Sono una giovane donna cresciuta a Bologna e di stanza a Los Angeles, e mi è stato chiesto di condividere sensazioni e impressioni in occasione del 20 gennaio 2017, quando il signor Trump ha sostituito ufficialmente il signor Obama alla guida del governo statunitense. Ho subito pensato a un compito fattibile, a una richiesta facilmente colmabile, ma mi è risultato chiaro nemmeno dopo pochi giorni, dopo poche ore, che non sarebbe stato così.
Scrivere dell'insediamento a presidente degli USA, quando si tratta di Trump e di questi mesi, non è abbastanza.
Per parlare intorno al 20 gennaio bisogna innanzitutto fare un passo indietro all’8 novembre 2016, quando il signore miliardario già star della TV è stato effettivamente eletto presidente tramite elezioni.
E anche quello non è stato momento semplice. Erano settimane che se ne parlava, mesi.
Molti commentatori, tra cui John Oliver (che crea e conduce Last Week Tonight With John Oliver) scherzavano spesso e amaramente sull’onnipresenza di queste elezioni. Si parlava così tanto di Hillary e Donald che l’arrivo del fatidico martedì delle elezioni è stato praticamente benvenuto, nonostante i dubbi e i timori.
Tra sentimenti di insoddisfazione e paradossale rilassamento, quindi, si è superato l’8 novembre e Trump è diventato presidente.
Cominciare a parlare del clima pre-elettorale per descrivere poi l’insediamento ufficiale è importante perché mostra quanto, in questa presidenza, non ci sia nulla di immediato e direttamente consequenziale. Ogni elemento che compone il grande puzzle politico e socio-economico che ha determinato la presidenza è confuso, quasi sfocato.
Alcuni esempi.
La figura dell’elettore repubblicano, che con tutta la sua serie di valori, deve decidere se dare il voto a Clinton (moglie di un precedente presidente democratico, donna, molto esplicita su alcuni argomenti quali l’aborto) oppure a Trump (uomo senza una vera etica politica, sboccato e incapace di diplomazia). Vota lei? Vota lui? Difficile da dire.
Un secondo esempio è la copertura mediatica, che si è distinta tra quelle testate giornalistiche intenzionate a mostrare i retroscena della vita politica e privata dei due candidati principali alla presidenza (per così, molto spesso, concludere che era Hillary R. Clinton la persona più qualificata, nonostante pecche visibili anche nella vita dell’ex Segretario di Stato) e quei giornalisti che invece hanno preferito andare oltre e parlare già del ridicolo. Sebbene questa sia un’abitudine molto comune nella TV statunitense, nella quale succede spesso che personaggi politici d’alto rango partecipino a programmi televisivi comico-satirici (Barack Obama quando era ancora senatore dell’Illinois al Late Night With Conan O'Brien), l’accento sull’assurdità del candidato repubblicano è stata senza precedenti. Quale strategia mediatica è più giusta? Gli elettori sono davvero in grado di osservare queste rappresentazioni diverse e parziali e poi scegliere individualmente il candidato che più risponde ai loro bisogni? Molto difficile da dire.
Infine, terzo esempio, il modo di parlare dell’attuale presidente. Le sue frasi brevissime, composte da soggetto-verbo-avverbo in -ly, il suo vocabolario limitato, sono indicatori di una fondamentale mancanza nell’istruzione di Donald Trump oppure sono una tattica populista? Impossibile da dire. Il tweet pubblicato a seguito della Women’s March del 21 gennaio a proposito delle personalità della musica e dello spettacolo (quelli che chiamiamo VIP), criticandoli per la loro presenza e sostegno di questa manifestazione, “Celebs hurt cause badly”, è costruito in tale maniera sgrammaticata per fare l’occhiolino agli elettori e dire sì-anch’io-so-parlare-come-
Scrivere della presidenza Trump non è abbastanza perché, come in realtà tutte le elezioni della storia, la spiegazione sta tra il nero e il bianco e le ragioni profonde per cui il tuo candidato vince contro il candidato degli altri sono sempre in varie tonalità di grigio? Non solo.
Scrivere in occasione della nomina di Trump non è abbastanza, non ci può bastare, perché Trump non ha smesso di lavorare il giorno in cui ha giurato fedeltà con la mano su due copie della Bibbia (per la versione Donald&Melania di questa tradizione, si veda questo link).
Il 45° presidente alla Casa Bianca non si è ancora fermato nel suo cambiamento della politica e della economia statunitense e non sembra aver intenzione di rallentare. Non si può solo parlare della sua elezione e poi passare all’articolo di giornale sulla colonna di fianco dedicato a tutt'altro. È certo importante continuare a coltivare i propri interessi, e perché no il proprio desiderio di non leggere o occuparsi in alcun modo di politica, ma la portata della presidenza di Trump è tale che risulta quasi pericoloso non occuparsene.
Mr. Trump e le persone che ha scelto come collaboratori non fanno per finta e per quanto vorrei che questo dramma fosse una farsa, vivendo negli Stati Uniti non ho modo di pensarlo.
Il già citato John Oliver, al risultato delle elezioni, ha consigliato di attaccare un post-it sul frigorifero e scriverci sopra “This is not normal”. Utile o inutile (come sanno tutti quelli che hanno la casa piena di oggetti), il consiglio del comico televisivo indica una paura di molti, che devo ammettere condivido.
C’è il terrore che definire delle falsità come fatti e poi, quando chiamati in causa, definirli “fatti alternativi” per non ammettere che si sta mentendo e manipolando la realtà (il caso degli “alternative facts”, nell’articolo della CNN su Kellyanne Conway, cioè la prima ad aver usato la fuorviante locuzione); affermare durante un’intervista di volere riportare in auge alcuni sistemi di tortura contro i prigionieri di guerra, nonostante molti esperti della stessa parte politica non reputino che questi sistemi abbiano effetto, siano inumani e contro i valori degli Stati Uniti tutti (Trump on torture: it "absolutely" works); minacciare un’università statale di non ricevere più fondi federali perché varie manifestazioni hanno impedito a un giornalista di parlare, senza però tener conto della natura controversa delle manifestazioni in generale, ovvero situazioni in cui c’è di tutto, dal pacifico al black-block, e nemmeno dell’identità di questo giornalista, fondatore di una testata di estrema destra, in sostanza senza problematizzare l’avvenimento (il caso di Milo Yiannopoulos su Reuters); c’è il terrore che compiere atti di questo genere diventi normale. Accettato. Un’altra trovata di quello con i capelli gialli. “But no big deal”, come si dice in inglese. Invece è un “big deal”, è una faccenda seria. E non ho neanche fatto accenno alle notizie arrivate in Italia, come il bando di cittadini di sette Paesi a maggioranza mussulmana, oppure la promessa di congelare tutte le risorse offerte dalla Environment Protection Agency e che quindi aiutano a combattere il riscaldamento globale e in generale proteggere l’ambiente.
Senza farsi prendere dal panico o chiudersi a riccio per evitare le notizie spiacevoli, è importante ricordarsi ogni giorno che non è normale che i genitori del tuo datore di lavoro non si sentano più di venire a trovarlo perché il padre è nato a Damasco, in Siria, e sebbene non parli una parola di arabo non è il benvenuto (eufemismo dell’anno) sul suolo statunitense. È fondamentale ricordarsi che non è normale che la tua coinquilina brasiliana sia tanto preoccupata dalle parole di Trump a proposito di deportazione di persone sudamericane senza documenti che, sebbene lei sia in California con un visto studentesco, pensa sia meglio non viaggiare e andare a trovare la madre per una settimana nel sud del Brasile. È necessario tenere a mente che non è normale che il cancelliere della tua università mandi una mail a tutta la comunità, ricordando che ci sono risorse per il sostegno del benessere psicologico e se sei yemenita o iraniano (o altre sei opzioni) sei caldamente invitato a non lasciare gli Stati Uniti, nemmeno temporaneamente, perché è dubbio se tu possa far ritorno.
L’amministrazione Trump normalizza l’ingiusto e per questo scrivere in occasione della nomina di Trump non è abbastanza.
Viola Ardeni, Los Angeles, sabato 11 febbraio
Ho sentito parlare una giovane dottoressa italiana impegnata nello staff di Trump in California.
RispondiEliminaMi hanno colpito alcune cose:
a. è entrata dopo avere mandato un curriculum e avere fatto un colloquio;
b. hanno rapportato la campagna elettorale per conquistare Stati e la maggioranza dei grandi elettori; non la maggioranza degli americani;
c. gli incontri con gli elettori si svolgevano prevalentemente in aree aeroportuali.
Mi chiedo:
1. dando per scontato siano affermazioni attendibili che significa nei fatti? Che Trump ha snobbato la California?
2. Funziona così anche per il Partito Democratico americano?
È possibile saperne di più?
Anna
La signora Hillary? Una professionista della politica, fredda e dedita al potere.
RispondiEliminaIl signor Trump? Un ricco imprenditore, sboccato e abituato a comandare.
Ma forse l'America dopo il signor Obama non poteva permettersi un socialista come Sanders.
t68
Non so l'America si potrà mai permettere Sanders...
Elimina-Viola
Cara Anna,
RispondiEliminagrazie del commento. Vorrei sapere perché è rimasta colpita dal fatto che la dottoressa italiana sia stata assunta dopo CV e colloquio, che mi sembra una procedura standard. Forse è stupida perché la dottoressa non è statunitense, cioè è straniera? Ma questo non è davvero un problema, se la sua presenza può essere economicamente e politicamente utile (sì, l'amministrazione Trump è ipocrita).
Per quanto riguarda il punto B, è proprio così che funziona. Chiunque si candidi vuole i voti dei grandi elettori e non dei cittadini qualunque, quindi sì vuole anche dire che la California era data per persa dall'inizio dal partito repubblicano. Dato che i grandi elettori (che non sono davvero persone, ma collegi - cioè numeri) vengono assegnati con un sistema maggioritario e in California ci sono molti democratici, la California è sempre un stato democratico, a livello di grandi elettori.
La domanda 2 è invece riferita al punto C? Devo dire che non lo so, può essere ma non so dire se anche i Democratici fanno molti dei loro comizi negli aeroporti. Ho visto molti comizi NON in aeroporto, ma la mia è solo una esperienza.
- Viola
Stando alle proposizioni del post considererei la tonalità grigia di Trump molto più vicina al nero piuttosto che al bianco.
RispondiEliminaMa forse le mie sono valutazioni pregiudiziali.
Vorrei però capire come potranno evolvere i rapporti con l'Europa e dentro la NATO.
Il nuovo Presidente mi è parso più attento alle alleanze con Israele, Giappone ed Inghilterra (della Brexit) che all'UE, oppure interessato a migliorare i rapporti con la Russia.
Se è davvero così dovremo confrontarci su come rispondere.
Nulla di sconvolgente. Ma forse è il caso di rafforzare la Comunità con politiche comuni e convergenti. E un esercito coordinato di difesa.
Altro che nazionalismi esasperati alla LePen.
Ciao!
Le news sulla evacuazione di alcune centinaia di migliaia di californiani a causa del cedimento delle briglie in una grande diga mi portano a considerare che davvero "tutto il mondo è paese".
RispondiEliminaAnche gli americani, anche Trump dovranno fare i conti con la natura e con il suo ribellarsi ai nostri (umani) tentativi di voler prevalere su di essa con arroganza e senza dialogo. Come dice Francesco in Laudato si'.
M.
La determinazione di Trump è un pregio ed una condanna.
RispondiEliminaPregio, perché trovare un eletto che quel che dice fa, lo considero un merito.
Condanna, perché considero pericolose per la pace molte cose perseguite dal neo Presidente.
Mi riferisco alla politica verso il Medio Oriente.
The Donald si è sempre detto pro Israele. Ed ora incontrando il Capo del Governo di Tel Aviv annuncia la rinuncia a "due popoli, due Stati".
Decisione unilaterale, contro tutte le risoluzioni ONU, del resto inapplicate.
Questo forse modificherà anche la sua base di consenso in America, tra gli arabi e la potente comunità ebraica ...
Ma il prezzo internazionale di questa politica può essere devastante. A Gaza e in Cisgiordania, in Libano ed Egitto, nel Mediterraneo e negli USA ...
Raffa
Coraggio!
RispondiEliminaAl Congresso Trump ha parlato da Grande Statista.
Poi ha confermato il Muro con il Messico, il riarmo, la più storica riduzione delle tasse ...
Sic
Per opportuna conoscenza, Trump ripropone la chiusura delle frontiere con 6 paesi a maggioranza musulmana. Dalla agenzia internazionale Reuters.
RispondiEliminaM.
WASHINGTON (Reuters) - Il presidente Usa Donald Trump ha firmato un nuovo ordine esecutivo sul divieto di viaggio negli Usa, lasciando l'Iraq fuori dai Paesi a cui è vietato l'accesso, dopo che il suo controverso primo tentativo è stato bloccato in tribunale.
Lo hanno riferito alti funzionari dell'amministrazione, precisando che il nuovo ordine mantiene il divieto di viaggio di 90 giorni negli Usa per i cittadini di sei nazioni a maggioranza musulmana: Iran, Libia, Siria, Somalia, Sudan e Yemen.
La portavoce della Casa Bianca Sarah Huckabee Sanders ha detto stamani che la nuova ordinanza enterà in vigore il prossimo 16 marzo.
Secondo Trump, la direttiva è necessaria per garantire la sicurezza interna. Il suo segretario di Stato, Rex Tillerson, oggi ha detto ai giornalisti che poiché "le minacce alla nostra sicurezza continuano ad evolvere e cambiare, il senso comune ci dice che dobbiamo rivalutare e riorganizzare i sistemi per proteggere il nostro Paese".
L'Iraq è stata depennata dalla lista originale, diffusa lo scorso 27 gennaio, perché il governo iracheno ha imposto nuove procedure di controllo e per il suo lavoro nel combattero lo Stato islamico insieme agli Usa, ha spiegato un alto funzionario della Casa Bianca.
La Casa Bianca ha assicurato che il divieto non riguarderà le persone originarie di questi Paesi già legalmente residenti negli Stati Uniti o possessori di carta verde.
Più di una ventina di cause sono state depositate nei tribunali americani contro il divieto originale e la corte dello lo Stato di Washington lo ha bloccato sostenendo che violi la protezione costituzionale contro le discriminazioni religiose.
Trump ha pubblicamente criticato i giudici che hanno deliberato contro di lui e ha promesso di combattare il caso alla Corte suprema, salvo poi decidere l'emanazione della nuova direttiva rivista e più difendibile.
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La cosa peggiore del signor Presidente Trump è la riapertura al carbone e la negazione degli SU all'impegno per realizzare gli accordi internazionali di Parigi sul clima.
RispondiEliminaSenza il rispetto di impegni assunti e senza cura dell'ambiente si provocano nuove guerre.
t68