venerdì 29 marzo 2013

Nel voto la voglia di cambiamento

1. Il voto del 24/25 febbraio è stato importante e, per molti, sorprendente.
Silvio Berlusconi, un leader potente che ha segnato la storia nazionale di almeno un ventennio, ha subito una netta sconfitta politica. Con il suo Popolo delle Libertà è stato relegato a terza forza del paese. Lo hanno votato meno di 1 elettore su 4 e con i suoi alleati della Lega Nord realizza meno del 30%. 
Anche Mario Monti, l'uomo che lui aveva contribuito a scegliere per andarsene e che ha retto il "Governo dei tecnici" per oltre un anno con il sostegno di PdL, UdC e PD, praticando dure scelte di rigore, è stato sconfitto. Ha conseguito, nonostante il sostegno internazionale, un modesto risultato (attorno al 10%).
Complessivamente, la destra e il cosiddetto centro moderato e liberale hanno raccolto attorno al 40% degli italiani.
La crisi ha colpito, innanzitutto, chi l'ha provocata, sottovalutata e affrontata con soluzioni sbagliate, ingiuste ed inefficaci, in linea con le politiche dei tecnocrati europei.
Il resto degli elettori si è diviso su CentroSinistra (prima coalizione) e MoVimento 5 Stelle (prima lista sul territorio nazionale). Bersani pensando venisse premiato "il senso di responsabilità" del suo partito e il "metodo delle primarie" non si è speso per un "governo del cambiamento" (proposto solo dopo il voto) e ha stancamente sostenuto che "anche qualora la sua coalizione avesse conquistato il 51%, si sarebbe comportato come ne avesse ricevuto il 49% e avrebbe proposto una alleanza con Monti", indebolendo, così, anche la credibilità alternativa degli alleati di Sinistra Ecologia e Libertà.
Il M5S ha raccolto la protesta, la critica, la voglia di cambiare e di fare piazza pulita di classi dirigenti sempre più isolate, prive di consenso e di fiducia perché responsabili della crisi e della corruzione dilagante.

2. In un paese che vede tre schieramenti forti di un consenso popolare compreso tra il 25 ed il 30% (ed un quarto sul 10%) a chi compete la responsabilità di governare? 
A tutti, ma in primo luogo a chi, per effetto di una legge definita porcellum da chi l'ha voluta, ha conquistato, pure se per poco, la maggioranza assoluta alla Camera e quella relativa al Senato.
Il centrosinistra ha dato subito una prima parziale risposta parlando di "governo del cambiamento" e proponendo un elenco di "8 punti" per un nuovo e diverso programma. Ha tuttavia ancora sottovalutato la richiesta di cambiamento, la sfiducia oggettiva negli schieramenti tradizionali, la coerenza e l'intransigenza del M5S.
Pierluigi Bersani, più di molti altri dirigenti del PD, pare avere capito che non si può andare incontro alle domande di cambiamento politico, sociale e culturale ricercando e concordando risposte con la destra ed il centro moderato e liberale.
Ma l'avvio di una fase nuova e diversa per il centrosinistra è un passaggio non scontato nel corpo sociale e nei suoi gruppi dirigenti e per essere considerata credibile e non una delle tante operazioni trasformiste e di potere della politica italiana necessita di proposte nuove e coerenti (in programmi e persone) e di tempi certi di verifica. Per il centrosinistra con considerare questo problema vuole dire compromettere il risultato e metterlo in discussione prima ancora di avviarlo. Sarebbe stato necessario un atto semplice: la rinuncia del Candidato Premier della coalizione "prima ma non vincente" come sostenuto dallo stesso Bersani, la disponibilità a ricercare una soluzione alternativa (come avvenuto per la presidenza delle assemblee parlamentari) concordata o accettata e riconosciuta come espressione di (o mediazione tra) schieramenti che fino ad un mese fa si sono contrapposti. Questo avrebbe consentito a Bersani di guidare da segretario il suo partito in questa svolta e al Movimento 5 Stelle di capitalizzare un altrettanto non scontato passaggio dal "tutti a casa" a "contribuiamo a cambiare, assumendoci responsabilità" che non stavano nel mandato.elettorale ricevuto da oltre 8 milioni di elettori.

3. Le prossime ore sono decisive. In questo Parlamento ci sono le condizioni per un "Governo del cambiamento". Bisogna ancora crederci e volerlo. Innanzitutto nel centrosinistra, portando ulteriormente avanti le prime riflessioni e le prime proposte di Bersani: con determinazione, realismo e maggiore modestia; disponibili ad essere partecipi  di un processo che include altri indispensabili ed utili protagonisti.
Si avanzino, dunque, proposte nuove, conseguenti e coerenti.
Un Governo politico presieduto e composto da personalità rispettate ed autorevoli, impegnato a realizzare pochi urgenti e rilevanti progetti in tempi dati: cambio delle politiche europee, risparmi su costi della politica, taglio dei redditi d'oro, delle spese militari e per grandi opere inutili, tutela dei redditi più bassi, interventi urgenti per la messa in sicurezza del territorio e per la salute delle persone, azioni positive per combattere evasione ed elusione fiscale, per allargare la quantità dei contribuenti, promozione dei diritti dei cittadini e dei lavoratori, sviluppo della partecipazione democratica, cambio della legge elettorale entro un progetto istituzionale democratico ...
Chi non ci sta? 
Grillo? Vediamolo.
Napolitano? E allora chiediamogli di anticipare di dieci giorni la sua uscita ed eleggiamo un nuovo Presidente. Proponendo una personalità espressione dei nuovi tempi, della spinta al cambiamento. Un Stefano Rodota', un Gustavo Zagrebelsky, un Luigi Ciotti, una Laura Boldrini, una Margherita Hack, ...
L'alternativa sarebbe un ritorno al passato, al fortino di una politica e di un potere arroccati ed isolati da un paese in sofferenza e arrabbiato.
La disponibilità e le offerte verso il centrosinistra di Berlusconi e del centrodestra sono programmatiche ed indicative. In campo ci sono poteri forti, economici e finanziari, pubblici ed occulti.
Muovere in questa direzione sarebbe una grave e pericolosa chiusura al nuovo, alla spinta critica e partecipativa emersa dal voto, l'inizio di una svolta autoritaria e di destra.
 

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