognita, con ambiguità e debolezze, non un ritorno alla Terza Via.

Mario Ricciardi, il manifesto, 6 luglio


Su il Fatto Quotidiano parla il grande regista inglese Ken Loach ... (6 luglio 2024)


La prima pagina del Corriere (5 luglio 2024)


La prima pagina di la Repubblica (5 luglio 2024) 


I voti veri contati nelle urne giovedì 4 luglio 2024


Il voto del Labour Party di Jeremy Corbin nel 2017 ...


I voti delle elezioni del 2015 con la sfida Cameron - Miliband ...


La prima pagina di la Repubblica del 1 luglio 2024 ...


La prima pagina di la Repubblica dell'8 luglio 2024 ...


La prima pagina del Corriere della Sera ... (8 luglio 2024)


I voti reali nelle elezioni francesi 2024 ...


I voti del 2022 ...


I voti del 2017 ...














Dall'archivio di XR: Lo striscione appeso dagli attivisti ecologisti a Palazzo d'Accursio, martedì ...
 

La protesta davanti all'entrata del Municipio in Piazza Maggiore: persone e tecnologie ...


Mobilitazione e proposta ...


Disobbedienza civile non violenta per evidenziare le contraddizioni dei governi del G7 ...


Lo sguardo alla Piazza ...

L'intervento della Polizia ...


Il fermo di ragazze e ragazzi ... Seguiranno violenze e denunce.


La gru e i Vigili del Fuoco per rimuovere lo striscione ...


Il presidio di ragazze e giovani di Extinction Rebellion davanti alla Questura di Bologna dopo il fermo di 21 attivisti per l'ambiente davanti a Palazzo d'Accursio ... (9 luglio 2024)

 
































Oggi pomeriggio, Extinction Rebellion ha occupato la terrazza di Palazzo d’Accursio, sede del Comune di Bologna, mentre due persone si sono calate dai merli del tetto per esporre uno striscione con lo slogan “G7: la vostra tecnologia, il nostro collasso”Bloccato anche l’ingresso del Comune da una decina di persone che si sono sedute, incatenate tra loro, dopo aver deposto un cumulo di rifiuti tecnologici simbolicamente insanguinati con vernice rossa. Il gruppo di persone sulla terrazza è stato raggiunto da agenti della digos, che hanno requisito i telefoni cellulari e buttandoli a terra li hanno resi inutilizzabili.

"Sono decenni che le comunità scientifica viene ignorata e denigrata, proprio dai governi del G7 e degli stessi ministri che oggi sono qui a Bologna, dichiarando di voler delegare il contrasto della crisi ecoclimatica alla tecnologia" dichiara Jean Claude di Extinction Rebellion. Da decenni, infatti, la comunità scientifica sta lanciando continui allarmi ai governi di tutto il mondo affinché agiscano immediatamente per ridurre le emissioni climalteranti, arrestare la distruzione degli ecosistemi e fermare la perdita di biodiversità. Nelle recenti parole di Antonio Guterres, il segretario generale dell’ONU, in occasione del WorldEnvironment Day e in vista del vertice del G7 italiano "è giunto il momento per i leader mondiali di decidere da che parte stare, perché domani sarà troppo tardi. Oggi è il momento della verità”. Dure parole che arrivano dopo i ripetuti allarmi lanciati in questi anni direttamente dalle Nazioni Unite, che non hanno però visto grandi cambiamenti nelle politiche climatiche globali. In un recente report del The Guardian, Lorraine Whitmarsh, dell'Università di Bath, in Gran Bretagna, parla di "una carenza di volontà politica e interessi economici che impediscono di affrontare la crisi climatica".

I governi del G7 stanno promuovendo un progresso tecnologico non finalizzato al benessere delle popolazioni e alla protezione degli ecosistemi, ma volto a sostenere l’attuale sistema economico e produttivo, contribuendo spesso a guerre, crisi umanitarie e alla crisi eco-climatica in corso" dichiara Pasquale. "L’Intelligenza Artificiale è l’esempio perfetto di questo paradigma". Il nuovo rapporto sull’impatto dell’intelligenza artificiale sulla crisi climatica, recentemente pubblicato dal gruppo “Climate action against disinformation coalition”, avverte che l’intelligenza artificiale porterà a un crescente utilizzo di energia da parte dei data center e a una progressiva impennata di falsità e disinformazione climatica. L'80% del tempo necessario per addestrare l'intelligenza artificiale, inoltre, consiste nel selezionare e etichettare un enorme moli di dati. Un lavoro alienante, svolto in Uganda, Kenia o India per 1 o 2 dollari l'ora, che espone gli operatori a visionare materiale violento o pornografico per ore e ore ogni giorno.

In un mondo dilaniato dai danni sempre più ingenti di alluvioni, incendi e siccità, i governi sembrano quindi ricorrere a tecnologie che hanno l’obiettivo di anticiparne i danni, più che risolverne le cause. Citando ancora Guterres“queste tecnologie non sono una soluzione miracolosa; non possono sostituire drastici tagli alle emissioni o una scusa per ritardare l’eliminazione graduale dei combustibili fossili”. Mentre la crisi ecoclimatica avanza, da una delle regioni più colpite d’Italia - che sta ancora facendo i conti con i danni causati dalle alluvioni dello scorso anno - Extinction Rebellion lancia l’ennesimo grido di allarme: “questo concetto distorto dello sviluppo tecnologico ci sta letteralmente portando al collasso. Fermiamoli prima che sia troppo tardi” conclude Pasquale.

Extinction Rebellion, 9 luglio 2024


Le è stato chiesto di spogliarsi e di piegarsi sulle gambe, in un bagno fetido e dall’odore nauseabondo, con il pavimento ricoperto di sporcizia. È quanto accaduto a un'attivista di Extinction Rebellion dopo la manifestazione di ieri pomeriggio in piazza MaggioreHa dovuto togliersi le scarpe, i vestiti e la biancheria intima, e piegarsi sotto gli occhi dell'agente che la stava perquisendo. Alle sue richieste di spiegazione le è stato risposto che si tratta di una normale procedura, una prassi a cui sono sottoposte tutte le persone in stato di fermo, nonostante nessuna delle altre venti persone presenti abbia subito lo stesso trattamento umiliante. I nostri avvocati ci hanno confermato che perquisire una persona con queste modalità non è assolutamente una prassi. È una procedura discrezionale, applicata sulla base di valutazioni puntuali. Quello che è accaduto ieri è un trattamento degradante e ingiustificato” dichiara Annalisa, del supporto legale di Extinction Rebellion.

Di fronte alle ripetute richieste di spiegazione, gli ispettori di Polizia e gli agenti della DIGOS hanno giustificato l'accaduto come un errore, un fraintendimento, come una prassi che avrebbero dovuto applicare a tutti ma che, per gentilezza, sarebbe stata applicata a una sola attivistaHo da subito preteso che l'accaduto fosse messo a verbale, ma il verbale che mi è stato presentato contiene falsità” dichiara la donna che ha vissuto l'abuso. Vi è scritto che mi sarebbe stato chiesto se volessi essere assistita da un avvocato o da una persona di fiducia durante la perquisizione e che io avrei risposto no. Questo è falso. Quella domanda non mi è mai stata rivolta e io, certamente, avrei avuto piacere di essere assistita.

Questo è solo l'episodio più grave tra quelli che hanno accompagnato la protesta pacifica e nonviolenta svoltasi ieri a Palazzo d'Accursio, per evidenziare "l'ipocrisia dei governi, nel celebrare quella scienza i cui allarmi sulla crisi ecoclimatica sono invece ignorati da decenni. Ipocrisia confermate dalle dichiarazioni prive di logica della ministra Bernini che questa mattina attacca Extinction Rebellion, perché non ha le competenze per parlare di crisi ecoclimatica". Ieri una decina di persone erano salite sulla terrazza della Torre dell'Orologio, da cui in tre si sono poi calate e appese con imbraghi, in sicurezza, per esporre un grande striscione G7: La vostra tecnologia, il nostro collasso. Sul posto sono arrivati gli agenti della DIGOS, minacciando di arresto chiunque tentasse di dialogare. Un attivista è stato spintonato e sgambettato e gli è poi stato preso il telefono nel tentativo di cancellare i video con cui stava documentando l'accaduto. Nel frattempo, davanti all'ingresso del Palazzo, altre persone si sono sedute e incatenate tra loro. Rimosse dopo poco più di mezz'ora sono state trascinate sulle volanti della polizia, trasferite in Questura e poste in stato di fermo per oltre 7 ore senza ricevere cibo e acqua, come invece previsto dalla legge. Intorno all'una di notte, le persone sono state rilasciate con denunce surreali come delitto tentato” violenza privata.

Molti autorevoli osservatori hanno evidenziato negli ultimi mesi la repressione in atto in Italia e in Europa nei confronti degli attivisti climatici. Michel Forst, inviato speciale dell'ONU per i difensori dell'ambiente, parla di grave minaccia per la democrazia e i diritti umani. Proprio oggi, in Senato, viene presentato il nuovo report di Amnesty International Poco tutelato e troppo ostacolato: lo stato del diritto di protesta in 21 stati europei”, che evidenzia come nella storia, la protesta pacifica ha avuto un ruolo cruciale nel raggiungimento di molti dei diritti e delle libertà che oggi diamo per scontati. Eppure, in tutta Europa, leggi e politiche repressive, combinate con pratiche ingiustificate e tecnologie di sorveglianza invasiva, stanno creando un ambiente tossico che rappresenta una seria minaccia per le persone che manifestano pacificamente”.

In una Bologna dove le storie di abusi da parte delle forze dell'ordine si stanno facendo sempre più frequenti, Extinction Rebellion invita tutte le persone che hanno a cuore la democrazia a denunciare la deriva autoritaria di questo governo.

Extinction Rebellion, 10 luglio 2024


7 commenti:

  1. Mi sembra che qui entra il punto. Se il Corsera e Rep. non pubblicano i dati dei voti espressi nelle elezioni di F. e GB. (come altre volte delle amministrative o delle europee) non è perché mancano di dati e spazi. Le redazioni sanno e possono. Piuttosto mancano di volontà e interesse. Con lo stile che contraddistingue i due giornali entrambi preferiscono orientare la politica anziché informare i lettori.
    Del resto tutto il circuito mediatico funziona così. Ore ed ore di maratone su La7 di Chicco Mentana sono spese a proporre e commentare sondaggi, proiezioni e percentuali. Poi vincitori e vinti. I problemi della vita quotidiana e delle comunita? Le opportune verifiche e indagini? Delegate a due confinate trasmissioni.
    M.

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  2. Molto interessanti i numeri assoluti e le relative considerazioni. Ciò implica naturalmente una cultura politica che non si riduce alla dialettica istituzionale e dà peso alla società.
    Della serie la sinistra di Corbyn e Melenchon conquista fascie di elettorato superiori a quelle dei laburisti e dei socialisti classici, compatibili con il sistema finanz-capitalistico.
    C'è di che ragionare allora sui problemi locali.
    De Pascale è la scelta più opportuna per l'Emilia Romagna post Bonaccini? Non c'è il rischio che la continuità politico-amministrativa prevalga sui necessari cambiamenti strutturali indotti dalla crisi?
    Lepore può continuare a tacere sui ripetuti episodi di sospensione di diritti fondamentali dei cittadini operati da autorità pubbliche che si arrogano poteri che non gli spettano secondo la Costituzione italiana? La denuncia di XR merita risposta dal sindaco di Bologna!
    DG

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  3. Perfetto, la crisi dell'Europa sta nelle politiche di conservazione che vanno ben oltre Giorgia Meloni e i suoi. Il "nostro collasso" non si risolve con Bernini, né con Bonaccini - De Pascale.
    s.

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  4. Triste la vita in un mondo in cui legittime contestazioni alle autorità pubbliche sono oggetto di campagne dei media pagati dai cittadini mentre illegali violenze e intimidazioni di apparati dello Stato contro giovani e ragazze non trovano attenzione e spazio alcuno.
    L.

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  5. In effetti per provare a risolvere i piccoli e i grandi problemi della vita ci vorrebbero disponibilità non riscontrate da parte di chi occupa ruoli rappresentativi.
    Oggi il voto è sentito da chi riconosce ai soggetti (politici???) in lizza funzioni o poteri che altri non apprezzano.

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  6. Uno sguardo attento ci può aiutare a capire che il voto e I leader non sono risolutivi da nessuna parte al mondo. Nel secolo scorso avremmo detto che servivano socialismo e democrazia. Ora? Il socialismo nessuno lo vuole e la democrazia nessuno la pratica. Così tornano individualismi, nazionalismi, guerre, despoti, imperi.
    E gli US in bilico tra Biden e Trump.
    Un futuro incerto come mai.
    Carlo

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  7. In Europa la Pop. von der Layen al bis con i voti di Socialisti e Democratici più i Liberali e i Verdi. Contro Conservatori e destre.
    Qui Alleanza Verdi e Sinistra più Movimento 5 stelle interrogano il Ministro Piantedosi sui fatti denunciati da XR e silenzio sugli interventi di polizia e carabinieri al Don Bosco con i problemi di sicurezza evidenti a tutti da foto e filmati.
    Che fatica capire la politica!!!!!!
    Gil

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