Edgardo Lander è un sociologo progressista venezuelano, professore titolare dell’Università Centrale del Venezuela e ricercatore associato del Transnational Institute. Da anni Lander è legato ai movimenti sociali e alla sinistra nel suo paese. È tra i principali promotori della Piattaforma per la Difesa della Costituzione, iniziativa alla quale aderiscono vari esponenti delle sinistre, dei movimenti sociali, accademici ed ex-ministri del governo Chavez.
Vista la polarizzazione riscontrata oggi in Venezuela, quali sono le responsabilità della presidenza di Maduro e quelle delle opposizioni?
Il non-riconoscimento della Costituzione del 1999 – l’unico insieme di regole con cui è possibile fermare l’escalation di violenza – da parte del governo come da parte di settori di destra, intensifica la polarizzazione e contribuisce a chiudere le porte alla trattativa in un contesto di profonda crisi economica e politica. Anche se tutti oggi parlano di dialogo di pace, ci sono settori estremisti in ambedue gli schieramenti che fanno il possibile per impedire una soluzione negoziata. Per i settori corrotti delle alte sfere di governo la priorità oggi è la tutela dei propri privilegi e fortune.
Per i settori radicali della destra, non basta sconfiggere il chavismo con le elezioni: vogliono una sconfitta politica dell’immaginario popolare del chavismo che schiacci in maniera definitiva ogni illusione di emancipazione, e per far ciò contano su appoggi esterni.
Questi settori estremisti alimentano deliberatamente la violenza e cercano di impedire ogni forma di espressione dell’altro Venezuela, oggi in maggioranza, che non si sente identificato né con il governo né con la Mesa de la Unidad Democrática (Mud).
Con varie personalità progressiste, esponenti di movimenti sociali e del chavismo “critico”, lei è tra i principali promotori della Piattaforma per la difesa della Costituzione che ha condannato come «fraudolenta» la Costituente. Su quali basi?
È un’accusa fondata su alcuni elementi chiave del processo politico venezuelano degli ultimi tre anni. Anzitutto quando il governo perse con grande scarto le elezioni parlamentari del dicembre 2015 e l’opposizione ottenne i 2/3 dell’Assemblea nazionale, ci si è resi conto di non poter contare sull’appoggio elettorale della popolazione per rimanere al potere, né di poter continuare ad agire nella cornice delle norme fissate dalla Costituzione del 1999. Da allora alcune delle misure prese esulano dal quadro costituzionale.
Tra le più importanti, la nomina dei nuovi membri del Tribunale supremo di Giustizia da parte dell’Assemblea nazionale dimissionaria, senza rispettare le regole, e senza che i magistrati eletti assolvessero ai requisiti base richiesti dalla legge. Poi la cancellazione del «referendum di revoca presidenziale», dapprima rivendicato come una delle espressioni più importanti della democrazia partecipativa, la sospensione delle elezioni dei governatori che secondo la Costituzione erano obbligatoriamente da tenersi nel dicembre 2016. In terzo luogo la dichiarazione di sospensione delle facoltà e dei poteri dell’Assemblea nazionale da parte del Tribunale Supremo di Giustizia che quindi annullò ogni decisione dell’Assemblea redistribuendone le funzioni costituzionali tra Esecutivo e Tribunale. Il Presidente Maduro ha governato per decreto di stato di emergenza dal febbraio 2016, senza l’approvazione dell’Assemblea nazionale come esigeva la Costituzione e per un periodo di tempo più lungo del termine da essa fissato. Quindi, su questioni fondamentali, dalla fine del 2015 questo governo ha operato totalmente al margine della Costituzione.
Invece sulla convocazione dell’Assemblea Costituente si presentano due problemi relativi alla forma nella quale si realizzò e le basi comiziali definite per la sua elezione. Anche se non è esplicita al riguardo, la Costituzione fissa la differenza tra prendere l’iniziativa della convocazione della Costituente (cosa che può fare il Presidente) e convocare che è un’attribuzione esclusiva del popolo sovrano (art. 347). Si sarebbe dovuto tenere un referendum consultivo, come nel 1999, ma non è stato fatto perché il governo non contava del sostegno elettorale necessario per vincerlo.
Egualmente problematica è stata la definizione delle «basi comiziali» svolta in maniera assolutamente arbitraria ed antidemocratica al fine di trasformare l’attuale minoranza che sostiene il governo in maggioranza schiacciante nell’Assemblea Costituente. Sono state alterate le regole seguite nelle elezioni precedenti, si è creato un regime doppio di rappresentazione, territoriale e settoriale. Nel primo si attribuì una straordinaria rappresentazione ai municipi rurali, meno popolati di quelli urbani nei quali si concentra la maggioranza della popolazione e dove maggiore è l’opposizione al governo. Così facendo è stato violato in maniera esplicita e intenzionale il principio costituzionale della rappresentazione proporzionale. Parimenti problematica è stata la definizione della partecipazione settoriale. Nelle “basi comiziali” venne definito che si sarebbero elette Costituenti settoriali, in rappresentazione di ognuno dei sette settori della popolazione.
Così facendo si esclusero dal voto circa 5 milioni di cittadini, creando una differenziazione tra cittadini di prima classe, che avevano diritto al doppio voto e cittadini di seconda classe che avevano diritto ad un solo voto. Secondo la Costituzione il voto non è obbligatorio. Ciononostante i portavoce del governo, a partire dallo stesso Presidente Maduro, minacciarono gravi conseguenze per chi non avesse partecipato. Si utilizzarono liste di impiegati pubblici e lavoratori delle imprese di stato e dei beneficiari dei programmi sociali per avvisarli che avrebbero perso il loro lavoro o i loro benefici qualora non si fossero recati alle urne.
Per queste elezioni, il Consiglio nazionale elettorale ha smontato i principali meccanismi di controllo che avevano fatto del sistema venezuelano un modello di trasparenza e affidabilità.
In conseguenza del modo incostituzionale con cui è stata convocata l’Assemblea nazionale costituente hanno partecipato come votanti, votati e testimoni solo sostenitori del governo. Così le elezioni del 30 luglio sono diventate nei fatti un’elezione interna al Psuv.
Ai media è stato impedito di informare sul processo elettorale: queste elezioni tutto sono state fuorché pubbliche. Le prime decisioni dell’Assemblea costituente sono state prese all’unanimità o per acclamazione, senza alcun dibattito, deplorevole similitudine con quanto accadeva nei paesi socialisti dell’Europa dell’Est. In secondo luogo, la costituente ha poteri straordinari non contemplati nell’attuale Costituzione, che all’articolo 347 garantisce al popolo il «potere costituzionale originario»; è nell’esercizio di tale potere che il popolo «può convocare un’Assemblea Nazionale Costituente con l’obiettivo di trasformare lo Stato, creare un nuovo ordinamento giuridico e redigere una nuova Costituzione». Fin quando non verrà approvata una nuova Costituzione, quella vecchia è pienamente in vigore. Ma il governo ha dichiarato che la Costituente è plenipotenziaria e sovracostituzionale e che tutti i poteri devono sottomettersi. Un primo passo è stato la destituzione del Procuratore generale della Repubblica Luisa Ortega Dìaz. Si è creato un potere illimitato, parlamentare e giudiziario. Le implicazioni autoritarie di un potere monopartitico con tali attribuzioni, in un paese non solo diviso, ma a maggioranza contro il governo, possono essere esplosive.
Qual è il profilo più dettagliato, oggi, delle opposizioni, di chi oggi scende in piazza e critica Maduro tanto da “sinistra” quanto da “destra”?
Sui media nazionali e internazionali si identifica l’«opposizione» con la destra. Ma per i sondaggi più affidabili, gran parte dei venezuelani oggi rifiuta il governo. È un ampio spettro di popolazione: da piccoli gruppi di sinistra da sempre scettici del processo bolivariano, a una serie di attori, prima chavisti poi disincantati dal governo Maduro (chavismo critico, chavismo democratico, o altri gruppi politici come Marea Socialista). C’è poi un settore ampio della popolazione che si oppone al governo ma che non si identifica con il Mud; poi partiti e organizzazioni articolati intorno al Mud.
I settori di sinistra che si sono distanziati sempre più da Maduro sono riusciti in modo significativo a formare opinione, aprire il dibattito, formulare posizioni distinte da quelle presentate dalla destra. Però non hanno un’organizzazione significativa, la capacità di competere con governo o con l’opposizione di destra nelle mobilitazioni. Nella misura in cui il governo negli ultimi anni ha precluso ogni opzione elettorale, le mobilitazioni convocate dal Mud si sono convertite nella principale espressione di opposizione. Ma non vanno intese come espressione di appoggio al Mud.
In una sua intervista di qualche mese fa ha detto che «di fronte alla crisi venezuelana la sinistra difetta di critica», e che l’appoggio incondizionato delle sinistre della regione al chavismo ne ha rafforzato le tendenze più negative. Come potrà la sinistra riarticolare un’analisi critica della situazione, promuovendo vie d’uscita all’attuale crisi sociale, politica ed economica nel paese?
È necessario iniziare superando le analisi manichee che rappresentano la realtà in bianco e nero. Il fatto che un governo tenga un discorso anti-imperialista e che sia visto come nemico da parte degli Usa e della destra globale, non lo converte in automatico in un governo di sinistra.
Nel processo politico venezuelano attuale si sta giocando in varia maniera il futuro della sinistra non solo venezuelana e latinoamericana, ma mondiale. Il collasso del blocco socialista ha lasciato gran parte della sinistra globale senza prospettiva; l’affermazione dei cosiddetti governi progressisti in Sudamerica, specialmente il processo bolivariano, li ha convertiti in punti di riferimento e speranze. Si fa senz’altro un danno a queste speranze se si difende come «di sinistra» o «anticapitalisti» governi sempre più autoritari e repressivi, che usano strumentalmente la democrazia e che la mettono da parte quando ciò dà loro fastidio. Governi che concedono accesso alle risorse petrolifere e minerarie a multinazionali a condizioni che non si differenziano da quelle dei governi neoliberisti. È come se molti settori della sinistra mondiale non avesseroimparato nulla dallo stalinismo e dall’immenso prezzo della complicità con l’autoritarismo sovietico.
Le soluzioni non possono essere nel contesto di una polarizzazione o di un’analisi politica che definisce il processo venezuelano in modo schematica come quello di un governo «rivoluzionario» che si oppone all’impero. La solidarietà incondizionata e l’applauso acritico oggi vanno intesi come corresponsabili delle tendenze autoritarie. Se la realtà attuale del paese è presentata come alternativa al capitalismo, come può essere considerata un’opzione desiderabile dai popoli del mondo?
Cosa pensa che accadrà ora, uno scenario di guerra civile o di scontro diretto? Come potrebbe riattivarsi il dialogo nazionale proposto dalla vostra Piattaforma?
Ovviamente, la violenza e la repressione come forme di elaborazione delle differenze esistenti oggi in Venezuela, o anche la minaccia di una guerra civile sono le opzioni da evitare a tutti i costi.
Nel discorso e nella pratica delle élite di governo e dell’opposizione si è affermata una concezione della politica come guerra, come ricerca dello scontro, dello sterminio dell’altro. L’unica maniera per impedire l’avanzata di queste tendenze nefaste è la ricerca di una forma di dialogo, anche se nel Venezuela di oggi sembrerebbe un’ingenuità, una possibilità remota. In tal senso, le esperienze dei dialoghi di pace o le commissioni di verità in Sudafrica, Irlanda del Nord, e Colombia. paesi che hanno sofferto molti più anni di violenza, odio e morte ci indicano che esistono altre vie possibili. Oggi, da sinistra in Venezuela esiste una forte preoccupazione e anche un chiaro rifiuto delle minacce di intervento esterno dai governi di Colombia e Stati Uniti, in difesa della sovranità e nella convinzione che i problemi vanno risolti tra venezuelani e venezuelane. Cosa che richiede un minimo di responsabilità da parte di ambedue le parti.
Paco Martinez, il manifesto, domenica 13 agosto
Ho trovato interessante questa intervista perché più che schierarsi su un fronte della contesa in corso mi sembra provi a proporre le ragioni di uno scontro apparentemente senza una via di uscita democratica. Solo così forse si può contribuire a trovare una mediazione che eviti una ulteriore tragedia. Certo è che in giro per il mondo prevalgono i regimi autoritari e democrazie degne di questo nome è difficile trovarne.
RispondiEliminaVR
Condivido. La comunità internazionale dovrebbe favorire dialogo, pace, mediazioni volte al disarmo, alla eco-compatibilità, alla sostenibilità ambientale, alla giustizia sociale, ai diritti ed ai doveri universali degli individui e dei popoli ...
EliminaVale per tutti: in Occidente e in Oriente, per gli USA e la Cina, la Russia e la Corea del Nord ... per il Venezuela e la Turchia, l'Egitto e Cuba, l'Arabia Saudita e l'Iran ...
Non sono comprensibili pesi e misure stabiliti discrezionalmente, da singoli paesi, in base a interessi nazionali e di parte ...
Decisivo è ristabilire l'autorevolezza di Istituzioni Internazionali: l'ONU o una nuova ONU.
Gianni
Maduro mi ricorda Erdogan ..... L'uno e l'altro sono stati eletti ma esercitano il potere con mano forte e tante vittime.
RispondiEliminaIn occidente li condanniamo ma ci sono utili e chiudiamo gli occhi sulle loro malefatte: uno perché ci fornisce petrolio a prezzi ottimi, l'altro perché ci trattiene gli indesiderati migranti.
Ipocrisie di questo mondo.
Titti
Come no ...
EliminaI Diritti ed i Doveri universali degli individui e dei popoli sono sistematicamente violati ed umiliati. Non solo da regimi autoritari e dispotici, ma anche da troppi paesi considerati civili e democratici.
Manca una autorità mondiale autorevole, riconosciuta e credibile.
Prevalgono nazionalismi e, soprattutto, interessi privati di grandi gruppi economici e finanziari multinazionali. O burocrazie politiche e di Stato che mediano e scambiano favori, affari e risorse (non loro).
Difficile essere ottimisti sul futuro. E tuttavia per costruire oggi e domani un mondo migliore occorre muoversi con una visione internazionale e con principi validi per tutti. Lo impongono la globalizzazione e la interdipendenza dei processi.
Quindi comportarsi sempre con gli interlocutori, gli "altri", i diversi come vorremmo che "loro" si comportassero con "noi".
Vale nell'esercizio e nella divisione dei poteri all'interno delle piccole come delle grandi comunità; vale nei rapporti di forza tra paesi, culture, religioni e classi sociali; è condizione essenziale per unire individui, soggetti e forze in grado di produrre i cambiamenti urgenti e indispensabili.
Gianni