Anche nel Centrosinistra Bolognese tante voci critiche contro il Passante di Mezzo ... |
La questione del Passante è la pietra angolare sulla quale misurare l’effettiva volontà politica di affrontare l’emergenza climatica. Ma, ancora una volta, e irragionevolmente, il cuore della discussione non è il ‘se fare’, bensì il ‘come fare’.
La coalizione che sostiene Matteo Lepore ha trovato un accordo sul tema. Attraverso una serie di “compensazioni” (le alberature, il finanziamento di un osservatorio, etc.) e di “soluzioni tecnologiche per l’abbattimento degli inquinanti e la ricarica dinamica dei mezzi”, l’infrastruttura autostradale dovrebbe diventare il simbolo del green deal alla bolognese.Più che un deciso impulso alla ricerca di soluzioni per l’emergenza climatica, quello descritto sembra uno zuccherino utile a far ingoiare l’amaro boccone a quanti avevano fatto dell’opposizione al Passante una propria bandiera.
Che le soluzioni tecnologiche possano avere effetti sulle emissioni climalteranti è oggi irrilevante. Il nodo non è quello di mitigare l’impatto di un’opera; di fronte all’accelerazione del cambiamento climatico è invece urgente praticare un radicale cambio di paradigma: il riscaldamento globale, come testimoniano gli studi scientifici, non attende i tempi di adattamento di una società indisponibile a cambiare il sistema che sta mettendo l’umanità a rischio di estinzione.
È evidente che il tema non può più essere il ‘come’ costruire, bensì il ‘se’ e il ‘cosa’ costruire. Il fatto che Bologna sia oggettivamente un collo di bottiglia del traffico nazionale e internazionale non significa che le modalità con le quali si spostano persone e merci siano immodificabili per l’eternità. Anzi, quel nastro d’asfalto che i bolognesi si sono abituati a considerare parte del proprio ambiente urbano rappresenta una “servitù di passaggio” che avvelena l’aria respirata dalla comunità locale e contribuisce a non mettere in discussione una mobilità che ha conseguenze importanti sulla salute delle persone e del pianeta.
Un oggetto che funziona a energia rinnovabile è probabilmente meno inquinante di uno che brucia combustibili fossili, almeno durante il suo utilizzo; ma produrre e utilizzare quegli oggetti è ancora impattante in maniera inaccettabile. Allo stesso tempo, realizzare queste infrastrutture ha un costo, in termini di emissioni, il cui “ammortamento” non è compatibile con i pochi anni ancora disponibili per cambiare sistema ed evitare la catastrofe. Essere desiderosi di raggiungere più in fretta la riviera romagnola è comprensibile, ma dobbiamo essere consapevoli che il conto di questo desiderio lo pagheranno le prossime generazioni.
Il Comune di Bologna ha inserito l’emergenza climatica nel proprio Statuto. L’attuale amministrazione e coloro che intendono diventarne le/gli eredi affermano di voler fare della nostra città “la più progressista d’Europa”, candidandola tra quelle che guideranno la transizione climatica. Se questa è la vocazione, Bologna dovrebbe rivendicare il proprio diritto a non essere il nodo nazionale del trasporto su gomma, contribuendo a promuovere – anche attraverso un rifiuto senza se e senza ma all’allargamento del Passante autostradale – una rapida riconversione del sistema infrastrutturale e produttivo del Paese, capace di togliere dalla strada milioni di mezzi, rendendo non necessarie nuove opere stradali.
Se il cambiamento climatico è l’emergenza, le risposte devono essere emergenziali. Come è successo in altre città europee, chi amministra dovrebbe coinvolgere le/i cittadini in un percorso che, in pochissimi anni, porti la comunità locale a migliorare la propria qualità della vita grazie alla transizione climatica. E, tra le misure più urgenti, c’è la dismissione del mezzo privato motorizzato, che tra l’altro rappresenta spesso una delle cause di peggioramento della quotidianità di chi, per costrizione o abitudine, perde ogni giorno una parte significativa del proprio tempo all’interno di un abitacolo.
Il Passante condanna Bologna a legare il proprio futuro al trasporto su gomma. Perché, come è logico, l’infrastruttura risponde all’esigenza di accogliere un maggior numero di veicoli, incentivando questa forma di mobilità a scapito di altre soluzioni – non solo infrastrutturali e di mobilità – che possono contribuire alla transizione climatica e, contemporaneamente, migliorare la nostra qualità della vita.
Dichiarare che il Passante si farebbe comunque, e che in questo scenario è meglio se lo chiamiamo ‘di nuova generazione’, equivale ad affermare che l’emergenza climatica è solo un abbellimento inserito nello Statuto Comunale per dare una verniciata di verde all’immagine pubblica della città.
Il tempo delle grandi opere indispensabili è finito da un pezzo: abbiamo bisogno di aria, spazi, salute, diritti, cibo di qualità, mentre l’asfalto devasta il territorio che viviamo e compromette il nostro futuro. Ergere il Passante a “opera simbolo nazionale della transizione ecologica” può essere utile a sottoscrivere un patto di coalizione, ma è un tradimento delle aspettative di chi vivrà questa terra nei prossimi decenni.
Marco Palma, Cantiere Bologna, 30 luglio
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Resilienza
L'ingannevole uso delle parole perché nulla cambi
Si continuano a proporre false o effimere soluzioni contro l’emergenza ambientale
Siamo immersi in un universo di parole magiche, apparentemente affascinanti e persuasive, parole grimaldello, dispositivi semantici che aprono qualsiasi serratura e ci mostrano un mondo pieno di bellezza e di speranza. Queste parole sono: sostenibilità, partecipazione, meritocrazia, eccellenza e, ultima aggiunta, resilienza. Chi potrebbe mai dire che una cosa partecipata o sostenibile non sia per ciò stesso buona e lodevole? Come sosteneva un famoso economista è come chiedere com’è la torta della nonna; risposta: non può che essere buona, per definizione.
Parole contenitore che ciascuno può riempire a suo piacimento, con significati anche assai diversi e divergenti, usate sia a destra che a sinistra. Poi accade alla Normale di Pisa che alcune maturande ne svelino l’imbroglio e così tutti lodano le tre ragazze (si badi bene: ragazze e non ragazzi) per aver detto che il re è nudo cosa che tutti (o quasi) sapevano ma non osavano criticare apertamente il pensiero mainstream delle istituzioni.
Prendiamo la resilienza, parola importata dalla scienza dei materiali e definita come la capacità di un materiale di assorbire un urto senza rompersi. Concetto poi assunto dalla psicologia dove essa diventa la capacità di far fronte in maniera positiva ad eventi traumatici. Ma quali sono questi eventi traumatici nel nostro caso? La pandemia, certo, ma non solo. Uno, in particolare, getta un’ombra di inquietudine su tutto il futuro della specie: il cambiamento climatico; ormai dato per certo, causato dall’attività antropica.
Un bambino direbbe: e perché mai dovremmo cercare di far fronte a questo evento traumatico se a causarlo siamo noi stessi coi nostri stili di vita? Non sarebbe più sano evitarlo eliminando il nostro desiderio di consumo che alimenta la crescita insensata che provoca queste reazioni da parte della natura? La risposta è semplice, ma a quanto pare la soluzione difficilissima da realizzare, così che, non aggredendo alla radice la causa dei mali, preferiamo escogitare rimedi (quasi sempre fallimentari) per fronteggiare gli effetti di questo modello di sviluppo. La resilienza, in questo caso, diventa la parola magica per esorcizzare la catastrofe annunciata e già avvenuta in alcune parti del mondo.
Come se un fumatore incallito, anziché smettere, prendesse ogni giorno qualche pillola che riduce la possibilità di sviluppare un cancro ai polmoni. Potremmo in questo caso parlare di un fumatore resiliente in quanto capace di assorbire l’evento traumatico e magari di trasformarlo (come? ) in maniera positiva? Questa riflessione scaturisce da una delusione crescente non solo dei magri risultati ottenuti nei vari summit delle nazioni sul clima, ma anche dalle aspettative che avevamo riposte nel Pnrr (piano nazionale di ripresa e resilienza) e nel suo ministro Cingolani, forse perché fisico e certamente conoscitore dei problemi complessi che caratterizzano il clima.
Pur riconoscendo gli effetti antropici sul clima, Cingolani ha sostenuto che provvedimenti drastici sull’economia volti a ridurre le emissioni di CO2, si tradurrebbero in danni altrettanto gravi quanto quelli provocati dai cambiamenti climatici. E si vanta il ministro (forse a ragione) che al summit di Napoli “per la prima volta il G20 ha riconosciuto l’interconnessione tra clima, ambiente, energia e povertà”.
E così il neo ministro resiliente propone dei rimedi alla produzione di CO2 come quello del Ccs (Carbon capture and sequestration) ovvero continuare a produrre CO2 ma poi catturarla e rispedirla nel sottosuolo da dove essa era stata prelevata sotto forma di fossili. O, ancora, piccoli reattori nucleari domestici da tenere in giardino accanto al barbecue per produrre energia e produzione di idrogeno sempre a mezzo di fossili. Di più, ammette l’esperto ministro, non si può fare in questo momento se non danneggiando gravemente il sistema economico.
Così si continuano a proporre false o effimere soluzioni contro l’emergenza ambientale e la stessa crisi del cibo (l’altra faccia del problema), comeampiamente dimostrato nel pre-Vertice sui sistemi alimentari che si tiene a Roma tra il 26 e il 28 luglio. Rispetto al recente passato, i gruppi dominanti continuano a massacrare il pianeta sapendo bene quel che fanno e gli effetti prodotti da tale massacro, ma avendo bene a mente che la loro ingordigia di profitto non può essere fermata.
Enzo Scandurra, il manifesto, 28 luglio
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