Col suo brutale discorso del 1° giugno di quest’anno il presidente Trump ha dichiarato che gli Stati uniti non intendono più aderire agli impegni presi dal suo predecessore a Parigi nel dicembre 2015 sulle azioni per attenuare le cause dei cambiamenti climatici.
Tali azioni, secondo Trump, limiterebbero certe attività importanti per l’economia e i lavoratori del suo paese (l’uso del carbone come combustibile), faciliterebbero le importazioni di autoveicoli meno inquinanti con danno per l’industria automobilistica americana e imporrebbero ai consumatori americani maggiori costi per merci alternative e maggiori tasse per risarcimenti finanziari ai paesi danneggiati.
Come è ben noto, i cambiamenti climatici sono dovuti a varie cause, tutte di carattere economico e merceologico, distribuite diversamente fra i vari paesi, come sono distribuiti diversamente i danni e i relativi costi.
La principale causa è costituita dalla modificazione della composizione chimica dell’atmosfera per la crescente immissione di «gas serra»: anidride carbonica proveniente dalla combustione dei combustibili fossili (in ordine decrescente di danno, carbone, prodotti petroliferi, gas naturale), metano proveniente dall’estrazione e trasporto del gas naturale e dalla zootecnia intensiva, e alcuni altri.
In secondo luogo i cambiamenti climatici sono dovuti al taglio delle foreste praticato per «liberare» nuovi spazi da dedicare all’agricoltura e all’estrazione di minerali, soprattutto per ricavarne merci destinate all’esportazione, e alle modificazioni della struttura del suolo a causa delle coltivazioni intensive che assicurano maggiori profitti agli agricoltori e per l’espansione degli spazi urbanizzati.
I soggetti coinvolti sono approssimativamente due: gli inquinatori, soprattutto i paesi industriali tradizionali o di nuova industrializzazione (diciamo i ricchi), e gli inquinati, diciamo i poveri, quelli che sono esposti alla siccità, alla desertificazione, e, d’altra parte, ad alluvioni e allagamenti. Con varie contraddizioni: sono danneggiati anche i paesi inquinatori (le alluvioni e la siccità colpiscono anche Europa, Stati uniti e Cina, importanti inquinatori) e d’altra parte anche i paesi poveri, che subiscono maggiormente le conseguenze dei mutamenti climatici, ne sono anch’essi responsabili in parte, soprattutto per la distruzione delle foreste o le attività minerarie.
Gli accordi di Parigi, come è noto, vincolano i paesi inquinatori a limitare le attività responsabili dei mutamenti climatici (usare meno combustibili fossili, soprattutto carbone, ricorrere a energie rinnovabili, produrre merci, soprattutto autoveicoli, che inquinano meno a parità di servizio, per esempio di chilometri percorsi), e a risarcire i paesi poveri che subiscono maggiormente i danni dei mutamenti climatici.
Il più comune strumento è una imposta, pagata dagli inquinatori in proporzione alla quantità di gas serra emessi, destinata ad azioni di rimboschimento, ad aiuti ai popoli alluvionati o resi sterili dalla siccità.
Meccanismi da regolare con accordi commerciali – si tratta di un vero e proprio commercio del diritto di inquinare, una specie di commercio delle indulgenze – abbastanza complicati.
Per farla breve, si tratta di soldi che gli inquinatori devono tirare fuori, con tasse e perdita di posti di lavoro e modificazioni dei consumi — cose sgradevolissime per la società globalizzata basata sulla legge fondamentale del capitalismo: la crescita del prodotto interno lordo, alla quale devono ubbidire i governanti per compiacere gli elettori che pensano ai soldi e agli affari.
Si capisce bene, quindi, perché il presidente Trump, con la sua abituale brutalità, ha detto che lui «deve» pensare agli interessi dei lavoratori, dei cittadini e dei finanzieri americani e non al futuro del pianeta Terra e alla sorte dei paesi desertificati o alluvionati.
A dire la verità, probabilmente tutti i paesi industriali inquinatori pensano la stessa cosa pur dichiarando a gran voce la fedeltà agli accordi di Parigi.
In un certo senso coloro a cui stesse a cuore davvero il futuro del pianeta dovrebbero essere riconoscenti a Trump per aver ricordato con chiarezza i veri caratteri dei rapporti fra natura, società ed economia.
Ai tempi dei primi movimenti di contestazione «ecologica», all’inizio degli anni settanta, nel nome dell’ecologia sembrava possibile fermare lo sfruttamento della natura, rallentare i consumi superflui e i relativi sprechi e rifiuti, attenuare le disuguaglianze fra ricchi e poveri. Poi, col passare degli anni, i movimenti ambientalisti si sono appiattiti sui valori e le «leggi» dell’economia globalizzata. Molti sono diventati collaboratori dei governi nelle imprese apparentemente verdi, sostenibili, sono diventati sostenitori delle merci biocompatibili, delle fonti di energia rinnovabili (solare e eolico), in realtà occasioni di nuovi affari e commerci.
Trump ci ha ricordato che i problemi ambientali sono un nuovo volto della lotta di classe fra ricchi/inquinatori e poveri/inquinati e la loro soluzione – e la salvezza del pianeta – sono ottenibili soltanto recuperando la voglia di lottare per superare il capitalismo, per una maggiore giustizia sociale, premessa anche per la liberazione dalla violenza fra le persone, i paesi, le generazioni – oltre che verso la natura.
Giorgio Nebbia, il manifesto, giovedì 29 giugno
Una "eco"voluzione?!
RispondiEliminaL.
Le critiche sono condivisibili. Tuttavia, le considero insufficienti. Servono idee e progetti alternativi per "superare il capitalismo " ....
RispondiEliminaAltrimenti si collabora o si scompare.
Antonio
Perfino la stessa città di Pittsburgh si e' schierata contro la decisione di Trump di uscire dal trattato di Parigi. Trump, nel suo discorso, aveva detto di essere stato eletto per rappresentare e difendere i cittadini di Pittsburgh e non quelli di Parigi. Peccato che non abbia capito o non abbia voluto capire che Pittsburgh e le altre città Americane con simili radici nel mondo industriale soprattutto legato alle acciaierie ed altri settori altamente inquinanti, ora sono realtà totalmente diverse. Sono città che si stanno impegnando per liberarsi dai danni che le varie forme di inquinamento legate alla loro produzione hanno causato all'ambiente. Si stanno reinventando, investendo sulla salute, la tecnologia e l'energia pulita. A Pittsburgh oggi ci sono più posti di lavoro legati all'energia pulita che alle acciaierie. Il sindaco di Pittsburgh si e' pertanto schierato contro la decisione di Trump ed ha annunciato che la città aderirà al trattato di Parigi per difendere la sua gente, l'economia ed il suo futuro. Molti Stati americani (tra cui la California dove io vivo) hanno fatto lo stesso. Certo non basta ma credo che renda l'idea di come questa decisione sia stata vissuta ed ostacolata.
RispondiEliminaStrano il mondo, Angela.
EliminaTu scrivi che il sindaco di Pittsburgh per difendere i suoi cittadini contraddice il Presidente Trump ....
Qui in Italia il sindaco di Bologna e i ministri bolognesi ed emiliani si dichiarano a favore degli impegni di Parigi (come il Governo Renzi) poi operano come nulla fosse per perpetuare uno sviluppo insostenibile (strade, autostrade, consumo di suolo oltre ogni limite ambientale e sociale) ...
Anna