martedì 23 luglio 2024

Oltre Biden e Trump, De Pascale o Ugolini ... questioni da affrontare!

Una significativa immagine Ikon-images pubblicata su il manifesto on line in questi giorni











Nubi nere si susseguono. Di tanto in tanto timidi squarci di luce non mutano lo scenario. Semmai suggeriscono di considerare la variabilità e la complessità del clima ... Si può favorire l'arrivo di una stagione migliore? Come?

Nel mondo in bilico tra "guerre infinite" che rischiano di estendersi, tra conflitti sociali ed ambientali per la sopravvivenza di intere comunità, tra regimi illiberali e democrazie in profonda crisi di rappresentanza e di egemonia, tra pulsioni autoritarie e ricerca di scorciatoie illusorie, studiosi e commentatori di varia nazionalità, origine e cultura partendo da fatti, esperienze, vicende storiche e di attualità contribuiscono in questi giorni a promuovere riflessioni, conoscenze e indicazioni utili al pensiero critico ed al protagonismo di tutti noi.

Ecco alcuni scritti di recentissima pubblicazione: I Neocon e la NATO dell'apocalisse di Jeffrey Sachs; Il Parlamento UE filiale della NATO di Barbara Spinelli; Kamala, la "poliziotta" che sale di corsa le scale del potere USA di Pino Corrias;  Guerre e distruzione: Biden e Trump pari sono di Fabio Mini; Medio Oriente. L'esaurimento etico dell'Occidente di Iain Chambers; L'Aja. Fine del tabù, ora il mondo deve agire di Riccardo Noury; Green Deal. Transizione negata e "maltempo" di governo di Massimo Serafini.

Approfondire le conoscenze, ragionare sulle interconnessioni globali e locali, definire priorità e proposte è urgente per incidere sugli eventi.


Medio Oriente. L'esaurimento etico dell'Occidente

Il tempo della politica si presenta come piatto e cronologico: una reazione all’immediatezza degli eventi. Opera in funzione dei poteri esistenti, della loro distribuzione e della loro portata geopolitica. La storia è spesso ridotta ad un semplice ribadire del senso comune. E le contraddizioni e problematiche strutturali a una gestione transitoria delle crisi. 

Il nuovo governo laburista del Regno Unito promette cambiamenti, sia sul fronte interno che negli affari esteri, anche se di questi tempi, con il ruolo centrale che la migrazione riveste nelle agende pubbliche di tutto lo spettro politico occidentale, i due aspetti sono profondamente intrecciati e sollevano profondi interrogativi sulla storia globale e sulla costituzione della modernità.

David Lammy, il nuovo ministro degli Esteri, è nero, figlio di genitori della classe operaia e di quella diaspora africana che, attraverso la schiavitù, ha raggiunto la GranOccidente Bretagna passando per i Caraibi.Quindi, quali cambiamenti possiamo aspettarci? Dopotutto, il movimento Black Lives Matter negli Stati Uniti è stato esplicito nel suo sostegno ai palestinesi, riconoscendo giustamente nell’occupazione coloniale della Palestina delle risonanze storiche con la formazione razzista colonizzatrice e suprematista bianca degli Stati Uniti, che persiste nelle sue riserve, nella segregazione e nei ghetti.

Se la domanda è retorica, essa ci permette tuttavia di confrontarci con una prospettiva politica più ampia. Questa diventa particolarmente urgente in un momento caratterizzato dall’esaurimento etico dell’Occidente. Se torniamo alla Palestina, al campo di concentramento coloniale in cui l’Europa cerca di espiare la sua colpa per secoli di antisemitismo culminati nella Shoah, la politica estera britannica risulta centrale in questa storia. Ben prima della Dichiarazione Balfour del 1917, che prometteva una patria per gli ebrei europei in Palestina, l’egemonia londinese nel Mediterraneo del XIX secolo stava già incoraggiando i ferventi cristiani del Regno Unito e degli Stati Uniti a mettere in gioco le loro rivendicazioni per appropriarsi e definire la Terra Santa.

Fu con l’occupazione britannica dell’Egitto e la successiva costruzione del Medio Oriente (che si trovava al centro tra il Regno Unito e l’India) che la Gran Bretagna prese il comando. La spartizione segreta anglo-francese Sykes-Picot del 1916 e i successivi mandati che le due potenze europee ottennero dalla Società delle Nazioni ebbero come conseguenza la suddivisione delle coste e dell’entroterra del Mediterraneo asiatico (con l’eccezione della nuova repubblica di Turchia) in amministrazioni coloniali.

Furono inventati degli Stati (Iraq, Libano, Siria, più tardi Giordania e Israele) mentre le ex province ottomane venivano riassemblate sotto il potere britannico e francese. Il generale Henri Gouraud, arrivando a Damasco nel 1920, avrebbe annunciato, prendendo a calci la tomba di Saladino, “Siamo tornati”. Sette secoli dopo la loro sconfitta ed espulsione da parte del condottiero curdo, i crociati erano tornati.

Armati di una morale biblica resa bianca, di un’archeologia intenta a scoprire le “radici” della civiltà in Mesopotamia e, soprattutto, di una preoccupazione strategica per le riserve di petrolio che avrebbero alimentato l’economia a benzina delle macchine da guerra e dei trasporti in tempo di pace, il Medio Oriente fu sequestrato, controllato, amministrato e reso proprietà dell’Occidente. Inevitabilmente ci furono resistenze, ribellioni, massacri e repressioni militari. Nel nuovo Stato dell’Iraq, la Royal Air Force perfezionò le tecniche di bombardamento e il mitragliamento delle popolazioni civili per sedare le ribellioni.

Oggi, dietro la facciata superficiale in cui gli alleati arabi di tempi più recenti (Saddam Hussein, la famiglia al-Assad e Osama bin Laden addestrato dalla CIA) diventano tiranni e terroristi orientali, potrebbe essere più significativo considerare come il potere occidentale abbia strutturalmente prodotto e storicamente sostenuto la violenza nel Levante.

La miscela storico-culturale tra la politica del divide et impera, il brutale perseguimento di interessi economici e la contorta eredità dell’antisemitismo che ha cercato di risolvere la “questione ebraica” dopo la “soluzione” genocida della Shoah nel sostegno incondizionato allo Stato di Israele in Medio Oriente (piuttosto che in Europa) ha implicazioni più profonde ed problematiche per la politica dell’Europa e dell’Occidente. Non riconoscerle e continuare con il ‘business as usual’ significa continuare il mandato coloniale.

Registrare questi profondi rigurgiti nella formazione politica del Medio Oriente, che continuano ad alimentare la costruzione coloniale del presente, non significa esprimere rammarico per la mendacità occidentale o consegnare al passato episodi brutali di potere sfrenato.

Non si tratta di andare semplicemente avanti. Rispondere sulla base di un riconoscimento delle responsabilità storiche implica un cambiamento della sintassi politica. È proprio questo che il nuovo governo laburista, che si parli di migranti, di Palestina-Israele, di riforma elettorale, di Gran Bretagna post-Brexit o di redistribuzione della ricchezza e de-privatizzazione dei servizi sociali, non ha in agenda.

David Lammy ha parlato di «ricollegare la Gran Bretagna alla comunità globale», il che pone la questione di cosa si possa intendere per «comunità globale». Sicuramente Lammy ha una consapevolezza della matrice coloniale, essendo stato criticato nel 2016 per aver detto che un milione di indiani ha sacrificato la propria vita nella Seconda guerra mondiale per il “progetto europeo”. Quindi, c’è sempre la possibilità di una sorpresa, ma non ci conto. Nell’ordine politico, il mazzo di carte è cambiato, ma il gioco sembra destinato a rimanere lo stesso.

Iain Chambers*, il manifesto, 19 luglio 

*antropologo e sociologo britannico


L'Aja. Fine del tabù, ora il mondo deve agire.

Due giorni fa la Corte internazionale di giustizia, la cui opinione era stata sollecitata alla fine del 2022 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, è arrivata a una conclusione che non poteva essere più forte e chiara. L’occupazione e l’annessione da parte di Israele dei territori palestinesi sono illegali e le leggi e prassi discriminatorie israeliane contro i palestinesi violano il divieto di segregazione razziale e di apartheid. Si tratta di una rivincita storica per i diritti dei palestinesi, vittime di decenni di crudeltà e di sistematiche violazioni dei diritti umani derivanti dall’illegale occupazione israeliana.

L’occupazione è un elemento fondamentale del sistema di apartheid con cui Israele domina e opprime i palestinesi e che è causa di sofferenze di massa: i palestinesi assistono quotidianamente alla demolizione delle loro case e all’esproprio delle loro terre per la costruzione e l’espansione degli insediamenti e subiscono soffocanti restrizioni che interferiscono in ogni aspetto della loro vita quotidiana, dalla separazione dei nuclei familiari alla limitazione della libertà di movimento fino al diniego dell’accesso alla terra, all’acqua e alle risorse naturali.

Dall’autorevolezza dell’opinione della Corte dovrebbero derivare (uso il condizionale, data l’immediata reazione di Israele: nulla di sorprendente, considerando la totale mancata applicazione delle misure cautelari ordinate dalla stessa Corte per evitare il genocidio a Gaza) il ritiro dai Territori palestinesi occupati, Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme est; la fine del dominio su ogni aspetto della vita dei palestinesi; la cessione del controllo delle frontiere, delle risorse naturali, dello spazio aereo e delle acque territoriali dei territori occupati; la fine del blocco illegale di Gaza e il diritto dei palestinesi di muoversi liberamente tra Gaza e la Cisgiordania.

Starà allora agli stati, soprattutto a quelli alleati di Israele, intraprendere rapidamente azioni inequivoche per assicurare che Israele ponga fine all’occupazione, a partire dall’immediato stop all’espansione degli insediamenti e all’annessione di territori palestinesi e dallo smantellamento del brutale sistema di apartheid contro i palestinesi. Ricordiamo bene le conseguenze della mancata azione della comunità internazionale rispetto all’opinione della Corte nel 2004 sulla costruzione del muro di separazione all’interno dei Territori occupati: Israele venne incoraggiato a sfidare il diritto internazionale e a rafforzare la sua impunità. Non dev’esserci una seconda volta.

Merita soffermarsi, infine, sulla menzione da parte dei giudici della Corte della parola apartheid: cioè di quel sistema israeliano di oppressione e dominazione ai danni dei palestinesi, tenuto in piedi e rafforzato dalla frammentazione territoriale, dalla segregazione e dal controllo, dalla confisca di terreni e proprietà e dalla negazione, tra gli altri, dei diritti economici e sociali.

L’opinione della Corte è il sigillo giuridico ai rapporti di organizzazioni non governative internazionali quali Human Rights Watch e Amnesty International e dei gruppi israeliani per i diritti umani come Yesh Din e B’Tselem. A un paese avviato verso un sistema di apartheid in passato si erano riferiti, preoccupati, gli ex primi ministri Olmert e Barak, l’ex direttore dello Shin Bet Amihai Ayalon, l’ex procuratore generale Michael Ben-Yair e l’ex ambasciatore israeliano in Sudafrica Alon Liel, probabilmente la persona che più sapeva di cosa si stesse parlando.

La parola apartheid non è un tabù: non lo è certo in Israele, mentre paradossalmente per molti versi lo è in Italia, dove la sua pronuncia è equiparata a un’espressione di antisemitismo.

Nel frattempo, nel mondo, di quella parola viene sollecitato un uso ancora più ampio. Amnesty ha chiesto che tra i più gravi crimini di diritto internazionale, dunque come crimine contro l’umanità, sia riconosciuto e inserito quello di apartheid di genere, dando seguito alle richieste che si levano da anni, ben a ragione, dalle attiviste per i diritti delle donne in Afghanistan e Iran.

Riccardo Noury*, il manifesto, 21 luglio 

*portavoce di Amnesty International Italia


Green Deal. Transizione negata e "maltempo" di governo

Fra il 2023 e questi primi sette mesi del 2024 cittadine, cittadini e le loro attività, soprattutto quelle agricole, sono state colpite da temperature record che hanno determinato carenza di acqua e una diffusa siccità a cui sono seguite in rapida successione le tragiche alluvioni nelle Marche, Ischia, Emilia Romagna e Toscana; ora nel pieno delle agognate vacanze estive prima si allaga la Val d’Aosta poi tutto il settentrione, con Milano in testa, è colpito da temporali, grandinate e come al solito fiumi e fiumiciattoli super-inquinati esondano e mandano sott’acqua gran parte del PIL del paese. Non sta meglio la parte centrale e meridionale colpita da settimane da un’ondata di calore terribile.

Da tempo si sa che questo stato di cose prima o poi sarebbe arrivato. Le responsabilità dei governi per non avere contrastato la corsa del cambiamento climatico sono chiarissime, ma scarsamente percepite dall’opinione pubblica. Ora con un governo di destra, prevalentemente negazionista delle responsabilità dell’uomo del cambiamento climatico la situazione è destinata a peggiorare. Si è diffusa ad arte la falsa convinzione che non si poteva far nulla per prevenire queste tragedie annunciate.

La verità è un’altra. Dagli anni novanta del secolo scorso la comunità scientifica aveva avvertito, inascoltata, i decisori politici sull’urgenza di una riduzione drastica delle emissioni climalteranti, senza la quale il paese e l’intero pianeta sarebbero stati esposti al susseguirsi di eventi come scioglimento di ghiacciai, desertificazioni, migrazioni, alluvioni, ondate di calore, bombe d’acqua.

Sebbene tutto ciò non suscita nessuna indignazione che l’Italia non abbia ancora un piano di adattamento (fermo da due anni in Parlamento) che protegga la popolazione e tantomeno politiche in grado di mitigare la corsa dei cambiamenti climatici, come ad esempio accelerare l’uscita dalle fonti fossili di energia a cui, invece, il governo Meloni contrappone un piano fossile intitolato furbescamente ad Enrico Mattei.

Pesanti sono le responsabilità dei media. Ad ogni evento catastrofico l’informazione omette nel raccontarlo che ciò che lo causa è il cambiamento climatico e parla genericamente di “maltempo”. Anzi per tranquillizzare la popolazione e coprire le evidenti inadempienze di chi sta governando alla parola maltempo viene aggiunto l’aggettivo “eccezionale” cioè imprevedibile e quindi non si poteva far nulla.

Il ritardo dell’Italia però si inserisce in un arretramento più generale dell’Europa. C’è ormai un evidente blocco della transizione ecologica. Si chiamava Next Generation UE il piano verde con cui il vecchio continente puntava entro il 2050 alla sua totale de-carbonizzazione, una scelta che con coraggio si finanziava mandando al diavolo le politiche di austerità che avevano dilatato disuguaglianze e aggravato la situazione ambientale.

Tutto ciò è stato cancellato dalla guerra in Ucraina. Il programma su cui è stata rieletta la Von der Leyen alla guida della commissione europea ha come priorità il riarmo e il conseguente abbandono del piano verde. Il governo Meloni al di là delle apparenti perdite di peso politico sarà invece fra i principali protagonisti di questa svolta politica bellicista col risultato che lascerà con la copertura dell’Europa un paese già fragile e in pieno dissesto idrogeologico in balia degli eventi estremi.

Compito delle forze progressiste in Italia come in Europa è smettere di sottovalutare la portata della svolta che l’Europa ha compiuto e che la probabile elezione di Trump completerà. Al tentativo di liquidare la transizione ecologica va contrapposta la richiesta di una sua accelerazione, non a parole, ma costruendo nel paese e nell’intera Europa le ragioni e le vertenze per dar corpo a questa accelerazione.

Assumere la difesa della popolazione dagli eventi estremi pretendendo da chi governa un piano di adattamento e lo sblocco dei progetti di installazione delle rinnovabili. Assumere questo impegno non significa indebolire l’agenda sociale del centro sinistra, ma rafforzarla. Con una accelerazione della transizione ecologica si danno più possibilità di successo agli obiettivi sociali, sia sul fronte occupazionale sia su quello della redistribuzione del reddito ed anche sulla difesa dello stato sociale. L’uscita dal fossile e la rigenerazione urbana sono due obiettivi attorno a cui far crescere anche una reindustrializzazione del paese. Sono solo i titoli di un possibile progetto alternativo il cui sviluppo e capacità di unire va verificata nel territorio.

Massimo Serafini, il manifesto, 21 luglio


"I NeoCon hanno creato innumerevoli disastri per gli Stati Uniti e per il mondo ... hanno contribuito all'accumulo di un enorme debito pubblico, causato da da trilioni di dollari di spese militari fatte nell'ottica della guerra ... hanno spinto gli USA ad adottare una postura sempre più bellicosa nei riguardi di Cina, Russia, Iran ed altri ... hanno portato l'orologio dell'apocalisse a soli 90 secondi dalla mezzanotte dell'olocausto nucleare" ... (il Fatto Quotidiano, 21 luglio 2024)












"L'escalation di guerra è la prima risoluzione del Parlamento UE, poi l'elezione di Von Der Leyen paladina della trattativa zero con Putin" ... (il Fatto Quotidiano, 20 luglio 2024)












"Il Ritratto" della Harris di Pino Corrias: "dopo aver vissuto all'ombra di Biden, l'ex procuratrice correrà al posto di Joe per la Casa Bianca" ... (il Fatto Quotidiano 23 luglio)













"In Ucraina le armi occidentali non portano la vittoria. Il Medio Oriente è in fiamme. Con la Cina è sfida aperta ... Niente cambierà a breve. Di questo declino si sono accorti, come al solito, soltanto i giullari secondo i quali gli americani a forza di esportare democrazia ne sono rimasti senza" (il Fatto Quotidiano, 23 luglio)
 














Europa: attacchi sistematici e restrizioni minano il diritto di protesta civile

L’intensificarsi delle azioni contro il cambiamento climatico, in Europa, ha innalzato il livello della repressione nei confronti delle proteste, sia a livello individuale che collettivo. A dirlo è Michel Forst, Relatore speciale sui difensori dell’ambiente per la convenzione di Aarhus. Ma non è solo chi manifesta per il clima e l’ambiente a essere ostacolato, attaccato e criminalizzato ma, più in generale, chi scende in strada, chi esprime il proprio dissenso, anche attraverso azioni pacifiche di disobbedienza civile, deve affrontare la repressione dei governi.

In Italia, nell’ultimo anno e mezzo, diversi sono stati i provvedimenti adottati che puntano a scoraggiare l’attivismo e la partecipazione alle proteste, ad esempio il cosiddetto “decreto legge rave party”, convertito in legge a fine dicembre 2022, che nella sua prima formulazione si prestava a un’interpretazione estensiva e quindi applicabile anche a raduni diversi, come le manifestazioni non violente; oppure la legge n. 6 del 22 gennaio 2024 che, pur senza dichiararlo esplicitamente, intende punire non solo con le pene già previste dal codice penale, ma anche con sanzioni amministrative, forme di attivismo che prendono di mira beni culturali o paesaggistici per atti di protesta pacifica. Nell’ultimo anno, inoltre, stiamo assistendo all’utilizzo dei “fogli di via” che, agendo sulla libertà di movimento della persona, impatta direttamente sul funzionamento e sulle attività di alcuni movimenti di protesta e sulla libertà di movimento di chi manifesta. Infine, Amnesty International ha raccolto numerose segnalazioni di persone che hanno preso parte a mobilitazioni pacifiche e che sono state vittime o testimoni di un uso della forza da parte delle forze di polizia, non sempre necessaria e non sempre in linea con gli standard internazionali.

i media? Pur svolgendo un ruolo fondamentale, in alcuni casi contribuiscono a diffondere la retorica dei governi, che presenta coloro che protestano come criminali e non come manifestanti pacifici, senza fornire alcuna analisi delle ragioni. Concentrandosi sul disagio che una protesta può causare, piuttosto che sui motivi, contribuiscono a diffondere l’idea che queste azioni siano illegittime e inutili. Per rimettere al centro il valore della protesta, che è motore del cambiamento, e restituire la giusta dignità a chi promuove, organizza e partecipa, anche attraverso azioni di disobbedienza civile, Amnesty International lancia la campagna Manifesta oggi per i diritti di domani, realizzata in collaborazione con Baobab, Extintion rebellion, Fridays for future, Greenpeace, Lucha y siesta, No Tav, Non una di meno e Unione sindacale di base.

Manifesta oggi per i diritti di domani intende ricordare l’importanza dei diritti acquisiti nel passato grazie alle manifestazioni e alle altre forme di protesta, da quelle studentesche per chiedere maggiori finanziamenti alla scuola pubblica, al primo global pride, passando a quelle per il diritto al divorzio e all’aborto, fino ai grandi scioperi sindacali degli anni Settanta, che hanno reso possibile lo Statuto dei lavoratori. Strumento fondamentale della campagna è la petizione rivolta alla presidente del Consiglio e al ministro dell’Interno, per garantire la tutela del diritto di protesta e l’introduzione dei codici identificativi per le forze di polizia.

Amnesty International Italia, luglio 2024


BOLOGNA

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MERCOLEDI 24 LUGLIO, ore 12,30: PRESIDIO DAVANTI ALLA SEDE CENTRALE DELL’ASL di VIA CASTIGLIONE 29 dei SINDACATI DI BASE e del COMITATO BESTA in difesa del Parco Don Bosco e in merito al cantiere del TRAM in via ALDO MORO.

Per condannare la violenza della giornata del 20 GIUGNO 2024 quando l’azione congiunta delle forze dell’ordine e degli operai della ditta Arcadia, che lavoravano al progetto del Tram senza transennamenti obbligatori a protezione, ha messo ingiustificatamente e pericolosamente a repentaglio l’incolumità di chi si opponeva pacificamente al taglio degli alberi del Parco Don Bosco, lato di Via Aldo Moro del progetto TRAM, ma anche degli stessi lavoratori e dei passanti.

Le istituzioni cittadine committenti dei lavori, il Sindaco e la Giunta comunale, hanno l’obbligo di garantire le condizioni di sicurezza nello svolgimento dei lavori e sono per questo responsabili di quanto accaduto in quella giornata, in cui si è rischiata la tragedia.

La lotta contro i progetti di cementificazione e in difesa dei parchi è una lotta politica e democratica che ha come protagonista quella parte della cittadinanza che aspira a una città diversa. Dovrebbe essere ascoltata e non affrontata come un problema di ordine pubblico con azioni di forza che arrivano anche a prevedere la violazione delle condizioni di sicurezza nello svolgimento dei lavori pubblici.

Saranno presenti rappresentanze dei vari Sindacati di Base firmatari degli esposti inoltrati all’ASL di Bologna (sanità pubblica), Ispettorato del Lavoro e Comando di vigli del fuoco di Bologna, attivisti e comuni cittadini e cittadine di Bologna e del Comitato Besta.

Primi Firmatari:

SINDACATO COBAS LAVORO PRIVATO DI BOLOGNA 

COBAS SCUOLA DI BOLOGNA 

SINDACATO USB CONFEDERAZIONE DELL'UNIONE SINDACALE Dl BASE Dl BOLOGNA 

SINDACATO SGB SINDACATO GENERALE DI BASE DI BOLOGNA 

SI COBAS SINDACATO INTERCATEGORIALE DI BASE BOLOGNA

COMITATO BESTA 


Un invito dei Verdi di Bologna: mercoledì, ore 18.30, incontro su "elezioni regionali 2024" ...




Il manifesto con cui Extinction Rebellion Bologna convoca per giovedì 25 luglio, ore 18.30, presso VAG 61, di via Paolo Fabbri 110, una Assemblea Cittadina ...
 











Un manifesto del Comitato Besta della due giorni "I territori sono di chi li vive" ... Parco Don Bosco, venerdì 26 e sabato 27 luglio 2024












Il lato B del manifesto del Comitato Besta, con il programma della due giorni al Parco Don Bosco del fine settimana ...













5 commenti:

  1. Una scorpacciata di tesi. Trovo interessante la lettura di chi le accosta. Propone una risposta al disordine mondiale fondata sulla conservazione anziché sulla ricerca di nuovi assetti. E conclude esprimendo una critica feroce alle classi dirigenti che di fronte ai bisogni naturali scelgono di reprimere le istanze sociali.
    Ciao!

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  2. Gli interventi di Chambers e Sachs mi pare siano conferma di due dati. Uno. I paesi anglosassoni (nel caso Inghilterra e Stati uniti) esprimono un pensiero critico più profondo di quello presente in Italia. Due. Con tutte le contraddizioni evidenziate le nostre democrazie mutilate restano le società del pianeta Terra più mature per provare a sperimentare società maggiormente rispondenti ai bisogni primari delle persone.
    Concordate?
    PD-mda

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  3. Oltre Biden e Trump c'è Kamala!
    Oltre de Pascale e Ugolini (candidata, probabilmente per tutto il centrodestra) c'è Silvia o Marta o Francesca o Bianca o A.
    Naturalmente donna è meglio, molto meglio. Ma, concordo, anche Elena lo è. E almeno ciò a me non basta per preferirla. Perché, appunto, ci sono i problemi da affrontare. E dunque le soluzioni per governare le questioni globali e locali, le ingiustizie, le violenze, la crisi ecologica e climatica, la salute, il lavoro, la sicurezza, i servizi....
    L'esercizio pieno della creatività e dell'arte, della libertà e della democrazia che vanno ben oltre il diritto di fare, di parola e di voto.
    E restano terreno di conquista delle persone e delle comunità.
    Anna

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  4. Grazie per questa informazione puntuale e accurata.

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