Ricorro a questo titolo di Derrida, preso in prestito da Victor Hugo: è adeguato a rappresentare il tormento di tanti elettori, nella sinistra più o meno radicale, di fronte al «dovere elettorale» del secondo turno. Non penso di poter spazzare via le incertezze che gravano sull’orizzonte.
Ma, a uso di tutti noi, vorrei tentare di circoscriverle e dar loro un nome.
Sappiamo contro che cosa andiamo a votare, perché lo facciamo e come farlo.
Non ci sono scappatoie rispetto alla scelta dell’avversario di Marine Le Pen, il cui nome sulla scheda elettorale è Emmanuel Macron.
La questione non riguarda solo il detestabile programma del Front National.
Riguarda gli effetti che provocherebbe l’arrivo al potere, o anche vicino al potere, di un partito neofascista, nato dall’Algeria francese e dall’Oas (Organisation de l’armée secrète, l’organizzazione paramilitare clandestina francese creata nel 1961 con l’appoggio del regime franchista spagnolo, NdT); un partito fondato sulla denuncia dell’immigrazione e sull’individuazione di un nemico interno. Sarebbe fatto certo lo scatenarsi, come nel Regno unito dopo la Brexit, ma decuplicata, di un’ondata di aggressioni razziste, islamofobe e xenofobe. Insieme al crollo dei valori repubblicani e delle sicurezze personali.
Non basta dunque che Le Pen perda le elezioni; la sua sconfitta deve essere pesante. E non è garantito.
E’ importante anche sapere per chi voteremo: un tecnocrate ambizioso, intelligente ma minoritario, sostenitore del neoliberismo e della «modernizzazione» della società francese in un quadro europeo, spinto in orbita da una rete di finanzieri e alti funzionari, sostenuto da una generazione di giovani adepti della «terza via»; Macron si è espresso chiaramente sui crimini della colonizzazione.
Ma soprattutto quali gli effetti del nostro voto? Come inciderà sulla situazione che il primo turno ha rivelato? Non parlo qui di «terzo turno» o di maggioranza potenziale, ma della situazione della politica in Francia.
Mi limiterò ad affrontare due questioni.
Il nostro sistema politico attraversa una crisi istituzionale, senza possibilità di recupero. Come altrove, anche se con tratti peculiari, è diventato ingovernabile con le vie «normali», alle quali apparteneva l’alternanza dei partiti di centrodestra e centrosinistra. Il fatto che entrambi abbiano praticato politiche reali sempre più indecifrabili è un sintomo di questa crisi, ampiamente responsabile della delegittimazione che colpisce la «forma partito»; ma ne è anche uno degli effetti.
Emmanuel Macron, avendo a suo tempo studiato la dialettica hegeliana, tenta di trasformare la negazione in affermazione, con la sintesi dei contrari. Di fronte al «né di destra né di sinistra» della tradizione fascista, propone un «sia di destra che di sinistra».
Potrebbe funzionare solo se egli riuscisse ad apparire come l’uomo della provvidenza, al di sopra delle forze sociali. Ma siccome non è così e non lo sarà, la crisi è destinata ad acuirsi, mettendo in pericolo la solidità degli ideali democratici.
Spetta dunque a noi inventare istituzioni, formazioni non meno ma più rappresentative, e più sincere nell’esprimere conflitti reali, così da restituire ai cittadini il potere di influire sulle scelte del governo.
Questo cantiere di matrice popolare e non populista, che alcuni movimenti recenti hanno abbozzato, anche durante la campagna elettorale, deve rimanere aperto stabilmente, nel pericoloso periodo che attraverseremo.
Questo cantiere non è separabile da quello della «frattura sociale».
Si propongono gli argomenti più svariati, per sostenere che nuove divisioni sociali, culturali, territoriali, professionali, generazionali hanno sostituito l’antagonismo fra «destra» e «sinistra». Questo non è falso, almeno se ci si riferisce a una definizione convenzionale. Ma la traduzione di queste divisioni in alternative ideologiche come «nazionalismo contro mondialità» o «chiusura contro apertura», è davvero mistificatoria!
La verità è che da una parte le disuguaglianze si aggravano in modo drammatico, dall’altra la globalizzazione fa crescere nuovi antagonismi fra i poveri, o i non-ricchi, e più generalmente fra i lavoratori, gli utenti, i funzionari, gli studenti, tutto assoggettati alle logiche della redditività finanziaria.
Questo non fa scomparire la lotta di classe, ma ne oscura singolarmente le caratteristiche, e soprattutto ne impedisce la cristallizzazione in movimenti politici, già non scontata in altri tempi.
Per esorcizzare la violenza di cui queste «contraddizioni all’interno del popolo» sono portatrici, per liberare prospettive di futuro, occorreranno molta riflessione e molti confronti, ma soprattutto bisogna spingere con tutta la forza possibile verso altre politiche economiche: non sotto forma di selvaggia deregolamentazione e restrizione dei diritti del lavoro, o al contrario di protezionismo e rafforzamento delle frontiere, ma – come suggerisce l’economista Pierre-Noël Giraud– politiche neo-mercantiliste di redistribuzione degli investimenti fra le occupazioni nomadi e quelle sedentarie (il che non è affatto lo stesso che scegliere fra il «lavoro nazionale» e l’immigrazione) e di transizione energetica.
Ora, per ragioni di efficacia e di solidarietà, esse hanno senso solo su scala europea – a condizione, ovviamente, che l’Europa inverta il corso che ha preso quando ha adottato il dogma della «concorrenza libera e non falsata» e dei suoi corollari, l’austerità di bilancio e l’immunità delle banche.
Per questo è deplorevole che, nella campagna attuale, il dibattito sulle implicazioni europee della politica francese si limiti ad antitesi grossolane o a considerazioni formali sulle istituzioni della zona euro, anziché affrontare la questione dei rapporti di potere nello spazio europeo, anch’esso in piena crisi sistemica, e del suo futuro.
Non ci può essere un’altra Francia senza un’altra Europa.
L’elezione di Macron non è una condizione sufficiente perché questi problemi diventino il terreno di un impegno collettivo. Ma l’elezione di Le Pen è una ricetta sicura perché il loro significato sia definitivamente deviato.
Anziché fare tabula rasa del passato, dobbiamo trarne le lezioni.
L’elezione, per quello che fa temere, per quello che può suscitare, non è che un momento, ma inevitabile. Tocca a noi attraversarla, utilmente, con gli occhi aperti.
Etienne Balibar, il manifesto, domenica 7 maggio
* da Libération, inserto settimanale del 2 maggio, per gentile concessione dell’autore al manifesto
** «De quoi demain sera-t-il fait ?» è una citazione dalla poesia Napoléon II (les Chants du crépuscule) di Victor Hugo, 1835
LePen sconfitta, scopriremo presto chi è Macron ...
RispondiEliminaAntonio
Sicuramente un uomo ambizioso, con amici potenti e, secondo Massimo Cacciari e Ferruccio De Bortoli, anche "massoni".
EliminaGianni
Più che Macron ha vinto la Francia antifascista ed europeista. Bene.
RispondiEliminaBalibar ci pone due problemi da affrontare: la crisi della democrazia e i tratti liberisti del nuovo giovane President de la Republique.
In effetti si tratta di un uomo affermatosi contro i due partiti storici: socialisti e repubblicani. Che viene dal mondo bancario e finanziario che governa le società occidentali.
È per gli europei una nuova sfida. Non saprei dire se è quello di cui abbiamo bisogno ...
Ciao!
Penso anch'io che avremmo bisogno di altro. Del resto Macron è già stato Ministro ed è uscito dal Governo e dal PS francese su posizioni liberiste.
EliminaIl suo europeismo appare in continuità con il tradizionale asse franco - tedesco e non promette maggiore democrazia e partecipazione.
Gianni
Ecoute' Etienne.
RispondiEliminaEmanuel c'est mieux que Marine.
Mais le nouvel President c'est amie de Angela, Jean Claude, Matteo, Teresa ....
Pas de travailleurs e de la jeunesse.
Andre' Label
Marine Le Pen non era sicuramente meglio.
EliminaEmmanuel Macron non credo sia una buona soluzione.
Occorre unire le forze per una alternativa democratica e di progresso (ogni riferimento a movimenti o partiti è assolutamente casuale).
Gianni
Sono convinta anch'io che non c'è rifugio in mamma Italia (o Francia).
RispondiEliminaL'Europa è la casa comune da ristrutturare per dare lavoro e futuro ai giovani.
Anna
Ottimo gioco di parole (care a Renzi).
EliminaGianni
Tutti contenti, tutti felici.
RispondiEliminaMa si è davvero capito il cambio francese?
Si è votato contro Le Pen (per amor di Dio, capisco. Non la si poteva neppure pensare all'Eliseo) un personaggio semi sconosciuto e senza partito (per amor di Dio, capisco. Quasi tutti squalificati).
Ma il punto è che oramai si vota "un uomo solo al comando".
Dietro al quale non ci sono persone conosciute, verificate, con un loro profilo, sperimentate.
Siamo nella post democrazia?
Raffa
Non so. Tuttavia, come scritto precedentemente, Macron non nasce dal nulla (è stato ...).
EliminaHa amici ed alleati potenti ... Che si sono mobilitati per Lui. In Francia, in Europa e nel mondo ...
Gianni
Di un governo di ex socialisti e di ex gollisti .....
RispondiEliminaChe dire se anche l'ex primo ministro Valls passa con Macron annunciando la fine del PSF, un "partito morto"?
Nik
Intanto mi pare significativo che Macron possa "snobbare" Valls.
EliminaGianni
... e nominare un uomo di destra, Edouard Philippe, Sindaco di Le Havre, Repubblicano ed ex Socialista, Primo Ministro.
EliminaAvant, En Marche!
Come in Francia anche in Italia?
Ciao!