La guerra altro non è che seminagione d’odio. Nessuno dei conflitti proclamati dall’Occidente dal 1991 ad oggi — Iraq, Somalia, Balcani, Afghanistan, Libia, Siria — ha benché minimamente risolto i problemi sul campo, anzi li ha tragicamente aggravati.
Senza l’intervento in Iraq del 2003, ha confessato «scusandosi» lo stesso ex premier britannico Tony Blair, tanto caro al rottamatore Matteo Renzi, lo Stato islamico nemmeno esisterebbe. Gli «Amici della Siria», vale a dire tutto lo schieramento occidental-europeo più Arabia saudita e Turchia, hanno fatto l’impossibile per fare in tre anni in Siria quel che era riuscito in Libia, alimentando e finanziando milizie e riducendo il Paese ad un cumulo di macerie alla mercé di gruppi più o meno jihadisti e con così tanti errori commessi da permettere alla fine il coinvolgimento in armi e al tavolo negoziale perfino della Russia di Putin.
I rovesci in Libia tornano addirittura nelle elezioni statunitensi, con il New York Times che, con focus su Hillary Clinton, ricorda la posizione favorevole alla guerra di fronte ad un recalcitrante Obama. Senza dimenticare la tragedia americana dell’11 settembre 2012 a Bengasi.
Quando Chris Stevens, l’ex agente di collegamento con i jihadisti che abbatterono Gheddafi grazie ai raid della Nato, cadde in una trappola degli integralisti islamici già alleati e venne ucciso con tre uomini della Cia. Hillary Clinton, allora Segretario di Stato uscì di scena e venne dimissionato l’allora capo della Cia David Petraeus. Perché la guerra ci ritorna in casa. Avvitandosi nella spirale del terrorismo islamista.
Dalle «nostre» guerre fuggono milioni di esseri umani. Quando partirono i primi raid della Nato sulla Libia a fine marzo 2011, cominciò un esodo in massa di più di un milione e mezzo di persone, tante quelle di provenienza dall’Africa centrale che lavoravano in territorio libico, ne fu coinvolta la fragilissima e da poco conquistata democrazia in Tunisia. Quell’esodo, con quello da Iraq e Siria, prova disperatamente ogni giorno ad attraversare la barbarie dei muri della fortezza Europa.
Tutto questo è sotto la luce del sole. Come il fatto che l’alleato, il Sultano atlantico Erdogan, da noi ben pagato, preferisca massacrare i kurdi che combattono contro l’Isis piuttosto che tagliare gli affari e le retrovie con il Califfato.
Eppure siamo di nuovo in procinto di innescare un’altra guerra in Libia. Dopo che il capo del Pentagono Ashton Carter ha schierato l’Italia sostenendone la guida della coalizione contro l’Isis e per la sicurezza dei giacimenti petroliferi. Il ministro Gentiloni si dichiara «pronto». In altri tempi si sarebbe detto che un Paese dalle responsabilità coloniali non dovrebbe esser coinvolto. Adesso è motivo d’onore: siamo al neo-neocolonialismo.
Motiveremo questa avventura nel più ipocrita dei modi: sarà una «guerra agli scafisti». Sei mesi fa quando venne annunciata, Mister Pesc Mogherini mise le mani avanti ricordando, com’è facile immaginare, che ahimé ci sarebbero stati «effetti collaterali». Nasconderemo naturalmente il business e gli interessi strategici ed economici. Ormai siamo alla rincorsa della pacca sulle spalle Usa e delle forze speciali francesi, britanniche e americane già sul terreno.
L’Italia ha convocato nei giorni scorsi il suo Consiglio supremo di difesa e prepara l’impresa libica. Con un occhio all’Egitto sotto il tallone di Al Sisi, ora in ombra per l’assasinio di Giulio Regeni. C’è da temere che la giustizia sulla morte di Giulio Regeni venga ulteriormente ritardata e oltraggiata, e di nuovo silenziata la verità sul regime del Cairo, criminale quanto l’Isis. Perché l’Egitto — anche con i suoi silenzi? — resta fondamentale per la guerra in Libia: è la forza militare diretta o di supporto al generale Haftar, leader militare del governo e del parlamento di Tobruk che ancora ieri ha rimandato il suo assenso (che alla fine arriverà) ad un esecutivo libico «unitario». È una decisione formale utile solamente a richiedere l’intervento militare occidentale.
Perché la Libia resta spaccata almeno in tre parti, con Tripoli guidata da forze islamiste che temono che un intervento occidentale diventi un sostegno alle forze dello Stato islamico posizionate a Sabratha, Derna, Sirte, già impegnate nella propaganda anti-italiana prendendo senza vergogna in mano la bandiera e le gesta di Omar Al Muktar, l’eroe della resistenza al colonialismo fascista italiano.
Mancano pochi giorni al precipizio. Chi ha a cuore l’articolo 11 della Costituzione, chi è contro la guerra, una delle ragioni per ricostruire e legittimare lo spazio della sinistra, alzi adesso la voce.
Tommaso Di Francesco, il manifesto, 2 marzo
Dove sono associazioni, partiti, sindacati?
RispondiEliminaSilenzio generale!
Anna
Anna, un grande artista ci ricorda che "il sonno della ragione genera mostri".
EliminaL'articolo appello pubblicato da il manifesto va accolto e discusso.
Facciamo sentire la nostra voce e la volontà di pace e di sicurezza!
Gianni
Ha ragione TDF.
RispondiEliminaIn assenza di valori, idee e progetti nuovi le guerre sono un modo per perpetuare potere e rilanciare il PIL.
Ciao!
Ciao!, investimenti e produzione debbono essere finalizzati a migliorare la vita delle persone. Non a distruggere e uccidere per ricostruire e perpetuare uno sviluppo che mette in pericolo il pianeta. Sono trascorsi solo 2 mesi da COP21. Non dimentichiamo quei discorsi e quegli impegni!
EliminaOccorre agire ora per l'ambiente e il futuro.
Gianni
"Mancano pochi giorni al precipizio" è scritto nell'articolo postato.
RispondiEliminaLa campagna mediatica è in corso. Due lavoratori italiani uccisi in Libia ...
Dobbiamo adeguarci al moto di indignazione nazionale?
Oppure seguire i più saggi consigli del presidente Prodi che invita a porre la guerra in fondo alle iniziative necessarie e possibili?
Antonio
Antonio, la Costituzione italiana "ripudia la guerra". Dunque mai guerra, neppure "in fondo". Né in Libia, né altrove.
EliminaPiuttosto progetti ed iniziative per la pace ed il disarmo, investimenti per ridurre fame e povertà.
Gianni
No war for Libya!
RispondiEliminaAndrea
Yes, Andrea.
EliminaJohn
In tv i generali sostituiscono o affiancano i politici. Una conferma del precipizio?
RispondiEliminas.
Per la verità sentire certi generali si ascoltano ed apprezzano parole più esperte e sagge di improbabili ed imbarazzanti parlamentari, Ministri o dirigenti di partito ...
EliminaPiuttosto mi piacerebbe sentire parlare medici, operatori sanitari, personalità di scienza e cultura ...
Sugli effetti immediati e ambientali delle guerre e dei bombardamenti. Sui costi degli investimenti militari e in armi.
Il precipizio si evita con la conoscenza e con la informazione diffusa.
Gianni